OLINDO RAMPIN | Arrivati a Santarcangelo, quel che sorprende prima di tutto è il paesaggio umano. Persone di ogni età siedono nei plateatici di osterie e bar e mangiano all’aperto con la sola colonna sonora delle loro conversazioni. Con questa ambientazione siamo già mani e piedi dentro il festival diretto da Tomek Kireńczuk e dentro la sua struttura di segni. Hands Up, dell’artista lituana Agnietė Lisičkinaitė, non sarebbe stato possibile in un contesto diversamente antropizzato, spopolato oppure stordente di suoni prevaricatori.
In questa cornice può invece acquisire significati dalla co-costruzione comunicativa con l’umanità descritta. Agnietė Lisičkinaitė convoca gli spettatori sotto l’arco di piazza Ganganelli. Qui li trasforma in attivisti innalzanti parole d’ordine su cartelli da lei predisposti, di segno animalista, ecologista, femminista, lgbtqia+. Scelto il proprio motto preferito, il manifestante si scopre però beffato dal retro del cartello, recante una sentenza di senso opposto.
Qualcuno si ritrae; la maggior parte degli aderenti sta al gioco esibendo per le vie cittadine la propria inopinata ammissione di doppiezza ideologica. «In Lituania, nel contesto delle recenti vicende mondiali, vale la pena interrogarsi sul concetto di cultura della protesta come virtù in quanto tale», scrive l’artista.
La seconda parte dello spettacolo, che si compie in una sala del Palazzo della Poesia, cambia decisamente strutture formali: Lisičkinaitė dà qui inizio a un assolo di danza irruento, scandito da movimenti ritmati e ripetuti, in un moto tumultuoso. Dietro di lei scorrono in grande scala volti, espressioni, sguardi dei cittadini che abbiamo incrociato, ripresi da un videomaker.
L’occhio della telecamera amplifica le impressioni precedenti, disegnando un piccolo atlante di tipi umani: l’aggrottarsi di sopracciglia dei diffidenti, il timore degli impressionabili, la curiosità dei bambini, il sorriso degli scettici, la smorfia degli indifferenti.
Lei, che nel frattempo ha gettato fiotti di vernice bianca sul suo torso denudato, danza infine sulle note di Believe, canzone-feticcio di Cher che parla non di problemi politici, ma di un dolore privato, la fine di un rapporto amoroso. L’artista lituana la rivive con gli occhi e il volto pervasi da una gioia invasata, piena di commozione.
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A Longiano, al Teatro Petrella, vediamo CrePa, scritto e interpretato dalla coreografa e danzatrice Sara Sguotti e dalla performer e scrittrice Arianna Ulian. Tolte le sedute, platea e palco sono trasformati in un unico spazio scenico tutto calpestabile, dove gli spettatori siedono a terra, sullo stesso tappeto danza bianco dove si esibiscono le performer.
È un dialogo non verbale tra differenze che si accolgono e si attraggono, quello intrecciato dalle interpreti. Lo esprimono in curvature congiunte, in posture forzate, in torsioni ripetute, in contatti variati e disegnati con plurime forme, in sguardi di sorvegliata empatia.
L’una, Arianna Ulian, con la sua figura sottile, spigolosa, i capelli tagliati corti con uno stile senza tempo, il volto ispirato e magro che fa pensare a una poetessa russa del primo Novecento. I suoi testi di non stucchevole ermetismo contrappuntano qua e là i gesti delle performer.
L’altra, Sara Sguotti, atletica, il viso di una strana imperiosità da antica italiana, con i capelli neri raccolti, gli occhi scuri e alteri che guardano la compagna con un’espressione sicura, talora come accudendola, guidandola con tenera protettività.
Eppure anche lei, come la sua sodale, è attraversata da fenditure, ferite, crepe. Anche il suo corpo, così forte e capace di un grande controllo della propria potenza espressiva, è tuttavia, in quanto umano-animale, fragile, deteriorabile, crepabile, non destinato – con il passar del tempo – né all’integrità né all’immortalità.
Ma intanto dà energia vitale poterlo tendere, rapprendere, aprirlo in infinite espressioni felicemente estranee alla verbalità, congiungerlo appena o intersecarlo con quello dell’altra da sé, soggetto diverso ma solidale di un ininterrotto “discorso” a due.
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Al Supercinema Sandra Calderan e Rebecca Chaillon costruiscono con La Gouineraie l’abbozzo di una vita nuova, di una famiglia di nuova concezione, che passa attraverso un ritorno alla terra, l’adesione a una dimensione rurale, lontana dalla realtà urbana, simbolo di contraffazione e simulazione.
Non è però una fuga o un ritiro sociale, è la proiezione di sé oltre il mondo che per troppo tempo è stato loro proposto o imposto, oltre rapporti umani incapsulati nei doveri di un conformismo oppressivo.
