GIAMBATTISTA MARCHETTO l «Sono onorata. E sono davvero sorpresa. Mai nella mia vita avrei potuto immaginare di ricevere un simile riconoscimento. Io, così intrinsecamente marginale, assolutamente precaria. Deliberatamente estranea al valore di mercato, per amore della perseveranza sotto copertura, ho trascorso tutto il mio tempo su un oggetto nodoso, coltivando una relazione diretta con l’inafferrabile». Cristina Caprioli viaggia su livelli siderali nel commentare l’assegnazione, a Venezia, del Leone d’oro alla carriera in occasione della Biennale Danza 2024.

«Custodirò questo Leone con la massima cura e onorerò la tua fiducia con la mia danza più dignitosa», ha dichiarato rivolgendosi a Wayne McGregor, direttore della Biennale Danza, alla cerimonia in cui ha ricevuto il prestigioso riconoscimento dalle mani del presidente Pietrangelo Buttafuoco. E nel ringraziare l’intero staff della Biennale, ha regalato a Venezia una lezione di stile e di pensiero.

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Cristina Caprioli alla consegna del Leone d’oro della Biennale Danza tra il direttore McGregor e il presidente Buttafuoco

IDENTITÀ POLIMORFA

La scelta stessa di McGregor di proporre Cristina Caprioli come Leone d’oro partiva dalla consapevolezza di avere a che fare con una danzatrice, coreografa, insegnante, scrittrice, accademica e curatrice. «Il suo corpus di lavori innovativi ha consolidato la sua indiscutibile posizione quale una delle più importanti coreografe in Svezia – scriveva il direttore nelle motivazioni – mentre la sua portata internazionale ha silenziosamente e sostanzialmente influenzato più generazioni di coreografi durante i suoi tre decenni di provocatoria ricerca fisica e di condivisione».

A metà degli anni Novanta, Caprioli ha fondato l’organizzazione indipendente ccap, con la quale ha prodotto un’ampia gamma di performance, installazioni, film, oggetti, pubblicazioni e altre “coreografie”, oltre a progetti di ricerca interdisciplinari a lungo termine.
«La coreografia di Caprioli è caratterizzata da precisione, complessità e forme emergenti di virtuosismo fisico – ha aggiunto McGregor. Tutte le sue produzioni sfidano i format normativi e le economie di scambio del settore; le basi filosofiche del suo canone hanno bilanciato una rigorosa ricerca concettuale con esperienze impersonate, coinvolgenti e altamente accessibili. L’impegno di Caprioli per il progresso, l’evoluzione e lo sviluppo della nostra forma d’arte è stato fonte di ispirazione per il settore e il suo approccio “sotto traccia” a tutto ciò che intraprende sottolinea l’eccezionale qualità e integrità del suo processo creativo a 360 gradi, dove il movimento, la danza, la coreografia e la creatività possono guarire, dare energia e cambiare le prospettive».

LA DANZA CHE TESTIMONIA

Lo speech di accettazione del premio di Cristina Caprioli è una sintesi di raffinata leggerezza e profondo rispetto per il pubblico. «Il lavoro è quello che deve essere, sulle montagne russe tra dubbi senza un piano di riserva. Di conseguenza, il mio compito deve essere quello di sostenere l’incertezza e mantenere viva una situazione di stallo. Urgenza, cura, incoscienza e il minor ego appiccicoso possibile».

Con queste parole l’artista dichiara che il premio le ha ricordato il suo “privilegio”. E aggiunge: «Evidentemente questo Leone conferma il mio privilegio e induce a osare un nuovo “atto di fede”. Ma nessun “salto” garantisce in alcun modo un atterraggio. Né può pretendere nulla che il lavoro non abbia già guadagnato. Quindi continuerò a lavorare, sapendo che ogni mossa deve portare le proprie prove, testimoniare e dimostrare, spiegare, argomentare ed essere costantemente difesa. In modo che qualcosa (una danza?) possa andare in scena senza dover indicare la sua (propria) giustificazione».

Che meraviglia! Un’artista che non pretende di spiegare al pubblico quel che dovrebbe aver visto in scena, compreso tra le righe, intuito in mezzo a bislacche associazioni di idee, scenografie, movimenti. No, è l’opera in sé che deve parlare, deve essere autoportante, almeno quanto l’episteme per un filosofo.

Cristina Caprioli, Leone d'oro alla carriera della Biennale Danza 2024 - ph. Jens Wazel
Cristina Caprioli, Leone d’oro alla carriera della Biennale Danza 2024 (ph. Jens Wazel)

IL LAVORO CONDIVISO

Non c’è solo il rispetto del pubblico, ma anche di chi lavora con lei e finanche di poeti e drammaturghi a cui ha scelto di “rubare” le parole e i sogni. «Oggi è una giornata straordinaria – ha dichiarato l’artista – una giornata che condivido con tantissimi colleghi: ballerini, amministratori, tecnici, designer, compositori e tutti. Ogni giorno sono benedetta dalla vostra fiducia, ogni giorno il lavoro prende vita grazie ai vostri preziosi contributi. E tutti i pensatori, poeti e scrittori, vivi e morti, i miei compagni ballerini per procura, le cui parole continuano ad alimentare e sfidare ogni mio movimento. Grazie a tutti per avermi tenuto al sicuro in punta di piedi».

DANCE FOR A CHANGE

C’è poi una postilla al discorso, che Caprioli non ha pronunciato integralmente, ma che merita una citazione (almeno parziale) per la bellezza delle sue parole. Collegandosi al titolo dell’edizione 2024 della Biennale Danza We Humans – dichiara la crisi del “Noi Esseri Umani”. In che senso? «Incapaci di stare insieme, ci aggrappiamo al nostro privilegio (rifiutiamo di muoverci) mentre urliamo senza controllo (fingiamo di muoverci). Noi umani non balleremo. La nostra promessa non è altro che uno slogan assordante».

I proclami successivi sono poesia e umanità distillate. «Io dico: balla per cambiare, crea un po’ di arte, se puoi. Che si tratti di una “cosa”, un santuario, un’oscillazione o qualunque coreografia. Lasciamo che la danza mantenga il suo impegno e coreografi un noi diverso. Abbraccia la danza, riconosci il suo potenziale. Metti esigenze più elevate nel ballare. Rivendica uno scopo, e l’onestà».

E ancora. «Io dico: forniamo il luogo e le circostanze per stimolare (arricchire) la partecipazione. Assicuriamo l’accesso a esperienze sensoriali che amplino la comprensione comune del chi è un corpo, di come muoviamo il movimento e il movimento ci muove. Dobbiamo abbracciare la differenza, rispettare lo straniero. Coltivare il valore estetico e aggiungerlo al mondo, così come lo percepiamo e come non lo possiamo ancora immaginare».