MATTEO BRIGHENTI | Viaggiare, restando fermi. Cioè, dentro di sé ma con altri occhi. Non per le «nuove terre» di cui parla Marcel Proust nell’abusata e, per altro, spesso storpiata citazione da Alla ricerca del tempo perduto, ma per le tue terre, attraversate dai tuoi cammini, diretti verso le tue mete. Il titolo scelto per Kilowatt Festival 2024 parla chiaro: “Contengo moltitudini”. Viene dal Canto di me stesso di Walt Whitman. Me stessǝ sono io. Io, però, non è uno solo: sono tanti. Me stessǝ, allora, siamo io.
La singolare pluralità di vedute di ognunǝ è la sfida che la direzione artistica di Lucia Franchi e Luca Ricci per questa XXII edizione – tornata stabilmente a Sansepolcro, là dove tutto è cominciato – ha scelto di raccogliere e, se possibile, rilanciare. Una simile traiettoria di ricerca e curatela, propiziata da Sandro Lombardi e Federico Tiezzi, i padrini di quest’anno, nei giorni di apertura del festival (12 e 13 luglio) ha brillato soprattutto per A Duet di Dovydas Strimaitis, La cantautrice fantasma di Ivan Talarico, Miserella del Teatro dell’Argine e Shaking Shame di Melyn Chow.

A Duet. Foto di Luca Del Pia

Un passo a due con l’assenza, con quello che c’è ma non si vede o meglio, non si sente: la musica. Clara Davidson e Ibai Jimenez hanno entrambɜ gli auricolari. A noi arriva solo il silenzio, rotto ritmicamente dai loro rimbalzi sul palco. A Duet è danza che toglie tradizione alla tradizione della danza, facendo qualcosa di inaspettato quanto incredibile, per altro in stretto dialogo con Monumentum DA di Cristina Kristal Rizzo e Diana Anselmo, visto a Inequilibrio Festival 2024. Difatti, la coreografia di Dovydas Strimaitis, basata sul Petit Allegro del balletto classico, sono segni disegnati nell’aria, le risposte sono da ricercare altrove, nei costumi, nei corpi, nelle luci.
Davidson e Jimenez indossano una sorta di calzamaglia glitter, qua e là tagliata: il corpo riempie i vuoti a partire da quelli che ha addosso. Così, si ritaglia il suo spazio per l’esecuzione del gesto. Le linee sono precise, geometriche, a volte i due procedono insieme, all’unisono, altre volte ognunǝ per conto proprio, quasi descrivendo il modo di Strimaitis di intendere la relazione tra un uomo e una donna. Comunque, non c’è mai freddezza o distacco, non sembra possibile.

Foto di Luca Del Pia

Poi, la musica arriva. In un attimo cambiano le luci, lo spazio si modifica, e i due iniziano danzare davanti agli spettatori di un solo lato mentre prima spaziavano su tutti e quattro i fronti e su tutte le porzioni di pubblico nel Chiostro di San Francesco. Ma lo spettacolo “canonico” non è che un momento del lavoro di un interprete: termina la musica, dunque, ma loro continuano. Le luci cambiano ancora, un taglio dopo l’altro. La scena respira insieme a loro: è, a tutti gli effetti, un “attore in commedia”. Nella semioscurità danzano l’impegno nascosto del cuore che batte, sottolineando di nuovo tutto quello che continua, anche se non lo vedi.
Clara Davidson e Ibai Jimenez sono strepitosɜ: riescono a restituire la musica “suonando” il palco, nel battere del loro incedere rimbalzato. Pure se non la senti, la intuisci, la percepisci. E quando pensi che sia arrivata la fine, ballano ancora per un istante sulla registrazione audio dei loro passi, fino a quando non resta che questa. E il ticchettio di un metronomo, inizio e fine di A Duet, quasi fosse stato tutto un sogno deɜ due ballerinɜ durante una prova di allenamento.

