ANITA LAUDANDO | Dal 13 al 15 luglio 2024, la Fondazione Morra presieduta da Teresa Carnevalee diretta da Giuseppe Morra, ha dato vita a Archivi del Living Theatre. Caggiano. 
Nel borgo cilentano, presso il Palazzo Prospero Morone e Giuseppina Morone in Bonito Oliva, opere d’arte e dipinti, disegni e diari, fotografie e poesie, recensioni e
scenografie, appunti e ricordi della storica compagnia statunitense, hanno occupato gli spazi virtuali e fisici dei diversi mondi dell’estetica e dell’esperienza umana della casa del Teatro alla Quattordicesima strada di New York, che aprì ufficialmente il 13 gennaio 1959.

Il “Progetto Caggiano” con i suoi 58.812 pezzi, relativi agli anni 1969-2015, è contaminazione di linguaggi, così come era intesa nella teatralità degli anni ’60, ma anche spazio sociale in cui non può esserci scissione né virtualità, fatto politico pregno di bios nel suo originario appartenere alla comunità: le nuove prospettive scientifiche e antropologiche impongono e si impongono all’ontologia.

Ph Diana del Franco

In diretta streaming da Santa Fe, New Mexico, per l’inaugurazione ci colleghiamo con Garrick Beck, figlio di Julian Beck e Judith Malina mentre Gabriella Rammairone è interprete ponte (e farà lo stesso anche con la videoconferenza della performer Bibbe Hansen). La storia del Living coincide con la biografia dei due fondatori e del loro incontro. Judith, si trasferisce a New York nel 1928 per fuggire alle persecuzioni razziali; frequenta la scuola di Piscator; trascorre un periodo in prigione per aver partecipato alle manifestazioni pacifiste dei War Resisters. Impara presto che il teatro è luogo dove possono confluire energie morali e politiche, che il teatro è arte totale se rende l’essere umano responsabile nei confronti della società che costruisce.

Julian, figlio di una ricca famiglia borghese, a 18 anni durante una lezione di geologia alla Yale University dice a se stesso: «questo non è quello che voglio fare. Sono un artista, non devo sprecare la mia vita». Entra nella cerchia newyorkese dell’espressionismo astratto, influenzato dall’action painting di Pollock, dalla sua vitalità intensa e tenace, ma anche dall’ascendenza primitiva di Hofmann. Dunque, mentre la diciasettenne Malina vive i movimenti rivoluzionari di danza e teatro, Julian Beck si dedica all’arte contemporanea attraverso la pittura. “Al fondo di tutto aleggia il grande fantasma di Antonin Artaud, nella cui poetica i Beck individuano un magistero innanzitutto umano”. L’incontro tra i due avvenne in un club per attori, il Genius Incorporated: fu subito complicità, ed eccoci qui, a parlare di testimonianze e materiali con Giuseppe Morra che rende ancora attuale il rapporto dialettico tra cultura americana ed europea dal secondo dopoguerra ad oggi. Negli archivi, la sua ombra spinge un carrello di materiali raccolti anche a Los Angeles, ora affissi alle pareti e sistemati spazialmente per una visione ordinata delle testimonianze, del percorso artistico di Beck e Malina e del loro gruppo.
L’
universo di Caggiano, in provincia di Salerno, si va ad aggiungere agli archivi conservati presso la Yale University e il Lincoln Centre di New York. Nelle sale, non mancano proiezioni sul Living Theatre: Paradise Now, Frankenstein, Antigone, Intervista a Julian Beck, Reading al The Living Theatre. (L’antologia è a cura di Mario Franco).

