MICHELE PECORINO | EM+ è un progetto che unisce le pratiche coreografiche di Emanuele Rosa e Maria Focaraccio. I loro lavori hanno ottenuto nel corso degli anni riconoscimenti a livello nazionale, tra cui il premio “Call from the Aisle 2021” e il “Premio Twain_Direzioni Altre 2022” e sono stati selezionati anche per la “Vetrina della giovane danza d’autore” nelle edizioni 2021 e 2022. La collaborazione tra i due nasce da una connessione artistica istintiva e da una profonda amicizia, che li ha portati a esplorare temi come le diversità, le fragilità e le questioni di genere.
Da HOW TO _ just another Boléro a All you need is, il loro codice ha avuto come amalgama stilistica un’ironia travolgente, capace di renderli immediati per differenti pubblici. Ulteriori elementi si stanno aggiungendo ora a una pratica che li porta, attraverso esperienze nazionali e internazionali, a sperimentare nuovi linguaggi.
Abbiamo incontrato il duo artistico.
Emanuele e Maria, le vostre formazioni sono iniziate individualmente in età giovanile, ma ben presto si sono incrociate facendovi incontrare. I primi lavori in cui avete danzato insieme risalgono al 2008, mentre il vostro percorso creativo condiviso come EM+ inizia dopo…
Emanuele: Sì, esatto. Noi ci siamo costituiti ufficialmente nel 2022, ma abbiamo iniziato a lavorare alla nostra prima creazione, Hell Sweet Hell, già nel 2018. Consisteva in un trio a cui abbiamo lavorato a Sádaba, in Spagna. Non ce lo aspettavamo, ma nello stesso anno lo abbiamo candidato al premio Equilibrio Roma ed è stato selezionato, arrivando tra i finalisti.
Maria: Era un lavoro ispirato all’opera teatrale A porte chiuse di Jean-Paul Sartre. Essenzialmente, la coreografia consisteva nel gioco tra tre persone che si trovavano incastrate nell’eternità dello stesso luogo.
Un riconoscimento che è arrivato sin da subito e che continua ad ricevere segnalazioni e premi, non ultimo il premio come miglior nuovo autore per te, Emanuele…
Emanuele: Sì, effettivamente a volte me ne dimentico (ride).
Sono il risultato di anni di formazione, sperimentazione e studio. Ci raccontereste di più riguardo alla vostra formazione?
Emanuele: La mia formazione, in parte, coincide con quella di Mary. Dopo i primi anni nelle scuole private delle nostre rispettive città, ci siamo incontrati per la prima volta a Firenze, al Balletto di Toscana, dove io ho anche lavorato per la compagnia giovanile. Abbiamo seguito gli stessi corsi.
Maria: Naturalmente con alcune differenze.
Emanuele: Due anni dopo, ci siamo trasferiti insieme a Reggio Emilia, dove abbiamo seguito per un solo anno l’Agorà Coaching Project diretto da Michele Merola ed Enrico Morelli. L’anno successivo, io mi sono trasferito a Pisa, dove ho iniziato a lavorare per la Perfect Dancer Company.
Maria: Io l’ho seguito, arrivando poco dopo, e lì abbiamo lavorato per due anni. Poi Emanuele si è trasferito in Austria e da lì ha iniziato a fare la spola tra diversi paesi e altrettante compagnie.
Maria, invece tu alla tua formazione come danzatrice hai affiancato anche gli studi accademici, conseguendo dapprima la laurea in Filosofia presso l’Università di Pisa e ora il master alla Freie Universität di Berlino.
Maria: La triennale e la formazione come danzatrice sono proseguite contemporaneamente, influenzandosi vicendevolmente, e credo che sia grazie a questa contaminazione che sono approdata al master in Tanzwissenschaft (Studi critici sulla danza) che comprende studi di danza e di teatro legati a teorie estetiche e filosofiche. Posso dire che sono state due strade parallele, che però ho cercato di far incontrare, riuscendoci, e da cui ho tratto molto, sia per la mia crescita personale che per quella professionale.
Maria ha messo in luce l’interesse a riguardo dei discorsi sulla danza e la danza in quanto azione organizzata dell’uomo, che immersa nelle scene produce discorsi di senso. Partendo dal vostro primo lavoro, com’è avvenuta la genesi e quali erano le vostre esigenze comunicative?
Emanuele: Bolero è nato durante il periodo di restrizioni dovute al COVID-19. Fortunatamente, io potevo viaggiare e, dovendo andare per lavoro a Erfurt (Germania), non essendo molto lontano da Berlino dove si trovava Mary, l’ho raggiunta. In pochissimi giorni abbiamo montato il lavoro.
Maria: È partito tutto per gioco; lui aveva una settimana libera dal lavoro, mi ha raggiunta e ci siamo subito messi a lavorare.
