CRISTINA SQUARTECCHIA l L’ottava giornata festivaliera a Santarcangelo Festival ha visto la partecipazione di costellazioni di pubblico in spazi e ambienti dove questa pluralità  ha trovato punti di contatto, secondo la visione del suo direttore artistico, il polacco Tomasz Kireńczuk, alla guida dello storico festival fino al 2026. While we are here è il claim che include tutti quegli artisti che per sensibilità e ricerca si collocano sull’istante dell’atto performativo, nel suo divenire tra e nei corpi, del pubblico e dei performer in quel magico esserci.
E nonostante il gran caldo, il pubblico si è lasciato guidare dalla curiosità e dallo stupore. Così tra gli spazi comuni e pubblici che Kireńczuk ha individuato come luoghi prescelti per mantenere l’identità del festival nella città di Santarcangelo, ci dirigiamo verso una palestra, quella dell’ITSE Molari, dove ad attenderci c’era Repertòrio N.2 di Davi Pontes e Wallace Ferreira, un audace duo proveniente dal Brasile.

Mentre entriamo siamo invitati a prendere posto, preferibilmente sui cuscini disposti a terra a delimitare il perimetro della palestra scolastica seguendo i segni di un campo da basket.  Oltre i cuscini ci sono le normali tribune, sulle quali il resto del pubblico ha poi trovato posto. Ci accoglie poco dopo un silenzio un po’ tirato in lungo tra gli sguardi perplessi del pubblico, prima dell’ingresso di Davi Pontes e Wallace Ferreira. Si impongono allo sguardo come due bronzi di Riace nei loro corpi statuari e in nudo integrale. Sulla loro pelle lucida color cacao notiamo solo i calzini e gli sneakers neri. In ritmo binario attaccano subito ad avanzare con passo cadenzato, come fossero due scudieri in lotta, non uno contro l’altro ma l’uno accanto all’altro. Braccio dietro la schiena, come a richiamare le varie figure delle arti marziali o della scherma, mentre con i piedi scandiscono un ritmo serrato su traiettorie lineari e oblique in direzioni ogni volta diverse, alternando momenti di pausa. Sembrano in certi frangenti un corpo solo, un unico organismo vivente che avanza in atteggiamento di autodifesa da qualcosa.
Impeto e precisione regolano queste sequenze ritmiche che si ripetono, ognuna con punti di rottura che aprono invece il duo al distanziamento con pose che richiamano figure della danza classica e del vogueing. Si fermano infilandosi in spazi lasciati vuoti sulle tribune, brevi ma necessarie tregue che, se da un lato rilasciano la tensione sul piano ritmico, dall’altra la caricano su quello emozionale e motivazionale dove il gioco di sguardi sollecita, provoca.
Siamo invitati a riflettere con loro in queste sospesioni e a porci anche noi delle domande su quello che sta accadendo. Ma neanche il tempo di realizzare che riprendono le sequenze, mentre si coglie la fatica dei due danzatori, nonostante il rigore nel tenere inalterato il ritmo della pièce nei suoi 35 minuti.
Repertório n.2 è la seconda fase di un ampio progetto che trova la sua forma conclusiva in Repertório n.3, presentato il giorno dopo al Santarcangelo Festival. Al cuore del loro indagare i due artisti sperimentano le diverse forme di autodifesa dei sistemi di potere nell’incorporazione degli stereotipi, dalla danza alle pratiche corporali di ordine transculturale e transgender. La nudità esibita come simbolo di un candore da riconquistare sembra perdere quello slancio critico dell’inizio migrando verso valenze più estetiche per accogliere aspetti più leggeri dell’umano.

Ph Pietro Bertora

Di diversa atmosfera è ciò che propone Francisco Thiago Cavalcanti in piazza Ganganelli, sulla pedana circolare che attrae intorno a sé passanti di ogni età. Di origini brasiliane, Thiago Cavalcanti  vive in Portogallo dove opera come artista di danza e dove ha fondato il collettivo “um cavalo disse mamãe”, insieme a Piero Ramella, Bárbara Cordeiro e Francisca Pinto. Anche il suo lavoro, come il precedente,  audace ed estremo ma con più digressioni poetiche, attraversa i diversi stili e tecniche di danza che abitano il pianeta di Tersicore in una incessante traiettoria circolare che va in un solo senso per tutta la pièce: quello antioraria.
L’artista portoghese sperimenta gesti, azioni e pratiche di movimento diverse per stimolare punti di osservazione non tradizionali. Tutto inizia però al centro, dove insieme a un chitarrista intona una ballata, che muta via via in un lamento fino a una nenia malinconica. È il canto della balena 52blue che dà anche il titolo alla pièce e che scopriamo adagiata su un gonfiabile messo di lato. La triade ‘corpo – voce – movimento’ diventa strumento necessario nel dare forma  a visioni interiori, alla connessione con lo stato dell’acqua, che il performer Cavalcanti esplora nel tentativo di incorporare sin da quando inizia a camminare. Il suo incedere continuo è l’elemento funzionale a trasformare, svelare e comunicare il messaggio del suo co-fondersi con l’animale marino. Passa dalla danza classica al floor work, dagli stereotipi del balletto classico – come le pose ‘cignesche’ – ai diversi stili di movimento, per un lavoro introspettivo, che lo conduce alla sua reazione solitaria nei confronti del reale.
La similitudine con la balena trova il suo punto di rottura nel corto circuito che Cavalcanti innesca interrompendone il flusso, che altrimenti rischierebbe di svuotarsi di senso.
Mentre cerca di riequilibrare il suo asse da quel frastuono interiore, piuttosto evidente, allestisce lo spazio con sedie, scale, martelli, chiodi. Centrale il ruolo della musica per l’’intera pièce: dal live al silenzio, dall’accoglienza di onde sonore a echi d’acqua per poi aprirsi a suoni elettronici che si connotano progressivamente con note bit incalzanti, accompagnando i 60 minuti di camminata e trasformazioni emotive. Poetici i momenti in cui entra, come delle folate di vento, l’inconfondibile tromba di Zampanò da La strada di Federico Fellini, o il canto struggente di Amy Winehouse in una versione dilatata di Love is a losing game portando 52ble in un’atmosfera di romantico e liberatorio solipsismo.

