RENZO FRANCABANDERA | C’è una agitazione generazionale che attraversa i segni degli artisti under 40. E non solo perché i bandi magari chiedono creazioni su specifici temi come crisi climatica, migrazione ecc. È una urgenza sicuramente politica che magari ancora non trova uno specifico modo di strutturarsi fuori dalla scena e che non ha più come agone della contesa questa o quella nazione, ma si estrinseca in problemi globali ai quali arrivano ancora risposte parziali da parte di soggetti portatori di specifici interessi.
Per altro verso, la comunicazione internazionale social mediale, pur con i suoi gravissimi limiti e il suo farsi veicolo di falsa informazione, ha permesso, mai come in quest’epoca, a persone appartenenti a nazioni, gruppi di interesse, comunità portatrici di specifiche istanze, di connettersi fra loro e di attivare piattaforme di rivendicazione. Ne nasce quindi un fermento, una sorta di furia che porta queste entità soggettive, pur distanti fra loro, a perdere la propria condizione di estatica immobilità – che in alcuni casi pare quasi incomprensibile – per sviluppare nuovi modelli comunitari.
Questi, pur in mancanza di una strutturazione formale precisa, comunque forniscono e a chi ne prende parte un nuovo senso di fusione e appartenenza.
Potrebbe essere questa, ad esempio, una delle letture possibili, di Healing together presentato da Daniele Ninnarello sul palco del teatro Remondini a Bassano del Grappa nell’ambito di questa edizione 2024 di B.Motion, la sezione di Operaestate festival dedicata alla performatività contemporanea. La creazione, non a caso, nasce da una serie di brevi azioni coreografiche chiamate “proteste silenziose” e create durante i periodi di lockdown e dedicate al concetto di “corpo della protesta”.
Non è l’unico lavoro che viene attraversato da questo fermento e in questo articolo proveremo a unire tre rappresentazioni presentate durante la rassegna e che pare condividano questa questione di fondo: l’irrequietezza, la furia, il bisogno di esternare, fino al limite di mettere in scena la possessione, come accade in uno degli spettacoli di cui andiamo a parlare in seguito.
Torniamo alla proposta di Ninnarello: il pubblico entra in sala trovando quattro giovani performer (Vera Borghini, Loredana Canditone, Silvia Brazzale, Raffaele Tori) che già hanno preso posto sul palcoscenico, in vista.
La loro disposizione è una sorta di geometria da natura morta morandiana: due sono al bordo del proscenio, uno a sinistra sdraiato, una a destra seduta con le gambe penzoloni, una al centro seduta con le gambe acciambellate, una in piedi in fondo a destra. Calano le luci in sala e non succede nulla.
Passano lunghi interminabili minuti di assoluto silenzio e continua a non succedere nulla, se non appunto un cosmico silenzio che ci fa percepire finanche la signora in prima fila che scarta una rumorosa caramellina.
Non è sicuramente la prima volta che entriamo, a teatro, in un ambiente fatto di silenzio, immobilità e rarefazione, come pure di lentissimi ed estenuanti movimenti come quelli che di lì a poco i performer inizieranno a porre in atto, perdendo la posizione iniziale per mutarla in progressivi micro spostamenti Spostamenti che però li lasciano nella posizione iniziale fino a quando effettivamente non arriva una sorta di forza superiore, capace di animare questi spiriti monadici e separati, per portarli, dopo essersi fatti attraversare da una furia che li trascina persino a invadere la platea, a fondersi in una amalgama umana indistinguibile di corpi, che è la visione con cui lo spettacolo si conclude.
Nonostante il fatto che silenzio e immobilità siano cifre che il teatro e la danza conoscono e attraversano da tempo, il pubblico avverte uno straniamento e cerca a lungo, nella fase di stasi iniziale, il senso di quello che viene proposto. La lentezza estenuante, la relazione fra gli individui incerta e isolata evocano (e vorremmo dire, per fortuna) ancora irrequietezza in chi osserva. Magari fra qualche anno, in una società di hikikomori in cui forse ci saremo trasformati, magari questa silente rigidità relazionale, questa incapacità di creare nuclei di prossimità e avvicinamenti magari non sarà più disturbante o inquietante. Per fortuna invece ancora qualcosa ci arriva, ci spinge a reagire, a cercarci, a volerci riunire, rimescolare, pur diversi, pur strani, pur ognuno a modo proprio. E questo resta della visione, oltre il gesto che comunque gli interpreti attraversano in modo accurato e evocativo.