Emanuele: In realtà non avevamo uno scopo specifico e solo quando siamo andati in sala ci siamo accorti che l’esigenza era quella di affrontare ciò che avevamo vissuto: un anno di restrizioni, la mancanza di contatti con l’esterno e con gli altri. Il tappeto che usiamo rappresenta proprio questo: uno spazio ristretto, casalingo, circoscritto, quasi claustrofobico.
Maria: Ma non solo; in questo lavoro abbiamo inserito anche altri elementi, quali la noia e la ripetizione. Ci siamo interrogati sul tema dell’adattamento.
Perché la scelta della musica di Ravel?
Maria: L’abbiamo scelta perché è l’emblema del crescendo, ovvero tutto l’opposto di una condizione di costrizione. Alcuni elementi abbiamo sentito l’esigenza di approfondirli anche nel lavoro successivo (All you need is), come ad esempio la reiterazione.
Qui entra in gioco il discorso filosofico di memoria kierkegaardiana, per cui una ripetizione non è mai una riproduzione identica ma un processo evolutivo che però si fa carico di recuperare un evento passato.
Maria: Esatto, entrare nel discorso filosofico ci consentirebbe di parlare per ore e ore, ma non apriamo questo vaso di Pandora. Ad ogni modo, credo che la ripetizione, come strumento coreografico, aiuti molto a connettersi di più con il pubblico, poiché i gesti e le immagini a cui si vuole dare un valore, ripresentandoli più volte agli occhi del pubblico, a un certo punto divengono un fatto.
Oltre alla ripetizione, nei vostri lavori sembra occupare una posizione centrale la caratteristica degli spazi circoscritti.
Emanuele: Sì, anche in Hall you need is torna la circoscrizione, mentre con Amən siamo ancora in fase di sperimentazione.
Con Amən state facendo un ulteriore passo, esplorando una dimensione più simbolica…
Emanuele: Sì, stiamo sperimentando un carattere più astratto. Se negli altri lavori il tema era quello delle relazioni interpersonali, in questo caso stiamo lavorando, sempre sulla relazione, ma attraverso uno spettro visivo che va oltre l’essere semplice persona. Lo scopo primario non è quello di fare emergere un rapporto tra Emanuele e Mary, ma qualcosa che sta più a fondo. Questa, trovo, sia una bella sfida, poiché lavorare con e sull’astratto è difficile.
Con Hall you need is avete ottenuto una risposta decisamente positiva in termini di apprezzamento del pubblico, dovuta soprattutto al profilo ironico di questo lavoro. In Amən questo elemento è presente?
Maria: Non ti nascondiamo che è stato un cruccio. Abbiamo tentato in diversi modi di inserire nel lavoro degli elementi ironici e forse ci siamo riusciti. Naturalmente avremo anche bisogno dello sguardo esterno per valutare al meglio e capire se siamo riusciti nei nostri intenti.
Emanuele: C’è anche da dire che, per svariati motivi, non credo che questo lavoro possa essere tanto ironico quanto i due che lo hanno preceduto. Forse perché è più astratto, ma anche perché il team si è allargato e, in questi casi, quando subentrano diverse mani e teste, è inevitabile che ci siano nuove influenze riguardo agli intenti o alle necessità. Questo non vuol dire che sia un lavoro propriamente drammatico, ma è più trascendentale e astratto. Ciò che ci consente di fare ironia è che, ancora oggi, si fa fatica a riconoscere in ognuno di noi quanto maschile, femminile o nessuno dei due ci sia.
Maria: Spesso, quando si parla di maschile e femminile, si è portati ad approcciarsi a queste tematiche in maniera stereotipata, il che porta a una comicità piuttosto che a vera ironia. Fare un’imitazione quasi caricaturale non crediamo sia utile. In Amen abbiamo cercato di inserire un’ironia che sia in linea con i nostri lavori precedenti, ma dobbiamo ancora capire come verrà recepita. Si può dire che l’ironia ci sia ancora, ma che si palesi in maniera più sottile.
Fondamentale per EM+ è Pleasure Activism di Adrienne Maree Brown, il desiderio dei corpi e l’ideale verso cui spingersi. Come trovate si stiano legando adesso le vostre produzioni al pensiero contenuto in questo volume?
Maria: Quello che ci guida, adesso come quando EM+ è nato, è senz’altro il desiderio del nostro corpo di danzatori e l’ideale verso cui miriamo, ovvero cercare di vivere con piacere il lavoro che facciamo, che spesso e volentieri si accompagna ai tanti drammi. Credo sia stimolante il desiderio di perseguire e provare il piacere in tutte le dinamiche e nei processi creativi, a prescindere da quello che si mette in scena.
Emanuele: Troviamo che questo sia per noi fondamentale, anche per distaccarci da una visione ormai antica e superata, ma ancora presente nel mondo della danza, secondo cui se non fa abbastanza male, allora si sta sbagliando.
Maria: In Amən c’è molto di Pleasure Activism: c’è la tendenza a essere se stessi e ad accettarsi per quello che si è.
