ELENA SCOLARI | Sguinzagliati tra i luoghi festivalieri dell’estate 2024 scopriamo un altro gioiello non ancora intaccato dalla pazza folla: Radicondoli, in provincia di Siena, è un borgo di appena 1.000 abitanti, dove dagli anni ’80 si tiene un importante festival; nel 1991 è stata costituita l’Associazione culturale Radicondoli Arte, che da allora gestisce l’attività del festival di concerto con il Comune; Nico Garrone, sceneggiatore e critico teatrale e firma di Repubblica, dal 1997 al 2009 lo ha diretto con sapienza e attenzione ai fermenti del teatro contemporaneo facendo diventare il Festival di Radicondoli una delle esperienze più interessanti del teatro italiano. Il festival ospita anche il Premio omonimo (prima intitolato proprio a Garrone) ai “maestri che sanno donare esperienza e saperi” e ai critici più sensibili al teatro che muta. Dal 2012 è il regista Massimo Luconi, più volte guida artistica e organizzativa del Teatro Metastasio di Prato, a dirigere la manifestazione, cresciuta e cambiata nei decenni.

Nella giornata del 28 luglio, la penultima del festival, abbiamo visitato tre piccoli spazi del centro storico – Palazzo Lolini, le Scuderie e il mini Teatro dei Risorti – per tre diverse visioni di artisti italiani. Spettacoli decisamente eterogenei tra loro, vecchi e nuovi. E su questo sottolineiamo quanto sia importante che i festival – specialmente se in luoghi decentrati – non siano costretti a programmare prime, anteprime, studi, debutti per rimanere nelle miopi graduatorie dei finanziamenti ma possano invece ospitare lavori che rimangono interessanti per anni e che non sempre circuitano nelle Stagioni riemergendo dai bauli solo nei mesi estivi, proprio grazie a cartelloni attenti e non troppo schiavi del nuovo o, peggio, dell’innovazione, qualunque cosa significhi per i think tank che scrivono i testi del bandi.

Il pubblico è invitato a salire al primo piano di un elegante palazzo signorile del XVI secolo, un’ampia scalinata porta a una sala affrescata, già buia, con arredi d’epoca. Un luogo perfetto per un lavoro ispirato al Barbablù di Perrault. La sposa blu di e con Silvia Battaglio (produzione Zerogrammi) è uno spettacolo che mescola danza e teatro di figura, quasi senza testo – c’è solo una voce off non sempre intelligibile – in cui la performer è l’ultima moglie dell’oscuro cavaliere, tentata dalla famigerata stanza e gravata dal peso di quella maledetta chiave. È una storiaccia: anche se il pluriuxoricida morirà, il fine è lieto solo fino a un certo punto, le vittime restano. Non sapremo mai se Barbablù sarebbe stato un buon marito se una delle sue mogli non avesse aperto quella porta, le tragedie si consumano proprio a causa della disobbedienza e la morte arriva per punire la curiosità e la fiducia tradita.
Battaglio maneggia grandi chiavi di metallo da antico portone, tentando di resistere, in un dialogo con gli oggetti molto espressivo; quando cederà, dalla porta proibita uscirà una cordata di marionette – esemplari anni ’40 della collezione Toselli prestati dall’ Istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare di Grugliasco – tre donnine, legate tra loro da una corda, con le quali la protagonista interagirà in un bel gioco di complicità e tenerezza. Georg Trakl è autore di un dramma per marionette dal titolo Barbablù, tra l’altro.
La stanza dove ci troviamo potrebbe essere quella del castello, le musiche sono ispirate e le luci gotiche quanto basta. La sposa blu, in realtà vestita di bianco, è coraggiosa, tiene alla sua libertà, non si farà fregare. Potrebbe essere ancora più incisiva se avesse il coraggio di infilare la porta della fuga un po’ prima di alcune indecisioni che allontanano il tempo del vero finale.

Tante parole, invece, sono quelle che disegnano la personalità di Gianni, di e con Caroline Baglioni, in collaborazione con Michelangelo Bellani. Gianni Pampanini voleva sentirsi parte della natura, voleva trovare una donna da amare e da cui essere riamato, cicciottella oppure no. Gianni era un po’ filosofo ma era anche un po’ matto. Gianni si registrava, ci sono un sacco di cassette con i suoi lunghi monologhi, mentre a casa guardava la tv o pensava, mentre guidava da Perugia a Roma per andare dal terapista e ritorno. Caroline Baglioni è sua nipote, Gianni non c’è più ma lei ha trovato le cassette con la sua voce e ha trovato anche il modo per diventare lui per un’ora, con i capelli sciolti e un abitino elegante, mettendosi – letteralmente e non – nelle sue scarpe. Indossa una scarpa da uomo, grande, e una da donna, cammina in maniera irregolare, come era Gianni; squilibrata, come era Gianni. Sghemba. Eccentrica.