Di protesta in protesta, arriviamo a una creazione dal titolo lunghissimo: Bless the Sound that Saved a Witch like Me di Benjamin Kahn, coreografo e danzatore di talento, diplomato all’ESAC (École Supérieure des Arts du Cirque) in Belgio. Ha collaborato con noti coreografi come Philippe Saire, Benjamin Vandewalles, Nicole Beutler, Ben Riepe, Frédéric Flamand, Maud Le Pladec, Egle Budvytyte e Alessandro Sciaronni.
Nel suo sviluppare la creazione scenica, Kahn ha iniziato a vedere la danza e la coreografia come strumenti politici incisivi, focalizzandosi sulla costruzione e decostruzione della percezione dei corpi individuali e collettivi, con un approccio che probabilmente, proprio per la non convenzionale formazione circense cui si abbinano studi musicali, si muove oltre la tessitura drammaturgica tradizionale per cercare pulsioni creative più sotterranee e ancestrali. In Bless the Sound that Saved a Witch like Me, ad esempio, Kahn esplora l’urlo, uno strumento espressivo potente e senza rimorsi, per esprimere l’urgenza e l’insopportabile nelle nostre vite personali e collettive. L’operazione artistica trae ispirazione da una protesta insolita di un gruppo di madri del New Jersey nel 2020. In piena pandemia, sentendosi dimenticate e ignorate, si riunirono in un parco locale e iniziarono a urlare. Il New York Times, comprendendo la necessità di sfogare la tensione accumulata, aprì una linea telefonica pubblica affinché chiunque potesse “liberarsi” del proprio peso nel modo più naturale, raggiungendo quella liberazione primordiale spesso desiderata ma raramente espressa.
In scena una sola presenza, quella di Sati Veyrunes, la protagonista che si muove fluida tra vari stati, sfumando i confini tra i sessi all’interno di un’azione performativa gestuale e vocale. I suoi occhi, resi quasi demoniaci da una colorazione chiarissima, restano magnetici e inquietanti come i suoi gesti, che vanno dall’urlo al body painting, in un rapporto con il corpo di perturbante narrazione sensoriale e di senso.
L’assolo fisico e sonoro, ospitato a Bassano presso la chiesa sconsacrata di San Bonaventura dove troviamo la performer seduta sulla soglia di una nicchia che ci aspetta e ci parla della sua ricerca di nuovi orizzonti, trasporta il pubblico attraverso diversi stati: trance, resistenza, estasi. Il suo muoversi urlando nella rotazione assiale (un po’ come quella di Sciarroni in Turning) ridefinisce l’urlo non come un atto sgraziato o scortese, ma come un’esperienza armoniosa e simmetrica. È un richiamo a esplorare le profondità delle nostre emozioni e a connettersi con il pulsare della nostra esistenza, una risposta alle aspettative di crisi che pervadono il nostro presente.
I momenti di silenzio, i testi di Benjamin Kahn e la musica della compositrice Lucia Ross, sparata a tutto volume da un impianto di casse gigantesco, che riempie tutto l’abside della chiesetta, creano un contrasto che amplifica l’impatto emotivo; oltre che i decibel con cui il suono arriva, insieme alle luci stroboscopiche che rifrangono i movimenti e i gesti della interprete. Bless the Sound that Saved a Witch like Me, scritto per lei da Kahn è stato selezionato per Aerowaves 2024. Sati è stata individuata come artista per il New Grand Tour 2023, un programma dell’Istituto Francese in Italia (IFI) e dell’Ambasciata di Francia in Italia per sviluppare la sua ricerca sull’incarnazione. Il lavoro sarà ospitato a Romaeuropa 2024.
