ELENA SCOLARI | L’estate italiana è costellata di festival, teatrali e non, che permettono di scoprire piccole gemme fuori dalle affollate rotte turistiche. Gombola è una di queste, un piccolissimo borgo abbarbicato sull’Appennino modenese, una frazione del Comune di Polinago con poche decine di abitanti in cui da cinque anni il Teatro dei Venti organizza il festival multidisciplinare Trasparenze, co-diretto da Stefano Tè e ATER Fondazione: cinque giorni di teatro, musica, danza e incontri che popolano il paesino e che hanno portato, quest’anno, circa 1.400 presenze nel borgo, anche grazie alla cooperazione degli ‘Abitanti utopici’, 40 volontari che si sono uniti allo staff, prendendosi cura dei luoghi, degli artisti e degli spettatori.
Racconterò – in due parti – alcuni dei lavori più significativi visti nelle due giornate del 26 e 27 luglio, negli spazi della chiesa, della piazzetta centrale di Gombola e lungo un sentiero nel bosco limitrofo.
Indubbiamente la maggior sorpresa si è rivelata l’Amleto di Teatro dei Venti, realizzato con attori e allievi della Compagnia e con i detenuti maschi della Casa di reclusione di Castelfranco Emilia. Una messinscena limpida, curatissima nella scelta dei ruoli attribuiti agli attori non professionisti – tutti perfettamente in parte – e attenta alla riuscita nitidamente teatrale di un capolavoro eterno. Lo diciamo perché qui non c’è indulgenza che tenga: abbiamo visto un Amleto a tutti gli effetti, al bando qualunque notazione che esuli da questo.
L’interprete che impersona il protagonista (cui auguriamo di proseguire la carriera teatrale appena potrà farlo) è sorprendente: dotato di una presenza scenica invidiabile e di una padronanza magnetica dello sguardo con cui sfida il pubblico, dona al principe di Danimarca una vena rabbiosa che corrisponde perfettamente allo stato d’animo che riconosciamo a un figlio che ha visto tradire l’amato padre da una madre superficiale e da uno zio arrivista. Le sue sono espressioni misurate, i sorrisi velati di sarcasmo e le azioni guidate dalla volontà di smascherare il falso, in uno slancio pungente verso la giustizia.
Parlando sempre degli attori che li incarnano, Rosencrantz e Guildenstern sono due seri gaglioffi, Polonio si muove come un fastidioso lacchè che crede di aver capito una mente che si sta invece facendo beffe di tutti, lo stolido zio è un assassino scialbo, con quella posa da allocco marziale che hanno certi militari.
Un poco insistita la presenza del pianoforte suonato dal vivo da Alessandra Fogliani: la musica costituisce un elemento di forte supporto ma tende ad appiattire l’andamento complessivo attutendo alcuni momenti in cui il silenzio permetterebbe una drammaticità più acuta.
Belli i costumi, curati da Nuvia Valestri e Maria Scarano e progettati con la collaborazione di F.M.; semplici e giusti gli oggetti di scena, specialmente quel mucchietto di terra rovesciato dal carretto dei becchini-comici dell’arte, luogo finale delle vite spente ma anche letto dove germogliano i tempi a venire.
La regia di Stefano Tè è pulita, decisa, accompagna con la giusta mano posizione e standing dei personaggi, creando un amalgama armonioso e mai protettivo nei confronti degli attori detenuti. Solo un breve accenno alla pigrizia degli ufficiali giudiziari in uno dei monologhi di Amleto, unica lieve e sottile sovrapposizione di significato tra persona e personaggio.
Quasi mai ci sono vere e proprie uscite di scena, non per i personaggi principali, che rimangono a comporre una corte che presagisce inconsapevolmente la tragedia del finale: Gertrude è preoccupata fin dall’inizio, Ofelia non sembra mai gioire e inciampa anche mentre muore, Orazio segue con cura fraterna la vicenda che dovrà raccontare, nei secoli.
Affianchiamo questa rappresentazione shakespeariana al Pinocchio di Babilonia Teatri e Gli amici di Luca, esito di un laboratorio teatrale presso la Casa dei Risvegli Luca De Nigris di Bologna, realizzato nel 2012 con il contributo della Fondazione Alta Mane-Italia. Il lavoro vede in scena tre persone risvegliatesi dopo essere state in coma in seguito a incidenti, Paolo Facchini, Luigi Ferrarini e Riccardo Sielli, insieme a Luca Scotton che “assiste” a ciò che avviene in scena intervenendo anche per azioni di servizio.