Ph Pietro Bertora

Ma l’audacia e il rigore performativo si spingono oltre con Null&void della polacca Agata Siniarska che corriamo a vedere al Lavatoio. Tra body art, visual art e forme scultoree,  l’artista catapulta lo spettatore in un mondo tormentato dalla guerra. In un lavoro di mimesi, siamo davanti a una strega o a uno sciamano arcaico che si trascina, spalle al pubblico, un maestoso mantello lavorato con vari tessuti. Alludono a rottami, pezzi di artiglieria, una sorta di grande fardello che questa misteriosa figura sopporta, mentre riproduce i suoni detonanti del rombo degli aerei, di esplosivi dei cannoni, di raffiche di spari.
Agata Siniarska è un’artista visiva che fa del suo corpo scenico lo spazio performativo per esplorare luoghi di trasformazione. Diviene mezzo del processo di distruzione di massa. Da un’atmosfera claustrofobica un corto circuito segna uno scenario apocalittico, una sorta di the day after quando Siniarska esce lentamente dal mantello, facendo sbucare un pezzo alla volta della sua identità ibridata: metà uomo e metà animale. Lo capiamo da un corpetto che prolunga la sua colonna vertebrale dal coccige a una coda.
Si muove in scena con semplici camminate a quattro zampe, mai in posizione eretta, in un mondo indefinito, quasi larvale, dove la sua specie torna a un grado zero.
La performer in questa seconda parte si fa vittima sacrificale di un percorso irreversibile, di un’umanità in via di estinzione. La nuova forma vivente assunta non può sopravvivere ed è destinata a estinguersi: rivoli di sangue le escono dalla bocca, e incalzanti spasmi travolgono il suo corpo.
Null&void, che vuol dire ‘nulla e inefficace’, ha il sapore di un mondo “fantasy”, di un universo abitato da strane creature, non troppo distante dagli eroi ed eroine provenienti dal fumetto, dai cartoons, dai videogiochi, da un immaginario visivo che l’animazione digitale crea e disegna con l’intelligenza artificiale, pronta a sostituire gli umani dopo che tutte le guerre avranno finito di disumanizzare il pianeta.

Ph Pietro Bertora

REPERTÓRIO N.2

di e con Davi Pontes, Wallace Ferreira
management e distribuzione Something Great
commissionato da Frestas – Trienal de Artes 2020/21 – O rio é uma serpente
curato da Beatriz Lemos, Diane Lima w Thiago de Paula Souza

52Blue

concept, performance, regia Francisco Thiago Cavalcanti
drammaturgia e assistenza alla regia Piero Ramella
sguardo esterno António Pocinho Rivotti
con la guida di Ntando Cele, Nadia Beugré
lighting design e direzione tecnica Luís Moreira
set e costumi Angélica Grativol, Isabelle Maciel
musica António Dal Bo, Gustavo Portela
video Gustavo Portela / Varanda Criativa
fotografia Jamille Queiroz
voce, movement work António Pocinho Rivotti
finanziato da Alkantara, La Caldera, Teatro da Voz / Real Pelágio
residenze artistiche Fórum Dança, Alkantara, Teatro da Voz, Santarcangelo Dei Teatri, La Caldera, Porto Iracema das Artes, Companhia Anagoor / La Conigliera
producer Sinara Suzin per Alkantara
prodotto da Alkantara

all’interno del progetto europeo In Ex(ile) Lab co-finanziato dal programma Creative Europe

NULL&VOID

concept e coreografia Agata Siniarska
collaborazione artistica Julia Plawgo, Julia Rodriguez, Lubomir Grzelak, Partners in Craft, rat milk, Zuzanna Berendt
body sculpture e make-up Una Ryu
costumi Maldoror
luci Annegret Schalke
training vocale Ignacio Jarquin
musica e suono Lubomir Grzelak
composizione da “Uncle Boonmee who can recall his past events” di Silver Screen Sound Machine
produzione Agata Siniarska
coproduzione Tanz Im August / HAU Hebbel am Ufer, Cross Attic Prague, Partners in Craft

progetto realizzato con il supporto di Adam Mickiewicz Institute, Goethe-Institut Mailand, promosso dal Ministero Federale degli Affari Esteri della Repubblica
Federale di Germania