E sempre a proposito di incarnazione, di atipicità del sentire e di attraversamento di stati emotivi alterati, arriviamo a To be possessed, performance solista fisica e sonora che mette in luce gli aspetti materiali e aurali di un archivio di donne “possedute”, tratto da una varietà di contesti culturali. Ne è creatrice e interprete Chara Kotsali, una danzatrice e coreografa con formazione in studi teatrali, antropologia e musica, che si propone di indagare il fenomeno della possessione spirituale attraverso una comprensione ampliata del termine.
Attraverso un rituale scenico disarticolato e che non sviluppa una forma narrativa se non per sequenze di immagini, gesti e composizioni sonore a cui lei stessa dà vita grazie a un campionatore e alla produzione in scena di suoni tramite microfoni e una tromba, Kotsali evoca alcuni episodi documentati di possessione con cui ha avuto a che fare nelle sue ricerche.
Donando metaforica interpretazione a queste circostanze misteriose e insondabili, attraverso la forma scenica, la performer pare invitare queste possessioni a rivelare la propria natura sconvolgente e sovversiva, volendo implicitamente, forse, creare l’accostamento fra lo stato di trance tipico della possessione e la condizione dell’artista nell’atto creativo.
Come lei stessa osserva: “Il corpo posseduto, pieno di fenditure e molteplice, rude e controproduttivo, si abbandona a una mania emancipatrice e, spesso, curativa”. Fin da giovane l’interprete ha avuto un’ossessione per i film horror, in particolare quelli che coinvolgevano luoghi infestati e demoni. L’idea di una ragazza o di una donna che parla in lingue sconosciute, contorce il proprio corpo in modi estremi, instillava all’artista sentimenti ambivalenti di paura e gratificazione. Con il passare degli anni, le sue ossessioni si sono forse spostate ma la certezza che la normalità non esista e che in qualche modo siamo tutti infestati è altrettanto radicata nell’idea della performer che, su queste basi, crea uno spettacolo veramente singolare, originale sotto ogni aspetto, a partire dall’inizio, quando inizia una affissione di immagini su una parete a fondale, per poi proseguire, mescolando in sequenza voci, gesti e suoni di cui lei stessa si fa interprete.
I suoi gesti disarticolati, il suo muoversi senza apparente direzioni in un continuo sabbah, l’estrarre dalla bocca una lingua nera lunga metri, hanno sicuramente a che fare con la dimensione ancestrale dell’inquietante ma danno modo alla artista di esibire un numero impressionante di abilità.
Il tema della possessione parla secondo Kotsali, sostenuta in questo lavoro del 2023 dalla Onassis Foundation, dell’impossibilità di una perfetta solitudine e rivela che il logos, così come l’azione e la coscienza, il mondo immateriale e materiale sono infestati da voci che li hanno preceduti e voci ancora da nascere; un passaggio di presenze spettrali della memoria e del pensiero, che investe anche il mondo degli oggetti che portano con sé una propria vita. È come se ci trovassimo invitati a tuffarci in una dimensione neoanimistica, che forse va oltre la nostra banale e tutta scientifica ortodossa visione del reale, simbiogenetica fra quello che percepiamo e quello che non riusciamo ancora a percepire, essendo legati alla percezione fenomenica sensibile. E per comprendere che la questione non sia da liquidare in modo banale, giova ricordare quanto alcune posizioni meno scontate in materia biologica, spesso liquidate come non sufficientemente scientifiche, nascondano a volte verità la cui portata forse sfugge a prima vista persino agli scienziati. È tornato proprio in questi giorni all’attenzione dei media il caso della microbiologa Lynn Margulis e della nascita della teoria della simbiogenesi. Nel 1967, l’allora giovane microbiologa della Boston University pubblicò su una rivista di