Una tendenza d’evasione da schemi obsoleti…
Emanuele: È così. Alla base di tutto c’è il desiderio di mostrarsi. Amən è un tentativo di risposta alla domanda: Chi siamo?, naturalmente senza cadere nel banale.
Per giungere a ciò, immagino abbiate dovuto confrontarvi con linguaggi stereotipati sui quali avete poi adottato un processo di decostruzione…
Emanuele: Un anno e mezzo fa, quando abbiamo iniziato, abbiamo ripreso tutte quelle gestualità che, secondo una visione ormai superata, sono proprie di un genere piuttosto che dell’altro. Ricordo che, da bambino, non potevo accavallare le gambe in un certo modo; altrimenti sarebbe stato mostrato un lato femminile del mio essere che, secondo chi mi stava attorno, non doveva essere mostrato e, anzi, bisognava essere sostituito da una gestualità più maschile.
Maria: Una cosa che tengo molto a sottolineare è che, indipendentemente dal lavoro che svolgiamo, queste tematiche sono molto importanti per noi. Ci interessiamo di performatività di genere e molte volte ciò che mettiamo nei nostri lavori proviene dalle nostre vite private, dai nostri interessi e dalle nostre passioni.
A proposito della circuitazione, un buon riscontro lo avete ricevuto sia in Italia che all’estero.
Emanuele: In Spagna e Portogallo abbiamo girato molto con Bolero, mentre in Francia con Hall you need is love. Le date sono andate molto bene; abbiamo sempre ottenuto un buon coinvolgimento.
Maria: Soprattutto in Francia, altrimenti non avremmo vinto il premio del pubblico.
Emanuele: Per l’anno prossimo, invece, sempre per Hall you need is, abbiamo in programma delle date in Bulgaria e Armenia.
Nel 2021 Bolero è stato selezionato alla Vetrina della Giovane Danza d’Autore e l’anno successivo è stato il turno di Hall you need is. Come si iscrive nel vostro percorso l’esperienza fatta a Ravenna?
Maria: La Vetrina è stata uno strumento grandissimo perché ci ha permesso di mostrare il nostro lavoro a un pubblico di specialisti e operatori del settore, che è differente da una platea generica. Il riscontro ottenuto lì ci ha permesso e ci sta permettendo ancora adesso di continuare a crescere nel nostro percorso. Bolero era nato quasi per gioco e con la Vetrina è divenuto una cosa più seria. La Vetrina ci ha confermato che quello che stavamo facendo aveva un valore non soltanto per noi, ma riconoscibile anche dall’esterno. È stato bello vedere che qualcuno desiderava continuare a investire su di noi.
Emanuele: Inoltre, aggiungerei che è stata una tappa importante in generale e non soltanto perché ci ha inserito in una dimensione di esibizione e compravendita. Il poter vedere gli altri lavori selezionati e l’aver partecipato a una serie di incontri che ci hanno portati a fare esercizi di scrittura e autoanalisi credo ci abbiano aiutato molto.
Ulteriori opportunità, ad oggi, sono quelle rappresentate da Residance, un’altra azione del Network Anticorpi XL per cui siete stati selezionati, ma anche da Twain Centro di Produzione Danza e dal progetto di cooperazione internazionale Étape Danse, promosso tra gli altri da Mosaicodanza, per il quale vi trovate attualmente in residenza con Amən alla Fabrik di Potsdam (Germania).
Maria: Sono tutti elementi che si sono incastrati uno dopo l’altro e che ci portano a dire che siamo stati fortunati.
Il supporto maggiore che avete ottenuto per Amən in un certo senso vi ha portati di fronte alla possibilità di lavorare con tempi più dilatati…
Emanuele: Con Amən abbiamo avuto la possibilità di sbagliare di più. I lavori precedenti hanno avuto fasi di creazione molto brevi. Grazie al maggiore sostegno, non solo si sono ampliati i tempi di sviluppo, ma abbiamo potuto anche sperimentare nuovi linguaggi, come le video proiezioni. Questa dilatazione ci sta permettendo di fare un lavoro più stratificato.
Maria: Noi siamo stati fortunati a poter lavorare con risorse consistenti; questo è un grandissimo privilegio che tutti dovrebbero avere, ma questo è un altro discorso.
Ad ottobre sarete alla NID per l’Open Studios, dove presenterete una versione ridotta di Amən…
Emanuele: Sì, tra pochi mesi saremo a Vicenza e sarà una prova importante, poiché il dover stare nei 15 minuti ci metterà di fronte all’esigenza di capire che cosa portare e cosa no. Tutto l’aspetto tecnico non potrà essere mostrato. Senza dubbio dovremo fare una riduzione, perché adesso il lavoro ha una durata ben più lunga. Questa esperienza ci farà capire se ridurlo sarà produttivo oppure no.
Maria: Nonostante che dover ridurre possa significare limitare il lavoro, ciò farà sì che possa essere visto e discusso con determinate persone per ottenere ulteriori feedback in vista del successivo debutto.