RENZO FRANCABANDERA | La calura non risparmia la dolce Bassano, cittadina sempre affollata di turismo e di senso della vita. Operaestate, il festival giunto alla 44esima edizione che la anima nella stagione calda, ha ad agosto una parentesi importante, B.Motion, che entra nello specifico del linguaggio performativo contemporaneo. La direzione artistica del festival, affidata all’interessante duo composto dalla memoria storica di questo evento, Rosa Scapin, e da Michele Mele, subentrato a Roberto Casarotto l’anno passato, garantisce il legame con il territorio e lo sguardo profondo sui linguaggi ibridati del presente.
L’edizione di quest’anno, a differenza di quelle degli anni passati che separavano in modo netto i due weekend fra teatro e danza, vede un programma in cui i due linguaggi si mescolano senza confini.
Resta poi, ad attraversare il cartellone in modo trasversale, una presenza importante di esperienze legate al welfare culturale di cui questo festival, grazie al lavoro svolto negli anni e alla rilevanza internazionale assunta in modo particolare dal progetto Dance Well, è diventato capofila a livello europeo per progetti su arte e salute. Molte sono le proposte che si muovono attorno a tali tematiche e che permettono di leggere le tendenze non solo artistiche ma anche esperienziali in questo ambito, con corsi, aggiornamenti, convegni, studi. Da questo punto di vista Bassano è davvero una punta molto avanzata della progettualità nel comparto dell’arte in Italia (e non solo).
Esemplificativo della ricchezza del programma è stato il primo weekend del festival, dove la scena si è rivelata agli spettatori nei suoi significati davvero più ampi ed estesi.
Partiamo, nel racconto delle giornate di sabato e domenica, da The Game, della compagnia svizzera Trickster-p che, dopo il progetto Eutopia, torna ad approfondire la sua ricerca sul gioco come possibile forma artistica. Lo spettacolo fa parte di un ampio e interessante filone del teatro partecipativo, in cui gli spettatori, chiamati anni fa da Bernat o Rimini Protokoll a sostituirsi agli attori e ad agire la drammaturgia, entrano qui in un gioco di ruolo, di solito con un piano di lettura in filigrana che riguarda le forme della società. Non sono mai vere e proprie partite, non sono riunioni per giocare a Monopoli o Dungeons and Dragons.
Il campo di gioco qui è la stessa società contemporanea e, in particolare, la sua relazione con le strutture organizzative e le dinamiche economiche sulle quali essa si fonda: stilizzata con le caratteristiche di un’isola divisa in piccoli appezzamenti di terra, la micro-nazione di cui gli spettatori (divisi in sei squadre) sono abitanti deve sviluppare la sua economia, un po’ come nella saga dei videogiochi di costruzione tipo Empire, partendo da una mucca, per arrivare poi ad estendersi per profitti e logiche espansive. Come nel Monopoli però ci sono gli imprevisti, e qui non si gioca ad libitum, ma solo per otto turni, in cui si può accrescere la stalla, accumulare lingotti, raccogliere e vendere fieno, comprare e vendere terreni e persino rubare una vacca al vicino. Insomma fra etica e strategia, le sei squadre si confrontano, invero con un discreto accanimento dei giocatori (definirli spettatori o spett-attori qui non ha veramente più senso): alla fine essi stessi decretano, dopo un breve parlamentare fra di loro, quale gruppo ha rappresentato (e questa cosa è in fondo una parte interessante della faccenda) il modello di sviluppo più interessante, non senza contraddizioni, inciampi, autopromozione.
Insomma una fiera del pensiero sulla forma sociale, un esperimento formalmente curato e studiato per essere affidato, senza grandi difficoltà, alla gestione di due soli stewart della faccenda, che sono poi i due membri della compagnia, ovvero Cristina Galbiati e Ilija Luginbühl, non senza ricordare qui la collaborazione artistica di Maria Da Silva e Yves Regenass e quella al game design di Pietro Polsinelli.
Bello sia lo spazio sonoro originale di Zeno Gabaglio che la grafica video di Studio CCRZ. Il gioco, gradevole, ha qualche contraddizione logica, come il fatto che non sia specificato ex ante un obiettivo per i giocatori, e che le regole non si scoprano tutte all’inizio ma man mano. Il tempo però, fra vacche al pascolo, stalle, balle di fieno e lingotti, passa veloce e in modo piacevole. È una struttura che avrebbe potuto favorire anche altre questioni, più specificatamente politiche, ma che decide di fermarsi al di qua e di sospendere il giudizio, lasciando agli spettatori di valutare e valutarsi.