biologia teorica un articolo intitolato Sull’origine delle cellule eucariote, dopo che era stato rifiutato da varie riviste scientifiche. La ricercatrice sosteneva che i mitocondri negli animali e i cloroplasti nelle piante, organelli vitali per le cellule eucariote, fossero in origine antichi batteri che, circa 1,5 miliardi di anni fa, furono inglobati da cellule con nucleo per svolgere la respirazione. Questa teoria, nota appunto come simbiogenesi, propone che gli organismi eucarioti siano nati grazie a una cooperazione simbiotica tra esseri viventi diversi. In sostanza scoprì che per evolvere bisogna collaborare. E nessuno la ascoltò: nessuno aveva mai pensato che la simbiosi potesse essere una forza evolutiva così importante. Prima di allora, solo alcuni biologi russi del tardo Ottocento e inizio Novecento avevano considerato la simbiosi come una forza evolutiva significativa. E solo negli anni Ottanta si scoprì che i mitocondri in effetti contengono al loro interno un DNA residuale, che è proprio un retaggio del loro passato come archeobatteri o cianobatteri e che aveva ragione lei, con le sue intuizioni bollate come eresia dalla scienza darwiniana classica. Chissà quante conoscenze scartiamo, quante intuizioni ancestrali a cui erano in non pochi casi arrivati, in qualche forma, persino i nostri antenati, solo perché non spiegabili ad oggi con gli strumenti di indagine che abbiamo e con i metodi da inquisizione che anche la scienza in non pochi casi usa.
Tornando alla Kotsali: la performance, intensa e semanticamente potente, è sicuramente fra le cose più interessanti viste a Bassano e anche in questo caso segnaliamo che sarà nel programma 2024 di Romaeuropa. Ne consigliamo vivamente la visione agli amici romani!
HEALING TOGETHER
coreografia Daniele Ninarello
performers Vera Borghini, Loredana Canditone, Silvia Brazzale, Raffaele Tori
assistente alla creazione Elena Giannotti
consulenza drammaturgica Gaia Clotilde Chernetich
elaborazioni sonore Saverio Lanza
disegno luci Marco Santambrogio
styling Ettore Lombardi
Produzione Codeduomo.
Creazione sostenuta da Étape Danse, progetto di residenze internazionali tra Fabrik Potsdam (De), La Maison centre de développement chorégraphique national Uzès Gard Occitanie, Theatre de Nîmes (Fr), Festival Interplay (It) in partnership con Fondazione Piemonte dal Vivo PDV (Circuito Regionale Multidisciplinare del Piemonte) – Lavanderia a Vapore e Torinodanza Festival/ Fondazione Teatro Stabile di Torino.
Il lavoro è sviluppato nella cornice di OnMobilisation, un progetto di cooperazione internazionale supportato dal programma Creative Europe della Commissione Europea con il sostegno di Lavanderia a Vapore – Centro di Residenza per la Danza. Residenza Orbita – Spellbound Centro di Produzione Nazionale della Danza. Con il sostegno di CANGO Centro Nazionale di Produzione della danza, Centro per la Scena Contemporanea – Bassano del Grappa, Inteatro Residenze.
Con il supporto del Ministero della Cultura.
BLESS THE SOUND THAT SAVED A WITCH LIKE ME
un assolo coreografico di Benjamin Kahn
creato per Sati Veyrunes
Creato il 25 marzo 2023 KLAP Maison pour la danse – Marseille
Nell’ambito del festival + de Genres
Prima Nazionale
drammaturgia Dimitra Mitropoulou
consulente artistico Pericles Pravitas
musica e sound design Jeph Vanger
composizione musicale originale “Furiosa” Dimitra Trypani
progettazione illuminotecnica Eliza Alexandropoulou
tour assistente coreografo Katerina Spyropoulou
tour manager tecnico Stavros Kariotoglou (Onassis Stegi)
coordinatore del tour Christina Liata (Onassis Stegi)
gestione produzione / touring Delta Pi
commissionato e prodotto da Onassis Stegi
TO BE POSSESSED premiered in Athens, at the ONASSIS DANCE DAYS in March 2023.
Il tour “to be possessed ” è supportato dal programma di esportazione culturale “outward turn” di Onassis Stegi.