OLINDO RAMPIN | È difficile reprimere l’euforia un po’ infantile che produce, a Macerata, l’animazione del Corso che porta allo Sferisterio poco prima dell’inizio di un’opera. La strada è chiusa al traffico, il pubblico sciama a piedi verso l’entrata e, seduti nei bar all’aperto, orchestrali e spettatori, eleganti o in gran tiro, mangiano in fretta un boccone, mescolati ai clienti abituali con infradito e t-shirt. Il Macerata Opera Festival, il primo del neo direttore artistico Paolo Gavazzeni, festeggia il centenario pucciniano con la Turandot, accolta con entusiasmo unanime, come la belliniana Norma, che l’ha seguita.
Giusto cent’anni fa Giacomo Puccini moriva lasciando incompiuta Turandot, dramma lirico che sembra sfuggire a ogni giudizio sommario, a ogni definizione tranchant.
Ma chi è davvero Turandot, questa “principessa di gelo” che esibisce caratteri di crudeltà parossistica? Qualcosa, in questo personaggio uscito dalla penna del veneziano Carlo Gozzi nel ‘700, ci sembra risuonare con il mito greco di Atalanta, l’eroina che sfidava i pretendenti in gare di velocità, condannando i perdenti a una morte atroce. Al di là della forma che assume la sfida, che in Turandot si esprime nei tre enigmi da risolvere, il legame tra le due storie è nella natura irragionevole della crudeltà riservata agli aspiranti e nello smarrimento della ragione che li spingeva, accecati dall’infatuazione, a cimentarsi in una missione sproporzionata al fine.
Oltre a Puccini, la Turandot veneziana di Gozzi ispirò Schiller, Busoni, Brecht, che nell’incompiuto Turandot ovvero il Congresso degli Imbiancatori seppe individuare gli elementi universali di arbitrarietà del potere che si esprimono negli enigmi della principessa e nel governo imperiale.
In Puccini, alla cui versione si deve il successo mondiale del personaggio gozziano, l’efferatezza e il “sonno della ragione” dell’originale e del mito sono accentuate fin dall’inizio dell’opera, con l’enunciazione solenne dell’editto imperiale.
Paco Azorín interpreta questi tratti distintivi della fiaba con geometrica essenzialità, lontana da scontate attualizzazioni o da recuperi filologici del preziosismo inarrivabile di Galileo Chini, cui Puccini affidò la scenografia. In uno spazio corto e larghissimo come quello dello Sferisterio, il regista e scenografo spagnolo immagina un livello superiore sobriamente Art déco, un percorso soprelevato di tortuose angolosità, che termina in uno spazio circolare: inespugnabile pagoda, scarlatta astrazione della torva inaccessibilità del potere. Sotto, ondeggia, con tutti gli altri personaggi, l’impotente folla dei sudditi, il popolo inerme dei coltivatori di riso, vessato dalla continua minaccia delle frecce di onnipresenti amazzoni.
A questa traduzione scenografica di una cupa tirannia rispondono i costumi di Ulises Mérida. Magniloquenti e lussuosi quelli di Turandot, esoterica e spietata “regina della notte” d’Oriente. Inquietante quello della donna-boia: corazza anatomica, iperbolici pantaloni militari da equitazione, in pugno un’alabarda cinese con lama enorme e arcuata. All’opposto stanno i poveri e sobri panni di Calaf, di Liù, di Timur, per tacere del popolino senza nome.
Olga Maslova è una Turandot possente e implacabile, nella voce, nel portamento e nel gesto. Ruth Iniesta veste con grazia umanissima i panni di Liù, unica antagonista della principessa, personaggio interamente buono e votato al sacrificio. Robusto il Calaf di Angelo Villari, sensibilissimo il Timur di Antonio Di Matteo.
La direzione orchestrale di Francesco Ivan Ciampa non enfatizza ulteriormente il lussureggiante tessuto sonoro della scrittura pucciniana, ma ne propone un’interpretazione sottile, “rallentata”, capace di cogliere silenzi, finezze, sfumature.
