MATTEO BRIGHENTI | Il 2023 doveva essere l’ultimo. L’ultimo anno di Terreni Creativi. L’ultimo giro di Kronoteatro nelle serre di Albenga. “Lascia l’ultimo ballo per me” era il titolo di quella quattordicesima edizione. Me. Il festival ideato e diretto da Maurizio Sguotti, Tommaso Bianco, Alex Nesti. Un organismo vivente, identificato appieno con un altro me, il pubblico. A differenza delle istituzioni pubbliche, non hai mai fatto mancare sostegno e gratitudine per il meglio dei linguaggi performativi della scena contemporanea. Altrimenti impossibile da conoscere in questa piana della Liguria, in provincia di Savona.
Doveva. Perché così non è stato. L’imperfetto non si è perfezionato. Allora, ancora nel 2024 “Il Paradiso può attendere”, come rivendicano i manifesti della quindicesima edizione, con Sguotti, Bianco, Nesti, ritratti come angeli sorridenti quanto sardonici (progetto grafico di Nicolò Puppo). Merito della loro sfacciata abnegazione e di un fondo da 40 mila euro vinto attraverso un bando della Fondazione Compagnia di San Paolo di Torino.
Il teatro, la danza, la musica, sono così tornati dal primo al 4 agosto scorsi negli spazi unici della Cooperativa L’Ortofrutticola, con la direzione artistica stavolta tripartita: Francesca Sarteanesi per il teatro, Francesca Foscarini per la danza, Angela Giorgi per la musica. Gli stessi Terreni Creativi si sono fatti in tre: oltre al Festival, Terreni Creativi Nuove Generazioni a giugno e a luglio, per il giovane pubblico, e Terreni Creativi Conversazioni il 9-10 settembre prossimi, un convegno sulla diffusione della cultura teatrale con tema, quest’anno, Teatro e Natura.
«La lavorazione del nostro film è ripartita, grazie a tutti quelli che ci hanno creduto e che ci hanno aiutato, ed essendo noi molto “angelici”, grazie anche agli altri». Sottinteso: chi non ci ha creduto né li ha aiutati. Lo scrivono gli organizzatori non firmandosi, quindi a nome di tuttɜ. E aggiungono: «Il Paradiso può attendere, ma non bisogna mai perdere l’opportunità di creare il proprio».
È questa la prospettiva che seguo nel mio finesettimana lungo in città: la ricerca di nuovi mondi alternativi, di realtà che sfuggono alla norma, di incontri che vanno come vogliono, di pensieri che non parlano o non sentono ragioni. Spettacoli, quindi, che esplodono convinzioni e convenzioni, e le guardano esplodere con un sorriso che diventa urlo e viceversa.
Accanto ai Grandi Maestri come Danio Manfredini, Dario Marconcini e Giovanna Daddi, Spiro Scimone e Francesco Sframeli, la Compagnia Teatrale Enzo Moscato – «Il teatro deve tenere di conto di quello che abbiamo già visto», dichiara Sarteanesi, «proporre, riproporre» – mi riferisco, in particolare, alle Generazioni Scenario, di cui ho visto La costanza della mia vita di Pietro Giannini e Poema a tre voci di Tilia Auser, segnalazioni speciali della giuria 2023, e il solo di danza Luisa di Valentina Dal Mas, Premio Scenario Periferie 2023. E poi, Victory Boogie Woogie di e con Charles Pas, Rint Mennes.
La ribellione all’essere soltanto un numero, un oggetto dell’azione, è il campo di battaglia di Pas alla frenesia della quotidianità. Dei movimenti di ogni giorno – come aprire la porta, farsi il caffè, prendere la macchina – rimangono solo i gesti, accompagnati dal suono che farebbero. Per questo, siamo di fronte a un Solo o meglio Duo con musicista, come recita il sottotitolo di Victory Boogie Woogie. Le azioni ripetute, sempre le stesse, sono “suonate” da Mennes. Il danzatore-mimo si relaziona con cose invisibili – la maniglia non c’è, né la tazzina, né la portiera. Tolte quelle, scompare il senso, il perché, resta il concetto di ciò che sta facendo.
Infatti a un certo punto se ne chiama fuori. Si mette su una delle sedie a lato, mentre il palco risuona per conto suo. Charles Pas, totalmente inerte, ne è completamente sormontato. Riesce a zittire tutti quei trilli, fischi, sibili, quando li pensa e li fa piccoli piccoli, fino a decostruirli, destrutturarli: il suono non è in precise azioni del presente ma in altre eseguite in un altro tempo. Victory Boogie Woogie le ripercorre, così se ne impossessa e può combatterle.