L’eterosessualità, la famiglia eterosessuale, per come l’hanno conosciuta, si è tradotta nella loro esperienza educativa o genitoriale in una visione repressiva del mondo, in un sordo impedimento a vivere più liberamente la vita. Lo spettacolo è niente meno che la messa in scena della invenzione di questa nuova vita, un disordinato atelier dove esprimere con umorismo i loro pensieri e la loro corporalità.
Senza timore di mescolare stili contrastanti, passano dalla pronuncia tesa di ricordi non privi di ferite morali e di dolorose rimozioni al basso comico di scene di sgangherato bricolage, in cui si contrappongono la prorompente fisicità dell’una e la esile figurina dell’altra.
Sono momenti, quasi, di una versione gouine delle gag slapstick di Laurel & Hardy, fin dalla rumorosa entrata in scena di Rébecca, trainata da Sandra su un trattorino giocattolo. Eppure è con quello strumento eroicomico che vogliono rinascere da contadine, è quello il simbolo della loro liberazione dal passato, dai divieti, dai dogmi.
Le due artiste condividono per questo motivo con il pubblico il proprio vissuto in forma di performance, alla ricerca di una nuova libertà.
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Chi è l’essere antropomorfo in cui si incarna Agata Siniarska al Teatro Il Lavatoio? Il frutto mostruoso di una metamorfosi, l’esito di un delirio, il primo nato di una nuova specie umano-animale?
Forse l’unico sopravvissuto, muto e animalesco, del suicidio dell’umanità, o forse il primo nato di un nuovo inizio, l’era dei post-sapiens? Nel suo null&void, l’artista polacca residente a Berlino compone una visione allucinatoria delle ore che seguono la guerra mondiale ultima e definitiva.
Atto unico senza parole di estrema compattezza strutturale, di implacabile coerenza formale, il lavoro sfugge a una catalogazione di genere, benché la sua sintassi, a suo modo estremamente semplificata, sia composta di due sequenze successive.
L’esordio è una lunga drammaturgia sonora performata dalla stessa Siniarska, invisibile sotto un rabbrividente costume da villain fantascientifico: una lunga composizione di detonazioni, esplosioni, spari per voce sola, sorta di Requiem microfonato e amplificato, da Giudizio Universale.
Dal costume, ora divenuto informe sostanza generatrice, esce un piede, poi una mano, poi ecco l’homo post-atomicus, creatura caudata e rigonfia di neoformazioni cutanee. Si muove a stento, carponi; urla, vomita un liquido nero, lotta per restare in vita.
Ed è così, enigmaticamente vivo, che esce di scena scomparendo per sempre dal nostro campo visivo.
HANDS UP
idea, coreografia e performance Agnietė Lisičkinaitė
drammaturgia Bush Hartsorn
video Odeta Riškutė
costumi Morta Nakaitė
musica Jokūbas Tulaba
light design Povilas Laurinaitis
prodotto da Domantė Tirilytė | BE COMPANY
CREPA
di e con Sara Sguotti e Arianna Ulian
coreografie Sara Sguotti
testi Arianna Ulian
ambiente sonoro Spartaco Cortesi
costumi Eva Di Franco
luci e direzione tecnica Mattia Bagnoli
traduzione poetica Federica Sgaggio
accompagnamento drammaturgico Giovanni Sabelli Fioretti
PR e media relations Giuseppe Esposito
produzione Perypezye Urbane
coproduzione OperaEstateFestival \ CSC centro per la scena contemporanea di Bassano del Grappa, MilanoOltre
LA GOUINERAIE
testo e regia Rébecca Chaillon, Sandra Calderan
stage management Suzanne Péchenart
drammaturgia e collaborazione allestimento Céline Champinot
produzione Cie Dans Le Ventre, Cie des Hauts Parleurs
coproduzione CDN de Besançon Franche Comté
con il sostegno di Villa Valmont, Lormont Nouvelle Aquitaine
produzione / sviluppo Mara Teboul, Elise Bernard, Amandine Loriol – L’oeil écoute
NULL&VOID
concept e coreografia Agata Siniarska
collaborazione artistica Julia Plawgo, Julia Rodriguez, Lubomir Grzelak, Partners in Craft, rat milk, Zuzanna Berendt
body sculpture e make-up Una Ryu
costumi Maldoror
luci Annegret Schalke
training vocale Ignacio Jarquin
musica e suono Lubomir Grzelak
composizione da “Uncle Boonmee who can recall his past events” di Silver Screen Sound Machine
produzione Agata Siniarska
coproduzione Tanz Im August / HAU Hebbel am Ufer, Cross Attic Prague, Partners in Craft
Santarcangelo (RN), 13 luglio 2024