In questo caso, invece, la componente caratterizzante della performance nè è il fulcro. Tutto gira intorno alla condizione dei tre “risvegliati”, in scena per l’intera durata più o meno nella stessa posizione, schierati su una linea frontale e pronti a rispondere e reagire agli stimoli che Enrico Castellani porge loro da una zona separata: dalla consolle in regia fa domande, suggerisce la scena successiva, riporta i tre ad attenersi al copione, insomma dice loro cosa devono fare. Un po’ come quasi tutti i personaggi del romanzo di Collodi fanno con Pinocchio: lo pregano, lo convincono, lo seducono, lo irretiscono, per fargli fare quello che vogliono, perché corrisponda ai loro disegni.
I quattro attori sono in scena a torso nudo e con pantaloncini corti, uno è seduto in carrozzina, chiaramente si è deciso di mostrare anche i segni fisici più evidenti rimasti dopo il coma. Questa forma di esibizione del difetto, anche la taglia extralarge di Scotton, non sarebbe necessaria perché i problemi si vedrebbero o sentirebbero comunque, pertanto perché i Babilonia vogliono che guardiamo qualcosa che ci può disturbare? Io credo proprio per questo: perché incrinare la serenità di chi guarda dalla platea è uno degli obiettivi. Lavorare attraverso il teatro con persone che hanno un problema, fosse anche “solo” l’emarginazione dalla società dopo un periodo di “assenza”, è un’operazione che richiede grande equilibrismo, il rischio di spingere sul pedale dell’emotività è fortissimo, anche quando si insiste – per contrasto – proprio sul disincanto.
È difficile essere certi che un ballo scatenato in memoria delle nottate brave alla Baia Imperiale di Gabicce sia davvero solo l’esplosione di divertimento riaffermativo dell’ex viveur Paolo Facchini, perché in quei passi un po’ sguaiati c’è tutto quello che non potrà più essere, c’è uno schianto che ha bloccato il naturale svolgersi di una vita. E c’è anche un filo di senso colpa – ingiustificato ma inevitabile – indotto in chi è sano e che produce l’effetto solidarietà. Sincera, non c’è dubbio, ma indotta.
Se Pinocchio passa dal legno del burattino alla carne di un bambino (in un obbligo di omologazione che chi scrive non ha mai apprezzato), Facchini, Ferrarini e Sielli sono passati da un corpo governato a un corpo, lo stesso, da rieducare. Il parallelo può essere considerato calzante o meno, così come altri agganci tra la fiaba e la drammaturgia di Raimondi e Castellani, ma il punto è, a mio avviso, la scelta estetica di piegare l’ispirazione alla realtà. Cioè i tre attori non professionisti non fanno uno spettacolo in senso stretto ma fanno spettacolo delle loro storie, non uscendone mai veramente.
Da una parte c’è l’elaborare un trauma e volerlo condividere, non nascondendone gli effetti, ed è certo che farlo pubblicamente, in scena, attraverso il teatro, sia uno strumento potentissimo per liberare; dall’altra c’è il tornare sul passato, sulla causa, inchiodando un po’ la riflessione.
In entrambi i casi c’è il merito innegabile per Trasparenze di portare lavori complessi, anche per le questioni logistiche e di sicurezza che comportano, in un luogo speciale come Gombola, dando al pubblico la possibilità di vedere quante declinazioni il teatro possa avere e quanto la scena sia uno spazio dalle potenzialità infinite, perché – se costruito con passione e professionalità – il teatro non mente mai.
AMLETO
uno spettacolo realizzato nella Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia
drammaturgia Vittorio Continelli e Stefano Tè
regia Stefano Tè
con attori e allievi attori del Teatro dei Venti e attori della Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia
musica dal vivo Alessandra Fogliani (pianoforte)
costumi Nuvia Valestri, Maria Scarano – Atelier Polvere di Stelle e Teatro dei Venti
maschere (costruzione e azioni fisiche) Valentino Infuso
luci e audio Luigi Pascale
ideazione scenografia Stefano Tè, progettazione della scenografia e dei costumi a cura di F. M. detenuto del Carcere di Castelfranco Emilia, nell’ambito del progetto europeo AHOS All Hands on Stage.
assistente alla regia Francesco Cervellino
foto di scena Chiara Ferrin
produzione Teatro dei Venti in coproduzione con Emilia Romagna Teatro Fondazione ERT/Teatro Nazionale
PINOCCHIO
di Valeria Raimondi ed Enrico Castellani
con Enrico Castellani, Paolo Facchini, Luigi Ferrarini, Riccardo Sielli e Luca Scotton collaborazione artistica Stefano Masotti e Vincenzo Todesco
scene, costumi, luci e audio Babilonia Teatri e BaGS Entertainment
produzione Babilonia Teatri in collaborazione con Operaestate Festival Veneto
con il Contributo di Comune di Bologna e Regione Emilia Romagna, patrocinio Emilia Romagna Teatro, promozione BaGS Entertainment, residenza artistica Babilonia Teatri e La Corte Ospitale
Premio Associazione Nazionale dei Critici di Teatro 2013
Festival Trasparenze, Gombola | 26-27 luglio 2024