Il testo che Baglioni ha scritto è un adattamento delle parole trovate su quei nastri, recitate con accento perugino. L’attrice fa il gesto di fumare e di staccare la cenere dalla sigaretta mentre parla, mima la guida e indica la strada. È brava, ha quel tanto di buffo nell’abbassare un poco il timbro della voce; mentre cammina in un caracollìo controllato è come se cercasse di capire cosa voleva dire lo zio. Butta all’aria un mucchio di scarpe usate, le sistema in un modo e poi in un altro, prova a riassemblarle per vedere come possano corrispondere a una geometria drammaturgica che renda il senso del testo.
Il finale è lasciato alla voce di Gianni, in una delle registrazioni, affidando alla realtà differita il colore dell’intero spettacolo.

Chiudiamo la giornata nello spazio bomboniera del piccolo Teatro dei Risorti dove vediamo Acanto, di Nicola Russo con Alessandro Mor Gabriele Graham Gasco. Due uomini, uno giovane e uno più maturo, si trovano nella sala d’aspetto di uno studio medico. Si scoprirà man mano che i due protagonisti sono omosessuali, l’uno è in attesa di controlli, già consapevole di essere sieropositivo ma la sua situazione è sotto controllo – le nuove terapie abbassano a zero la carica virale – e l’altro attende invece di sapere se è positivo o meno. Dopo un’iniziale diffidenza entrambi sciolgono la tensione raccontandosi le proprie esperienze sessuali, narrate in una sorta di presa diretta, un passato che prende il tempo presente. Approcci differenti in generazioni differenti che affrontano però lo stesso impaccio e la stessa spregiudicatezza nell’avvicinarsi alle relazioni, perlopiù fugaci e vissute per conoscere l’altro e se stessi, esattamente come avviene per le persone eterosessuali, solo con una diversa percezione nel “costume” sociale, e forse con un un po’ di senso dell’avventura in più.


Mor è naturale, sa mettere una nota di spirito ironico davanti al codice comunicativo del giovane; Gasco è fresco, tende un filo di curioso interesse verso uno sconosciuto che, con il passare dei racconti, diventa un sé in un altro tempo, mosso però da istinti simili.
Il testo di Russo è ben scritto, i dialoghi sono senz’altro credibili ma l’utilizzo dei video (di Matteo Tora Cellini) non è sempre amalgamato con il registro complessivo; seppur curati nella realizzazione, il loro inserimento non riesce del tutto coerente con la creazione di un immaginario visivo che è creato più fortemente, nello spettatore, dalle parole dei due personaggi. Qualche sfrondamento del testo, mai interrotto, potrebbe dare maggior respiro alle immagini, aiutando a costruire un secondo livello di significati, meno immediato ma più metaforico.
La nota romantica delle foglie di acanto che ondeggiano all’aria aperta, nominate anche come segno distintivo di un atteggiamento sentimentale, danno la motivazione del titolo. Non si chiude invece lo “stratagemma” dello studio medico, il numero del prossimo in coda sul display rimane infatti sempre fermo. Quell’aspetto, delicato da toccare, non si risolve e resta solo un motivo funzionale a far incontrare i due uomini nella storia.

Il festival di Radicondoli è particolarmente attento alle drammaturgie contemporanee, riconosciamo quindi un merito importante al direttore artistico Luconi e a una manifestazione che porta in un piccolissimo borgo toscano alcuni talenti che altrimenti non avrebbero modo di raggiungere questo pubblico.

 

LA SPOSA BLU

diretto e interpretato da Silvia Battaglio
liberamente ispirata a Barbablù di Charles Perrault
disegno luci Tommaso Contu
produzione Zerogrammi
coproduzione Istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare/Festival Incanti, Officine CAOS/Residenza Arte Transitiva

GIANNI

ispirato alla voce di Gianni Pampanini
di Michelangelo Bellani e Caroline Baglioni
con Caroline Baglioni
regia Michelangelo Bellani
supervisione alla regia C.L. Grugher
luce Gianni Staropoli
suono Valerio Di Loreto
assistente alla regia Nicol Martini
produzione La società dello spettacolo

ACANTO

testo e regia Nicola Russo
con Alessandro Mor e Gabriele Graham Gasco
scene e costumi Giovanni De Francesco
suono Andrea Cocco
video Matteo Tora Cellini
assistente alla regia Isabella Saliceti
produzione Monstera

Festival di Radicondoli (SI) | 28 luglio 2024