ELENA SCOLARI | I panni stesi sono fogli bianchi su cui i ricordi prima si imprimono e poi sbiadiscono. Se stai camminando lungo un sentiero nel bosco e vedi lenzuola e biancheria tese tra i rami ti aspetti che ci sia un insediamento umano, e infatti sul cammino una signora sta stendendo il bucato con le mollette, ti chiede anche di darle una mano e ti parla costruendoti intorno una piccola stanza fatta di teli; ci sono valigie, c’è gente come noi che passa, e lei li vede allontanarsi e disegnare la propria mappa personale, spesso un tracciato confuso. Poi tu vai oltre e lei resta, ad aspettare il prossimo viandante.
In Tutto passa, tutto resta di Gabriella Salvaterra, lo spettatore cammina nella zona collinare intorno a Gombola (Modena) – sede del festival Trasparenze (qui la prima parte del diario) co-organizzato da Teatro dei Venti e con la direzione artistica di Stefano Tè e ATER Fondazione – e a ogni tappa viene invitato a fare qualcosa: un signore ti fa sedere al suo tavolino e ti mostra alcune foto ingiallite raccontandoti le microstorie, anche buffe, che stanno dietro quelle facce. Prima o poi qualcuno si dimenticherà di loro, noi ci dimenticheremo di qualcuno e qualcuno si dimenticherà di noi. Poi una Winnie dei boschi, interrata in una buca, ti chiede di scrivere alcune cose dietro a una foglia che le riconsegnerai, lei è il tempo: tutto trattiene e tutto lascia andare.
Tutti gli attori – Arianna Bartolucci, Claudio Ponzana, Gabriella Salvaterra, Davide Sorlini, Angela Sparviero, Laura Torelli, Monica Varroni, Annalisa Zoffoli – parlano sottovoce, sussurrano, è come se fossero spiriti che indicano al passante qualcosa cui dovrebbe prestare maggiore attenzione, magari andando a caccia del silenzio. È una forma caratteristica dei percorsi per spettatore solo nella natura, ormai si devono chiamare sensoriali ma – se funzionano – coinvolgono anche il cervello.
Lasciamo la sorpresa sul finale del viaggio, allestito in accordo all’ambiente e quindi ogni volta diverso ma c’è una tappa particolarmente disorientante che vogliamo descrivere per sommi capi, soprattutto per l’effetto: uno specchio modellato appoggiato sotto gli occhi e sul naso, posto a riflettere il cielo e i rami alti degli alberi. Se non si bara e si guarda davvero soltanto dentro lo specchio sembrerà di camminare nel vuoto, di poggiare i piedi sul cielo e si avanzerà a passi piccolissimi benché la guida ti tenga una mano sulla spalla per rassicurarti. C’è chi ha perso l’equilibrio, chi ha dovuto fermarsi per i capogiri, chi è caduto… Un trucco semplice che crea effetti forti.
Sai benissimo che sotto di te c’è un ampio terreno ma quello che vedi è più forte di quello che sai. La ragione perde contro la sensazione. A meno che non si riesca a imporre il raziocinio, ma è davvero difficile. Una perdita di riferimento spaziale veramente pazzesca!
Tutto il percorso si incentra sul senso della memoria e sui meccanismi che muovono i ricordi e le emozioni a essi legati. Esistono tante versioni di passeggiate teatrali che lavorano su questi concetti, Salvaterra trova una via delicata, fatta di piccole idee ben realizzate, forse un po’ sbilanciata sulla poesia trascurando gli aspetti meno eleganti che riguardano la terra e la natura ma Tutto passa, tutto resta rimane un’esperienza godibile e niente affatto banale.
Dal cammino boschivo passiamo a un cammino cinematografico: Stracci. Contro l’uomo medio, di e con Vittorio Continelli è ispirato a La ricotta di Pierpaolo Pasolini, quarto episodio del film RoGoPaG (1963), i cui altri episodi sono firmati da Rossellini, Godard, Gregoretti.
Continelli parla direttamente al pubblico, dichiara apertamente che il suo accento romano è una caratterizzazione e che lui guarda a Pasolini con la distanza di chi è nato nell’anno, il 1975, in cui l’intellettuale è morto, assassinato su una spiaggia di Ostia.
Ne La ricotta una troupe sta girando nella periferia romana un film sulla passione di Cristo, il regista – alter ego di Pasolini – è niente meno che Orson Welles. Il protagonista è Giovanni Stracci, che interpreta uno dei due ladroni crocifissi con Cristo. Stracci ha fame, ha tantissima fame. Arriva a vendersi il cagnolino di un’attrice per guadagnarsi qualche soldo con cui comprerà una ricotta, che nasconderà in una specie di grotta perché non venga trafugata. I compagni di set lo prenderanno ferocemente in giro, e Continelli racconta, con il giusto grado di sporcizia e una lingua meticcia, il contrasto tra la primaria fame di Stracci e le battute sprezzanti di Welles a giornalisti inetti che gli pongono domande cretine.
Lo spettacolo è una narrazione che vuole essere anche un omaggio all’affamato Stracci, l’attore entra nella sua storia con note che altalenano tra la compassione per quel poveraccio e la consapevolezza di non essere, forse, nemmeno all’altezza di commiserarlo. C’è una fase del lavoro, più o meno a 3/4, in cui il testo e la drammaturgia si slabbrano un po’ perdendo ritmo e aggiungendo elementi non essenziali e che tendono a distrarre.
Continelli riprende però l’attenzione del pubblico quando finalmente dice – non sarà forse il primo a esprimersi così ma personalmente lo ho sentito particolarmente affine – che Pasolini è strattonato da tutti, tutti lo citano e stracitano, spesso a sproposito, sapendone poco o niente e ancora più spesso travisandone il pensiero perché possa sostenere la propria tesi, magari estrapolando un brandello di testo che – se correlato al prima e al dopo – significherebbe proprio il contrario. Pasolini detiene il record di affermazioni post-mortem ad uso delle opinioni più disparate.
L’attore e autore di Stracci. Contro l’uomo medio elenca alcuni riferimenti “culturali” generazionali da uomo medio che certo stanno ben lontani da Pasolini e lamenta la mancanza di un personaggio come lui con cui confrontarsi e anche con cui sentirsi in contrasto, per chi si è formato dopo la sua scomparsa. Se i cinquantenni sono cresciuti senza maestri, Continelli sospetta anche di chi ha avuto solo maestri e non potrei essere più d’accordo pensando ai tanti superdotti che non riescono nemmeno a ordinare un etto di prosciutto senza citare Roland Barthes.
Dopo aver mangiato la ricotta agognata, Stracci, per ironia beffarda, sarà ‘n morto de fame che more de indigestione, in croce. E quando Continelli per la fine dello spettacolo cambia posizione e si mette alle spalle della platea, gira di 180° gradi la prospettiva e legge della morte di Pasolini, morto per troppo amore della vita.
TUTTO PASSA, TUTTO RESTA
di Gabriella Salvaterra – SST Sense Specific Theatre
consulenza drammaturgica Miguel Jofrè Sarmiento
direzione tecnica Davide Sorlini
organizzazione Claudio Ponzana
con Arianna Bartolucci, Claudio Ponzana, Gabriella Salvaterra, Davide Sorlini, Angela Sparviero, Laura Torelli, Monica Varroni, Annalisa Zoffoli
coproduzione Artisti Drama
STRACCI. CONTRO L’UOMO MEDIO
di e con Vittorio Continelli
produzione Mowan Teatro
Festival Trasparenze, Gombola (MO) | 27 luglio 2024