È una grande prova di forza e di resistenza. Prima sembra voler sfondare il palcoscenico, passare dall’altra parte per uscire dal mondo attorno a lui e accedere a un’altra dimensione. Poi scende tra il pubblico, con una camminata che è un continuo inciampo: quando non ti reggi in piedi cadere a terra è l’unico appoggio che hai per andare avanti.
Victory Boogie Woogie affascina e sorprende per quanto dice senza dire, per quanto ti lascia liberǝ di immaginare. Il nastro si riavvolge e quanto abbiamo visto, alla fine, può essere il prima di un incontro che ha portato a un distacco. Forse, è tutto nella testa di Pas, un sogno a luce accesa. Una lingua per raccontarsi la realtà e poterla sostenere, come fa Pietro Giannini con La costanza della mia vita.
La lingua crea la realtà, e viceversa. C’è coincidenza, secondo il filosofo Ludwig Wittgenstein, tra i confini del nostro linguaggio e quelli del nostro mondo. Dicono chi siamo e di conseguenza come vediamo. Il punto di vista di Giannini è il suo punto di vista di bambino a 9 anni. Racconta a suo modo il trasferimento della sorella. Il modo che ha per interpretare la verità e poterla stringere tra le mani.
È un codice, che ha una regola sola: riportare tutto a sé. Alla misura di sé. Allora può raccontare che «ai miei genitori sudano gli occhi» oppure ancora che gli occhi «si guastano». È un vocabolario di parole-cose che quasi risponde a Victory Boogie Woogie, indicando però solo le situazioni, gli oggetti, staccati dai contesti e dalle azioni usuali. Qui si vuole evidenziare il senso, appunto, che va oltre la dichiarazione del concetto.
Attenzione: è un senso che il bambino rivela senza rendersene conto, senza saperlo proprio. Secondo lui fa descrizioni rigorose, fa cronaca esatta dei fatti. Per noi, invece, che conosciamo l’uso della metafora, si tratta di ricostruzioni tenere, buffe, poetiche, fondate su una parola indicibile.
Pietro Giannini esprime profonda naturalezza e limpida dimestichezza, proprie della piena adesione alla sua parte in commedia. E pure commovente urgenza, se il termine non fosse abusato. Urgenza di sapere perché. Siccome il padre, la madre, la sua famiglia scomposta, la «Signora del pongo», non gli rispondono (non possono, né tantomeno lui capirebbe), attraverso la porta spazio-tempo del teatro può chiederlo direttamente alla sorella.
Così, dalla fine la storia torna all’inizio. Il 2010, la E80, il mondiale alla radio. Ed è maledettamente straziante, perché lui ancora non capisce, nonostante risucceda davanti ai suoi occhi. Quella parola, comunque, non la pronuncia. Né adesso, né mai. Quello che riesce a dire è tutta La costanza della mia vita.
Anche Valentina Dal Mas dà alle parole un altro vocabolario: attraverso il suo corpo. Tutto, di nuovo, per amore. L’amore per Luisa. Si è fatto spazio dentro di lei. Ora, con Luisa, si fa spazio nello spazio fuori. Condivisione di un dialogo di pensieri e movimenti che danzano e cantano che la vita è di chi l’afferma: non importa come.
Il solo nasce dal loro incontro alla “Primula” di Valdagno (Vicenza), la cooperativa sociale che opera «al recupero globale di persone in qualunque modo emarginate». Un ambiente sublimato in una sedia-mondo, come già per Giannini, una rosa rossa in vaso e un rettangolo di luce, che poi si allarga a tutto quanto il palcoscenico. Dal Mas lo abita e attraversa per restituirci la Luisa impressa nel suo corpo. Ovvero, che le è rimasta addosso e che da allora non la lascia. Ovunque vada.
Il suo intento, dunque, è descrivere, ripercorrere, rianimare le azioni che danno presenza a quel corpo, storia a quella biografia. O, meglio, la sua idea, la sua interpretazione di simili azioni. La musica che, oltre ad Antonio Vivaldi e Fausto Leali, muove tanto la volontà quanto la partitura, è la voce stessa della donna. «Il mio nome sono Luisa». Un dire libero, senza regole, in un unico respiro, che risale da profondità abissali, come da un gorgo interiore, alla luce della parola. Le sue emozioni vanno veloci, la lingua non riesce a stare loro dietro.