La cantautrice fantasma. Foto di Luca Del Pia

Rilegge e ribalta la storia, alla luce dell’assenza, anche La cantautrice fantasma. Stavolta la musica c’è. Ivan Talarico, una vera scoperta per me, canta e suona nell’Auditorium di Santa Chiara tra le più belle e famose canzoni di sempre, ripercorrendo la colonna sonora del nostro immaginario pop, se non delle nostre vite. Chi manca è la loro vera autrice. Ovvero, Agata Facci. Lei rappresenta tutto ciò che sarebbe potuto essere e non è stato o meglio, che è stato e non abbiamo mai conosciuto, perché rimpiazzato da quello che il sistema ha ritenuto più funzionale alla propria sopravvivenza.
La natura fantasmatica di Facci si manifesta fin all’inizio, durante l’attesa dell’ingresso in scena di Talarico. Un vuoto di quasi 5 minuti che ci porta volutamente al limite della sopportazione, espresso con un crescendo di colpi di tosse, risatine, ventagli sventolati e occhi al cielo. Quando entra, ci basta quello, la spiegazione pare un di più, una battuta a cui fare caso o no.
Invece, è l’avvio di un’investigazione sui grandi nomi della musica leggera italiana e internazionale per risalire all’ignota Facci, un’artista evanescente in un mondo per soli uomini competitivi. Ivan Talarico esegue i brani originali di lei e poi li confronta con le versioni famose. Com’è possibile che sia sparita? La vicenda ricostruita nasconde, in fin dei conti, la natura di un intelligente “giallo” sulla creatività e la fama, sul plagio e sul diritto d’autore, e sul non bruciare un’intera carriera sull’altare di un singolo errore.

Foto di Luca Del Pia

L’ironia che attraversa surreale e dolceamara La cantautrice fantasma, ci parla di qualcosa che riconosciamo ma non conoscevamo. È legata, in particolare, al prendere e mettere in fila i dati di fatto e non, la cronaca e la leggenda, esaltandone, in ogni caso, il lato più sconvolgente. È un’avventura dell’incredibile, dove il talento niente crea, niente distrugge, ma tutto trasforma in successo. Certo, se si ha fede di trovarlo, riconoscerlo e coltivarlo. E non da ora: da quando Dio ha creato il mondo.

Nel tempo che passa e tutto dimentica, Miserella del Teatro dell’Argine abita il tempo che ti cambia. Lasciandoti tracce sul corpo, cicatrici che sono impronte di possibilità perdute. La giovinezza è volere e potere insieme. Invecchiare, invece, aumenta la distanza tra ciò che vuoi e ciò che puoi.
Micaela Casalboni vuole rialzarsi in piedi: lo vuole fortissimamente. Ma non ci riesce, le sue forze le bastano appena per tirare su la testa dal palco del Teatro alla Misericordia. Ma non chiede aiuto. Aspetta, semplicemente. Aspetta di trovare un nuovo accordo con il mondo, una volta sceso alla sua altezza, come ha fatto, prima di lei, con Bastianazzo di Michele Santeramo. Le stanno comunque a fianco, senza lasciarla un momento, Caterina Bartoletti, Giulia Franzaresi, Ida Strizzi. È un coro tragicomico che la sprona e schernisce, più per ingannare il tempo – che certo un giorno farà cadere pure loro – che per convinzione.

Miserella. Foto di Luca Del Pia

Dunque, quattro attrici affiatate, autrici ispirate del testo, con Casalboni che dona delicatezza anche alla regia e, dietro le quinte, i compagni di viaggio di sempre, Nicola Bonazzi e Andrea Paolucci, a far da sponde al lavoro drammaturgico e di direzione attoriale.
L’ambiente di Miserella è un salotto di simil modernariato, con geometrie quasi espressioniste, cubiste, come a figurare l’opera trasformativa del tempo passato che distorce prospettive e visioni (la scenografia è di Nicola Bruschi). Qui, tra pouf, microfoni, finestre cieche e soffice moquette a pelo lungo, il duro impatto degli anni si traduce in una frenesia ripetuta di azioni e situazioni grottesche che i giudizi della società impongono alle donne. Soprattutto quando invecchiano, ma non soltanto.
È il contraltare fisico dell’ascolto sul palco di ricordi ed esperienze delle persone – donne e uomini, over 45, come no – incontrate all’ITC Teatro a San Lazzaro di Savena, la casa trentennale del Teatro dell’Argine, e nelle altre residenze artistiche lungo un anno di studio e di prove. E quando i pensieri restano muti, “parlano” con la danza i corpi delle attrici (la cura del gesto coreografico è di Daniele Ninarello), dimostrando quanto è assurda l’idea di imporre un canone alla bellezza, e quanto è illusoria la pretesa di mantenere il controllo sull’avanzare dell’età.

Foto di Luca Del Pia

«È una gran fatica fiorire». Può sembrare sconfitta, Micaela Casalboni. Ma lei è una Miserella, cioè una di quelle piante che mettono fiori pur su un gambo all’apparenza secco. Come ogni donna, come ogni persona, per cui la vita non è una questione di età, ma di tempo. Finché c’è luce, lo spettacolo può cominciare in qualsiasi momento. Anche alla fine.

Il corpo com’è, mostrato esattamente così com’è, è la provocazione disturbante e definitiva di Shaking Shame di Melyn Chow, dentro la chiamata di Kilowatt Festival 2024 a interrogarci su di noi, su cosa e come guardiamo. La stessa Chow, Estela Canal Parejo, Rita Bifulco, Sjaid Foncé, Laura Boser, nello scuotere i propri genitali – le “vergogne” rievocate dal titolo – mettono a nudo il fatto che vediamo quello che vogliamo vedere o, meglio, che siamo pronti a vedere.