Passiamo al Progetto Koltès, una delle punte di questa edizione, da un’idea di Michele Mele nata dopo aver assistito a una primigenia versione di Nuttata, traduzione in napoletano del monologo scritto nel 1977 da Bernard-Marie Koltès La nuit juste avant les forêts (trad. in italiano con il titolo La notte poco prima della foresta), e proposta un paio di anni fa in forma di studio da Domenico Ingenito allorquando aveva avuto la menzione speciale del Teatro Stabile di Napoli per il Premio Leo De Berardinis.
Di qui nasce l’idea di coinvolgere tre artisti, di tre geografie diverse e linguisticamente molto connotate, ovvero lo stesso Ingenito, il palermitano Giuseppe Massa e i veronesi Babilonia Teatri, per dar vita a un trittico di versioni dialettali del testo del grande autore francese. Arriviamo a Bassano il sabato e quindi non riusciamo ad assistere a Foresto, di Babilonia, interpretato da Enrico Castellani e dal performer Daniel Bongioanni che traduce ma sotto molti aspetti interpreta il testo nella lingua dei segni per persone affette da sordità. Bongioanni è molto noto nella sua comunità di riferimento. L’eco dello spettacolo è ancora molto viva tra chi lo ha visto e il pubblico ne parla con significativo riguardo, per la potenza dello stimolo ricevuto.
Come noto il testo racconta l’incontro di uno straniero con uno sconosciuto visto camminare lungo la strada, un lungo monologo/flusso di coscienza scritto dall’autore francese con una lingua ora selvaggia, ora poetica, e sicuramente non facile da tradurre.
Le tre operazioni differiscono in modo sostanziale.
Foresto è già uno spettacolo: ha debuttato con successo a luglio a Pergine, dove i Babilonia hanno la direzione artistica del festival estivo all’interno del quale hanno proposto la prima.
Nuttata viene presentato qui per la prima volta nella sua versione integrale, nell’interpretazione in reading-monologo di Ingenito che affida davvero la sua essenza di persona e di artista a questa invettiva che sa di delirio di strada e che termina nella più completa nudità dell’interprete: il protagonista racconta del suo sentirsi estraneo, dell’emarginazione, del suo bisogno d’amore e della sua condizione di emigrato dalla sua terra d’origine, cambia maglia, cambia pelle fino a rimanere nudo davanti a tutti, privo di difese in una danza sciamanico-tribale della fragilità.
La traduzione e adattamento dell’attore palermitano Giuseppe Massa, invece, intitolata Canzuna segreta, si giova dell’interessante presenza in scena del polistrumentista e compositore, co-fondatore della band La rappresentante di lista, Dario Mangiaracina. Il musicista, anch’egli palermitano, non è affatto a digiuno di questioni teatrali, e anzi pratica il linguaggio performativo da anni, e questo consente a Massa di proporre la sua vivida traduzione in palermitano del testo di Koltès quasi come una solitudine con eco, arricchita non solo dall’altra presenza scenica, che sviluppa una interessante dualità ma anche dal contributo musicale originale di Mangiaracina, ricavandone un lavoro che, pur restando ancora nella sfera della lettura, ha ampie aree di azione già riccamente strutturate e pronte a diventare la base di una creazione ricca e interessante.
Chiudiamo questo primo sguardo sul weekend con Crepa, il duetto di e con Sara Sguotti e Arianna Ulian su testi della stessa Ulian, che da anni partecipa attivamente, con gesto politico e poetico al lavoro di Dance Well a Bassano, nel viaggio che la porta a sperimentare l’arte nella malattia.
Dentro l’ambiente sonoro creato da Spartaco Cortesi, il tema costruito attorno alla parola che dà titolo alla performance, si snoda con grande crudezza proprio in ragione dei testi scritti dalla stessa Ulian e che parlano della sua esperienza.
Il cambiamento del corpo che diventa anche cambiamento sociale, nelle difficoltà di vedere accolte le diversità indotte nel suo specifico vissuto dalle modificazioni del connotato fisico. La austera bellezza di questa donna, con gli arti in parte agitati dallo spasmo, dialoga con la danzatrice, coinvolta nei progetti di Dance Well e che porta questo duetto verso una riflessione che ora va verso l’accoglienza e la cura, ora verso le inevitabili solitudini di chi affronta la malattia.
