RENZO FRANCABANDERA | Kilowatt, o come la campagna di comunicazione di quest’anno ha ribattezzato, KWT, è un festival ormai fra quelli di tendenza dell’estate italiana. I festival conoscono ascesa e declino. Molto dipende dalla direzione artistica (qui da sempre a firma di Luca Ricci e Lucia Franchi), dalla capacità di comunicazione, dagli uffici stampa, dall’organizzazione e dalla presa sul territorio che porta imprese, giovani e la comunità a contribuire in forma volontaria alla riuscita. A Kilowatt tutti questi elementi funzionano bene e in sinergia da più di un un decennio, e ciò porta anche quest’anno a Sansepolcro in provincia di Arezzo un cospicuo numero di spettatori, appassionati, operatori, addetti ai lavori, cantastorie delle vicende teatrali, commentatori di varia natura. Fra questi anche chi scrive, ospite del festival nella due giorni infrasettimanale del 17 e 18, che andiamo a commentare.
Fa caldo e davvero è un’impresa per Maurizio Lupinelli e Carlo De Leonardo stare chiusi per un bel po’ sotto la lamiera di latta, il mezzo bidone a forma di tunnel, La buca appunto, da cui prendono le mosse per lo spettacolo, vestiti in giacca e cravatta. Contestualizziamo: dal 2007 Nerval Teatro, fondata da Lupinelli (che dello spettacolo è ideatore e regista) ed Elisa Pol (che qui coadiuva la realizzazione), si occupa di ricerca teatrale orientata a indagare il ruolo sociale e relazionale dell’arte, in particolare aprendo la performance alla partecipazione e alla interpretazione da parte di performer con disabilità. Fra le loro creazioni recenti, Doppelgänger, creato con la Compagnia Abbondanza Bertoni, si è aggiudicata il Premio Ubu 2021 come Miglior spettacolo di danza.
Qui il duetto, che per buona parte è un divertente monologo sonoro-gestuale di De Leonardo – forse la parte più pregevole e intrigante della creazione – si confronta con Beckett, in un remake fra improvvisazione, gioco e teatro dell’assurdo che trae origine dalla reinvenzione delle situazioni e della natura dei personaggi delle creazioni più celebri del drammaturgo: non c’è un riferimento unico, si va dall’albero e dall’appuntamento infinito in attesa di un Godot che non arriva, ai bidoni in cui sono rinchiusi i personaggi di Endgame.
Più divertente e interessante, come dicevamo, la parte non verbale che, pur ammiccando al clownesco, resta nell’ambiguo, e rimanda a Buster Keaton. Che il primo suono che l’interprete con disabilità arrivi a pronunciare dopo dieci minuti di recita e mimo sia una scaracchia, è trovata geniale. Dopo si torna su un binario più frequentato e una drammaturgicamente più prevedibile. La versione attuale del lavoro ha oltretutto il pregio di essere adatta a persone non vedenti e ipovedenti grazie a un’audiodescrizione a cura di Giuseppe Comuniello e Camilla Guarino, trasmessa attraverso radio guide.
Su toni e cifre prossime all’assurdo ma con una delicata attenzione a non varcarne il confine, restando al di qua, si muove Con grande sprezzo del ridicolo, una vicenda di inganni coloniali e sogni proibiti, ispirata a un fatto realmente accaduto nella Torino di fine Ottocento, nell’ambito della Grande Esposizione Italiana, quella in cui nutriva la propria creatività Salgari, giusto per dirne uno. La gustosa drammaturgia (testo vincitore del Bando NdN – Network Drammaturgia Nuova 2022/2023) di Fabio Marson è affidata alla regia di Filippo Paolasini (fondatore della compagnia marchigiana Asini Bardasci), che interpreta lo spettacolo insieme alle due brillanti presenze sceniche di Lucia Bianchi e Marco De Rossi, capaci di restituire la scivolosa ambiguità di una serie di personaggi borghesi che l’arrivo di un gruppo di eritrei mette in moto. È una creazione che abbiamo seguito nel suo evolvere e che arriva qui a culmine del percorso creativo.
La vicenda: a rischio di mandare all’aria il suo matrimonio, un piccolo borghese si innamora di una presunta principessa del corno d’Africa in visita con parte della sua comunità esotica nell’ingessato capoluogo sabaudo di inizio Novecento, mentre la sua casa è un micromondo abitato da una donna, la moglie, dal fare velleitario in un ambiente fatto di oggetti sul tavolo che sono una natura morta capace di diventare geografia dell’inesplorato.