Ph Diana del Franco

Morra mette in atto una vera e propria poetica del ricordo.
La collezione contiene una sezione dedicata ai costumi e agli oggetti di scena da performance come The Yellow Methuselah, The Archeology of SleepMasse Mensch e Anarchia. Si scende in un sottoscala; due persone per volta. Prima che la ritualità entrasse negli spettacoli, la pittura, la scultura, la musica, la letteratura, la poesia, il teatro, la danza erano intese come discipline separate, con regole proprie: è bizzarro osservare persone muoversi lentamente tra i resti di eventi che hanno squassato i confini delle comode poltrone di velluto rosso. Ma la vera memoria del corpo Living è la presenza, in questa cerimonia inaugurale, di Cathy Marchand. “Quando attraversiamo le strade di Napoli, le persone sanno che siamo gli amanti dei loro sogni segreti di notte”.
È qui e ora, a piedi nudi, che ci nutriamo di tutta la circolarità storica, il profumo dei corpi in azione, della collettività di costumi e scene per costruire il “dipinto arrotolato” ispirato a Vasilij Kandinskij, lungo settanta metri e alto cinque metri e mezzo, usato come fondale dinamico nella performance di Hanon Reznikov. L’adattamento del Living Theatre preformava ed esponeva l’evoluzione dell’umanità verso un modo di essere anarchico a favore della vita, dell’immortalità, del ri-fidanzamento col mondo dell’oltre-uomo nietzschiano.
L’
Eredità eretica del Living Theatre di cui ha parlato Cristina Valenti all’inaugurazione dell’archivio, sta proprio nel fatto che “l’esperienza scenica non coincide con gli spettacoli”.
Ci perdiamo tra
foto in bianco e nero, oggetti piccoli e grandi, tra colori di stoffe chiazzate di inchiostro, tele imbrattate, prive di un’impaginazione che includerebbe una ricerca estetica, un decoro dell’oggetto grafico. E li immaginiamo operanti, gli artisti del Living, intenti a creare coralmente quella scrittura drammaturgica che infrange i confini del teatro. Riecheggia nell’aria una frase di Morra: “L’elaborazione dello spettacolo avviene direttamente dalla consistenza materiale di quanto accade in scena”. Quanto ci appare morto questo teatro, oggi? Eppure la lezione di MerleauPonty è chiara: “Il linguaggio, l’arte, la storia, gravitano attorno all’ invisibile (l’idealità)”. (Dal punto di vista filosofico non possiamo non menzionare l’interessante intervento del professor Romano Gasparotti).

Eppure Lorenzo Mango, ci ha provocato, chiedendoci come mai si scriva così poco del Living: “Forse è poco noto, forse si sa già cos’è o addirittura è poco importante?”. Insiste sull’importanza di poterne ricostruire gli eventi grazie agli archivi.

Ph Diana del Franco

Tocchiamo i vestiti di scena, appesi alle stampelle come un arcobaleno. Il tatto è fondamentale per conoscere il mondo, il con-tatto con ciò che resta: non può diventare un reliquario, lo stesso Mango ci esorta a “non bloccare il Living in una istantanea, quasi come se fosse un santino del anni ‘60”.
Affisse alle pareti le opere pittoriche materiche e magmatiche di Julian Beck, mentre la filodiffusione le traduce in note con la performance Endangered Species di Alvin Curran, musicista e compositore statunitense, trasferitosi a Roma negli anni ’60.
L’archivio usa parole, luce, musica, corpi, arredamento, abiti, luoghi, sfrutta una pluralità di linguaggi. Questo oggetto teatrale che si fa scrittura in un fitto programma, lo leggiamo tra stralci di registrazioni, frammenti di voci, toni musicali che si alternano a giochi digitali. La sala dell’angioino Palazzo Prospero Morone, è piena di corpi accaldati ma attenti. Il teatro è accadimento dei corpi che esistono. La piccole stanze in cui gli astanti si muovono è volumetria degli stessi e il concerto-evento di Girolamo De Simone ne è testimonianza. (Per la sua straordinaria complessità, la performance tenutasi con Domenico Di Francia e Andrea Riccio merita uno studio a se stante da addetti del settore).

Ph Diana del Franco

Se nella pittura impressionista conta il modo in cui il colore è disposto sulla superficie pittorica , la materia e la sua organizzazione piuttosto che il contenuto figurativo, la rivoluzione del Living ha fatto lo stesso: non la trama ma l’azione, non il personaggio ma l’attore, non la parola ma il corpo, il corpo collettivo.

Abbiamo modo, a margine dell’evento, di rivolgere due domande a Cathy Marchand sull’eredità di questa esperienza.

Chi ha vissuto questa forma di arte totale, come vive il mondo dell’arte oggi?

Niente rimane fermo. In quegli anni siamo stati avvantaggiati da un clima di grande effervescenza umana e politica. Dalla metà degli anni ottanta siamo in un ciclo di discesa, dunque mi chiedo quale sia oggi il ruolo dell’arte. Questa è la grande domanda.

Esiste ancora il Living?

Due anni fa in Francia un regista giovane ha rimesso in scena
Paradise Now, ma in modo diverso. Ha creato un avvenimento prima del quale nessuno sapeva cosa fosse. Ecco, ha ancora un senso far passare la chiave del Living, non per rifare il Living, ma per ricordare che l’attore è creatore e non semplice interprete. I giovani si appassionano a questo concetto.