Shaking Shame. Foto di Luca Del Pia

Siamo sul palcoscenico del Chiostro di San Francesco, danzatorɜ e pubblico insieme. Glɜ unɜ al centro, sopra una superficie riflettente a mo’ di specchio, gli altrɜ strettɜ intorno. Comunque, tuttɜ protagonistɜ. C’è chi è in piedi, chi sedutǝ, chi accovacciatǝ. Io resto in piedi, nella posizione, però, dell’osservatore non partecipante, di chi sceglie per sé la prospettiva del racconto. Cioè, con un piede su e l’altro giù dal palco: là dentro e, contemporaneamente, qui fuori.
Inizialmente, la danza è il risultato che la musica produce sul corpo. Poi, quando finisce, il movimento assume un carattere meccanico. Il corpo si riduce a muscolo che simula ossessivamente atti sessuali continui. Chow, Canal Parejo, Bifulco, Foncé, Boser, si toccano, si scuotono, si piegano, si rigirano. Da solɜ, in due, in tre, tuttɜ insieme. I movimenti, però, sono spogli come loro, non generano alcuna eccitazione. Una tale improduttività restituisce, fin qui, unicamente fragilità e solitudine.

Foto di Luca Del Pia

È una condizione claustrofobica, eppure siamo all’aperto. Shaking Shame è una percussione che ti scuote dentro, prodotta da cinque corpi che, come dita, ti si stringono alla gola. La durata è la chiave di volta per un cambio di sguardo. Persistere porta a familiarizzare con un simile spettacolo e a trovare e riconoscere in quell’agitare e scuotere anche la sacralità di azioni votate a replicare la gioia dentro il piacere. Nel momento, poi, in cui invadono il nostro spazio, si fa largo un’insospettabile, divertita ironia.
Shaking Shame è un’esperienza davvero indimenticabile, possibile grazie all’abnegazione eroica di Melyn Chow, Estela Canal Parejo, Rita Bifulco, Sjaid Foncé, Laura Boser. E che ti lascia con la radicata convinzione che un corpo è solo un corpo: non c’è da averne paura mai.

A DUET

coreografia Dovydas Strimaitis
con Clara Davidson, Ibai Jimenez
luci Lisa M. Barry
costumi Taylor Wishneff
ingegnere del suono Maxime Jerry Fraisse
musiche Adolphe Adam – No. 20 Allegro feroce (Giselle, London Symphony Orchestra, Michael Tilson Thomas)
produzione Still Waiting (FR), Be Company (LT)
finanziato da Lithuanian Council for Culture
co-produzione CCN-Ballet national de Marseille, les Espaces Mimont
con il supporto di Théâtre de Vanves, Montévidéo, Lithuanian Culture Institute
grazie a Austė Zdančiūtė, a Cultural Atachée of Lithuania in France, to Daniel Alwell and Aya Sato

Prima nazionale

LA CANTAUTRICE FANTASMA

di e con Ivan Talarico
grazie a Roberto Castello, Aldes, Giulia Zeetti

MISERELLA

parole Caterina Bartoletti, Nicola Bonazzi, Micaela Casalboni, Giulia Franzaresi, Ida Strizzi
con Caterina Bartoletti, Micaela Casalboni, Giulia Franzaresi, Ida Strizzi
regia Micaela Casalboni
collaborazione alla regia Andrea Paolucci
scenografia Nicola Bruschi
costumi Sabrina Beretta
musiche originali Davide Sebartoli
luci William Sheldon
cura del gesto coreografico Daniele Ninarello
assistente scenografa Carmela Delle Curti
assistente alla regia Laura Gnudi
responsabile di produzione Francesca D’Ippolito

Prima assoluta

SHAKING SHAME

ideazione, regia, interpretazione Melyn Chow
e con Estela Canal Parejo, Rita Bifulco, Sjaid Foncé, Laura Boser
luci Minna Tiikkainen
suono Maoyi Qiu
scene Lena van Drie
drammaturgia Renée Copraij
mentore e consigliere Floor van Leeuwen
voce e space holder Leela May Stokholm
ringraziamenti Audre Lorde, Sarah Ringoet, Jela Nieuwstraten, Merette van Hijfte, Jing Hong Okorn-Kuo, Marijn de Langen, Kim Zeevalk, Mime Opleiding
co-produzione Campo
con il supporto di City of Amsterdam, Ministry of Education, Culture and Science, Ammodo

Prima nazionale

Sansepolcro, Arezzo | 12, 13 luglio 2024