È una storia dall’anima vaudeville e melò che, oltre alla cura nell’interpretazione, si giova di un interessante allestimento scenografico, ben inquadrato dal lavoro di light designing affidato all’esperienza di Max Mugnai. Finora il lavoro ha circuito in modo discontinuo, ma meriterebbe una produzione e di poter continuare a vivere. È divertente, ben scritto e ben pensato nella traslazione scenica.
Da sempre la compagnia ha avuto una particolare attenzione al linguaggio. Nel 2018, con la prima produzione, Fratellino e Fratellina, ha ottenuto una menzione al Premio Scenario Infanzia. In questo caso la drammaturgia non si rivolge ai bambini. Ma, l’ambiente trasognato e di infantilismo adulto che c’è in Con grande sprezzo del ridicolo è un bel tema, che ha a che fare anche con il nostro tempo, a ben vedere.
Restiamo nell’ironia dolente per un allestimento di tutt’altra cifra, la prima regia in chiave esplicitamente postdrammatica di Giampiero Borgia e della sua compagnia Il Teatro dei Borgia che, partendo dall’acronimo del Fondo Unico per lo Spettacolo, F.U.S. lo ribattezza con il sottotitolo Fottuti, Utopisti e Sognatori. Di chi si parla? Degli attori, ovviamente, che, un po’ con in controluce, raccontano del presente precario, di un mélange di vita privata, professione, portandosi al limitare fra vicenda personale e professionale.
Accolgono gli spettatori come se entrassimo nella sala prove. Loro seduti attorno al tavolo con i copioni, un paio di loro alla macchinetta del caffè. Entriamo nelle loro chiacchiere, a volte autoironiche, a volte disperate, inconcludenti, mentre incombe la scadenza del bando di turno. A volte è gioco di scena, a volte residuo, anche in questo caso, di infantilismo, che rimanda ai personaggi di Anton Čechov sullo sfondo non di una dacia ma di un immanente Contratto Collettivo nazionale di Lavoro e il Fondo Nazionale dello Spettacolo dal Vivo (FNSV, ex FUS): ne esce fuori una divertente e ben recitata riflessione sul palcoscenico come luogo di lavoro ma anche come coagulo della vicenda umana, fra idealismo e fallimento. Oltre all’interessante compagine di interpreti composta da Teresa Acerbis, Raffaele Braia, Marco De Francesca, Serena Di Gregorio, Sabino Rociola, una serie di silenziose presenze, è attorno al tavolo a fare numero.
Magari volontari, chissà, o forse emblema di come in fondo sta diventando il teatro, affidato sempre più a spettatori presi e buttati al di qua del palcoscenico per sopperire alla mancanza di fondi, con la scusa del postdrammatico. E questo è drammatico, altroché!
Un’ulteriore questione che accomuna questo spettacolo a quello di Marson/Paolasini, oltre al tema del disperante infantilismo, è il fatto che al momento manchi di una produzione e che tutto sia sulle spalle della gagliarda compagnia, la cui direzione artistica è affidata all’ottima Elena Cotugno. La cosa in fondo non dovrebbe sorprendere più di tanto: si tratta di uno spettacolo che addirittura ha la pretesa di portare in scena ben cinque attori in carne e ossa. Follia!
LA BUCA
regia Maurizio Lupinelli
e con Carlo De Leonardo
collaborazione all’ideazione Elisa Pol
spettacolo adatto a persone non vedenti e ipovedenti grazie a un’audiodescrizione a cura di Giuseppe Comuniello e Camilla Guarino, trasmessa attraverso radio guide
CON GRANDE SPREZZO DEL RIDICOLO
di Fabio Marson
con Filippo Paolasini, Lucia Bianchi, Marco De Rossi
regia Filippo Paolasini
luci Max Mugnai
vincitore del Bando NdN – Network Drammaturgia Nuova 2022/2023
F.U.S. FOTTUTI, UTOPISTI E SOGNATORI
Ideazione, regia e luci Gianpiero Alighiero Borgia
con Teresa Acerbis, Raffaele Braia, Marco De Francesca, Serena Di Gregorio, Sabino Rociola
direzione artistica / artistic direction Elena Cotugno
Kilowatt, Sansepolcro | 17-18 luglio 2024