Valentina Dal Mas trattiene nella sua scia la possibilità di sentire un ricordo sempre nuovo, una memoria sempre diversa di Luisa. Di ripetizione in ripetizione, però, Luisa diventa l’eco di immagini che si rincorrono con frasi sussurrate, accennate, sillabate a fior di labbra. Scolorano, scompaiono, lasciando ciò che hanno trovato: descrizioni via via sempre più idealizzate e idealizzanti, come se la nostra partecipazione emotiva non fosse mai abbastanza. Fino a una corsa con la camicetta legata attorno al collo, a mo’ di mantello da supereroina, per alzarsi in volo alla ricerca della commozione definitiva.
Agisce, invece, sulla sua propria voce Sara Bertolucci in Poema a tre voci di Tilia Auser da un radiodramma in versi di Sylvia Plath. Una manipolazione che dà alle parole la forma di un gioco di ombre, ritagliate nel bianco chirurgico di un misterioso e opprimente spazio asettico. È un grembo glaciale di una mente inquieta, tra microfoni, registratori, due lastre in plexiglass e, al centro, quasi un tessuto non tessuto. Quello antigelo, che la poeta Alessandra Carnaroli, in 50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti, non ricorda «che era fatto apposta per lasciar respirare la pianta». L’esistenza, qui, è un inverno che non passa.
Bertolucci inizia in silhouette. Digita su una macchina da scrivere: il suono dei tasti si distorce nella pioggia di un pianto riprodotto in loop. È una figura che cerca, assorbe e dà luce. La luce dei tre personaggi femminili di Three Women. A Poem for Three Voices. Tre donne còlte in un reparto maternità: l’una per un parto, l’altra per un aborto spontaneo, l’altra ancora per un aborto volontario. Nel testo in versi liberi di Plath, mandato in onda dalla BBC nel 1962, non si incontrano mai. Poema a tre voci le riunisce e le scompagina in un’unica presenza frastornata da pensieri che si sovrappongono al buio che le perseguita.
Le frasi arrivano a brandelli, per questo la comprensione è difficile. Ma ciò che più interessa a Tilia Auser, si direbbe, è precipitarci nella spirale di un mondo che non permette a quella donna – forse proprio Sylvia Plath – di essere libera da sé stessa. Infatti, i suoni sono in gran parte autoprodotti direttamente sul palco. Il canto, quando irrompe nella recitazione cupa di Sara Bertolucci, le solleva il velo da sposa del dolore. Non abbaglia: rischiara. Apre all’invito a guardarla negli occhi.
Ma sono momenti di requie passeggeri, lampi di salvezza destinati a spegnersi. Lei è un ramo secco. Quanto quello che ha abbandonato per terra come un libro letto troppe volte, a cui non può cambiare il finale. «Che cosa terribile essere così aperti». La ferita è la vita stessa. E pulsa e batte che tu la voglia donare oppure no.
VICTORY BOOGIE WOOGIE
SOLO o meglio DUO con musicista
idea e interpretazione Charles Pas
idea e composizione dal vivo Willem Lenaerts, Rint Mennes
mentori Stephen Liebman, Liet Lenshoek, Suzy Blok
drammaturgia Wessel Padberg
costumi Bonne Suits
produzione Likeminds
in collaborazione con A Fully Coherent Plan, ICK Artist Space
with special ringraziamenti a DeSingel, Corso, Niels van Heijningen, Emma de Mol, Shamisa Debroey
LA COSTANZA DELLA MIA VITA
di e con Pietro Giannini
produzione Teatro Metastasio di Prato
con il sostegno di Scenario ETS, Teatro Due Mondi – Residenza per artisti nei territori, Faenza
Segnalazione Speciale Premio Scenario 2023
LUISA
di e con Valentina Dal Mas
direzione tecnica Federico Fracasso
occhio esterno/assistente alla creazione Ludovica Messina Poerio
registrazioni audio Matteo Balbo
residenza artistica presso Teatro Due Mondi di Faenza
produzione La Piccionaia
un ringraziamento a Angela Marangon, Claudia Rossi Valli
Vincitore Premio Scenario Periferie 2023
POEMA A TRE VOCI
di Tilia Auser
da un radiodramma in versi di Sylvia Plath
con Sara Bertolucci
ideazione, drammaturgia, composizione vocale Sara Bertolucci
direzione tecnica Jacopo Cenni
col sostegno di Centro di Residenza Emilia-Romagna (L’Arboreto-Teatro Dimora / La Corte Ospitale), Santarcangelo Festival, Florian Metateatro, Dello Scompiglio
Segnalazione Speciale Premio Scenario 2023
Terreni Creativi | Cooperativa L’Ortofrutticola, Albenga (Savona) | 2 – 4 agosto 2024