Anche la Norma è debitrice di una consistente dose di esotismo, ma la sua collocazione in una Gallia dedita a culti primitivi e a un frustrato ribellismo anti-romano, ha una funzione, rispetto alla Cina pucciniana, più esteriore e occasionale. Quel che conta, qui, è il racconto di un triangolo amoroso gestito con fatale maldestrezza dall’elemento maschile, il comandante romano Pollione, che vorrebbe liberarsi della sua amante druida, la sacerdotessa che dà il titolo all’opera, per impalmare un’altra nativa, Adalgisa.
All’intreccio amoroso si aggiunge anche una pulsione infanticida, eco della figura di Medea. Norma ci trasferisce, così, al polo opposto delle due tradizionali ossessioni e mitizzazioni del maschile sul femminile. Alla “donna crudelissima” di Puccini si contrappongono non una, ma ben due “donne martiri”, vittime masochistiche della propensione del maschio-alfa a cambiar preda.
Maria Mauti, Garces-de Seta-Bonet Arquitectes e Nicoletta Ceccolini affrontano per sottrazione il cimento dello dello spazio scenico iper-orizzontale dello Sferisterio. Una smisurata luna piena e nere strutture metalliche polifunzionali, movimentate in scena dallo staff tecnico, sono messe in relazione con il grande muro in mattoni a vista, mantenuto così ben leggibile nella sua nuda bellezza, evocativa per sé stessa di vaghe architetture antico-romane, dai cui bui ingressi ad arco acquistano uno speciale vigore drammatico le entrate in scena dei personaggi.
La direzione di Fabrizio Maria Carminati dà modo alla natura più profonda della partitura di Bellini, opera belcantistica per eccellenza, di emergere compiutamente. Marta Torbidoni e Roberta Mantegna, Norma e Adalgisa, hanno campo libero per esprimere un moto continuo di virtuosismi vocali e di preziosa cura della parola e dei silenzi, che rappresenta la traduzione canora della tempesta di emozioni e colpi di teatro nel rapporto tra le due amanti di Pollione. Antonio Poli riesce nella non facile prova di stare al passo con la prova superba delle due voci di soprano.
TURANDOT
Dramma lirico in tre atti di Giacomo Puccini
Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Regia e scene Paco Azorin
Costumi Ulises Mérida
Luci e video Pedro Chamizo
Coreografia Carlos Martos de la Vega
Maestro del Coro Martino Faggiani
Maestro delle Voci Bianche Gian Luca Paolucci
Turandot Olga Maslova
Calaf Angelo Villari
Liù Ruth Iniesta
Timur Riccardo Fassi
Ping Lodovico Filippo Ravizza
Pong Francesco Pittari
Pang Paolo Antognetti
Altoum Christian Collia
Un Mandarino Alberto Petricca
Il Principe di Persia Mauro Sagripanti
Orchestra Filarmonica Marchigiana
Coro Lirico Marchigiano Vincenzo Bellini
Maestro del coro Martino Faggiani
Coro di Voci Bianche Domenico Zamberletti
Banda Salvadei
Nuovo allestimento dell’Associazione Arena Sferisterio in coproduzione con l’Opéra Grand Avignon
Macerata Opera Festival | 3 agosto 2024
NORMA
Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani
dalla tragedia Norma ou L’infanticide di Alexandre Soumet
Musica di Vincenzo Bellini
Direttore Fabrizio Maria Carminati
Regia Maria Mauti
Scene Garcés – de Seta – Bonet Arquitectes
In collaborazione con Carles Berga
Costumi Nicoletta Ceccolini
Luci Peter van Praet
Video Lois Patino
Assistente alla regia Adriana Laespada
Assistente alla scenografia Chiara La Ferlita
Pollione Antonio Poli
Oroveso Riccardo Fassi
Norma Marta Torbidoni
Adalgisa Roberta Mantegna
Clotilde Carlotta Vichi
Flavio Paolo Antognetti
Form – Orchestra Filarmonica Marchigiana
Coro lirico marchigiano Vincenzo Bellini
Maestro del coro Martino Faggiani
Banda Salvadei
Macerata Opera Festival | 4 agosto 2024