La performance era stata già proposta, in una prima e breve versione l’anno scorso alla NID Platform a Cagliari e di quell’evento è disponibile anche una interessante registrazione video. Il lavoro si è evoluto sicuramente nella durata e nella parte del progetto sonoro, bello e interessante. Dell’esperienza cagliaritana resta forse da recuperare il tema dell’insinuarsi fra le geografie degli spettatori, rompendo la frontalità e la frizione perimetrale che qui nel chiostro del museo a Bassano per un verso amplia lo sguardo, ma per altro non permette a questa storia di girarci accanto, di infilarsi dentro le nostre crepe, spingendo al massimo il senso del montaggio di parole, suoni e gesti attorno all’immagine dello smottamento ma anche dell’apertura, ferita eppure feritoia per corpi che si accostano. La ricerca di Sguotti nei suoi recenti progetti si è concentrata sulle riflessioni intorno al senso della cura, della partecipazione, dell’ascolto e della guarigione, sui corpi nella loro intrinseca fragilità fatta spesso dall’implicito giudizio che dall’esterno arriva a definirne la sagoma e il sembiante sociale.
Questo lavoro ben si iscrive sia nella parte dei movimenti che in quella sonora dentro una lettura complessa, sociale e artistica, di questi riferimenti.
Progetto più dolce nei gesti e nella coreografia, invece, quello a cui la stessa Ulian, insieme ad altre danzatrici Well Dancers, partecipa e che come tutti gli anni viene affidato a una coreografa internazionale. La coreografia Dance Well Dancers, ambientata nella sala grande del piano nobile di Palazzo Bonaguro, porta la firma di Chisato Ohno, dentro un delicato e aereo sound design realizzato da Kazuo Ohno. I costumi di Yumi Shemesh lavorano non sulla rottura ma su un senso di fluidità e di eterno scorrere in cui la vita, le soste, le riprese, il frenetico rimbalzare ora di qua, ora di là come biglie sul biliardo dell’esistenza, lasciano via via il posto alla pace dell’essere, che va trovata anche nel dialogo e nell’interazione con gli altri. Una riflessione che ha dentro un codice segnico particolare e bello da leggere con un’apertura a un sistema simbolico diverso da quello al quale siamo abituati.
THE GAME
creazione: Trickster-p
concetto e realizzazione: Cristina Galbiati, Ilija Luginbühl
collaborazione artistica: Maria Da Silva, Yves Regenass
collaborazione al game design: Pietro Polsinelli
spazio sonoro originale: Zeno Gabaglio
occhio esterno: Martina Mutzner
grafica e consulenza all’allestimento: Studio CCRZ
produzione: Trickster-p, LAC Lugano Arte e Cultura
co-produzione: ROXY Birsfelden, Theater Casino Zug, Theater Chur, Theater Stadelhofen Zürich, TAK Theater Liechtenstein, Triennale Milano Teatro
in collaborazione con: Casa degli Artisti – Milano
con il sostegno di: Pro Helvetia – Fondazione svizzera per la cultura, DECS Repubblica e Cantone Ticino – Fondo Swisslos, Città di Lugano, Municipio di Novazzano
NUTTATA
Co-produzione OE – Prima Nazionale
Traduzione e adattamento de La nuit juste avant les forêts di Bernard-Marie Koltès
A E. M., per la grazia che mi ha donato
A E. M., per le parole che ci ha donato
A E. M., per la libertà e irriverenza che ci ha donato
A E.M., per tutto quello che – almeno io- non so dire ancora con le parole
Traduzione e scrittura: Domenico Ingenito
Lettura: Domenico Ingenito
coproduzione Interno5, OperaEstate Festival.
Coproduzione Oe – Prima Nazionale
riscrittura e traduzione di “La nuit juste avant les forêts” di Bernard-Marie Koltès
traduzione e adattamento Giuseppe Massa
con Dario Mangiaracina, Giuseppe Massa
musiche Dario Mangiaracina
CREPA
di e con Sara Sguotti e Arianna Ulian
testi Arianna Ulian
ambiente sonoro Spartaco Cortesi
accompagnamento drammaturgico Giovanni Sabelli Fioretti
PR e media relations Giuseppe Esposito
Produzione Perypezye Urbane
Coproduzione OperaEstateFestival \ CSC centro per la scena contemporanea di Bassano del
Grappa, MilanoOltre
con il supporto di Santarcangelo Festival, IIC Zurigo, Tanzhaus Zurich, Passages Transfestival, IIC Strasburgo, Centro di Rilevante Interesse per la Danza Virgilio Sieni, Théâtre Sévelin 36
DANCE WELL DANCERS
di Chisato Ohno
assistente alla coreografia Beatrice Bresolin
Sound design Kazuo Ohno
Costume design Yumi Shemesh
Prima nazionale – Produzione OE