ELENA ZETA GRIMALDI | Dopo i primi gruppi di pionieri, con esperienza ormai pluridecennale, negli ultimi anni i festival artistici e culturali organizzati in piccoli borghi, fuori dagli itinerari più battuti, si sono moltiplicati. Alcuni portano il mondo in paese, offrendo a chi risiede lontano dalle metropoli la possibilità di conoscere il lavoro di artisti delle grandi città; altri, invece, cercano di portare il paese al di fuori dei suoi confini, facendo incontrare mondi diversi.
Di questa seconda categoria fa sicuramente parte Nov’Aria festival, che si svolge nel borgo di Novara di Sicilia, in provincia di Messina. Il festival nasce sei anni fa, da un gruppo di emigrati che operano nel mondo della cultura e del sociale (Giuseppe Buemi, Francesco Di Paola, Bruno Furnari, Salvatore Sofia), gruppo che non vuole abbandonare la propria terra natale, e affiancato da una comunità che si adopera per riscoprire il paese, comunicarlo al mondo, e anche per cercare nuovi linguaggi tra i paesani stessi, nativi e adottati.

Fin dalla sua nascita il festival è stato caratterizzato dalla volontà di partire dal territorio, dalla sua storia e dalla sua bellezza, culturale e paesaggistica, per poi coronarla con performance e spettacoli tagliati per stare nelle piazze, per creare luoghi di condivisione e socialità. L’edizione 2024 si è aperta in prefestival l’11 e 12 agosto, con un’escursione naturalistica e il reading e presentazione di Odissea di Sicilia, di Giuseppe Buemi; il festival vero e proprio si è svolto tra il 18 e il 21, con spettacoli di Carullo-Minasi, Mario Barnaba e Samaki, Giuseppe Provinzano che, insieme a concerti e dj set, si sono mescolati alle tradizioni vecchie e nuove del paese: il corso di galloitalico (particolarissimo dialetto, vera e propria lingua identitaria, della zona), il racconto con dimostrazione del lancio del maiorchino (formaggio tipico di Novara) per le stradine di pietra scoscese e il laboratorio fotografico a cura di Boris Taskov.
L’ultima giornata della manifestazione, a cui abbiamo partecipato, si può a ragione considerare la sintesi dello spirito che anima il numeroso gruppo che dà vita a Nov’Aria festival: quest’anno è stato scelto come fil rouge il motto «Ti amo come un paese», ispirato a un verso dello scrittore e poeta siciliano Gesualdo Bufalino.

foto di Manuela Pavanello

Si comincia la mattina con La vendemmia, un’escursione nella parte sottostante il borgo, dove si trovano diversi palmenti rupestri di difficile datazione, ma che sono stati in uso fino al secolo scorso. In collaborazione con il Feudo Solaria Cantine Grasso (tra i più conosciuti produttori di vino del messinese) e accompagnato dai cunti a cura di Giuseppe Provinzano, il gruppo si immerge nella tradizione della vendemmia e, infine, alcuni giovanissimi pigiano l’uva per la prima volta nella loro vita, in un luogo scolpito secoli e secoli fa.

In accordo col tempo dei piccoli centri, che vanno lenti quasi a imitare la natura, qualche ora dopo inizia l’ultima tappa del laboratorio di fotografia analogica, lo sviluppo degli scatti rubati al paese nei giorni precedenti. Il fotografo bulgaro Boris Taskov cura personalmente il processo fotografico dall’inizio alla fine; da qualche anno ha scelto come casa Novara di Sicilia e nei giorni del festival ha accompagnato un gruppo di paesani e visitatori a (ri)scoprire non solo le macchine fotografiche analogiche e lo sviluppo in camera oscura, ma anche il borgo e i suoi dintorni.

foto di Luigi Imbesi

Come tutti i pomeriggi, anche oggi si può partecipare a Favole senza età, installazione sonora in cuffia a cura del Teatro dei Venti con gli anziani delle case di riposo di Modena e Pergine Valsugana (TN). L’ascolto consiste in letture collettive di alcune favole di Gianni Rodari che vengono poi cucite con pensieri e ricordi dei protagonisti del progetto. La gradevolezza dell’ascoltare voci anziane fa sentire di nuovo bambini, per poi lanciare l’ascoltatore verso i bambini di oggi: dopo la lettura di A sbagliare le storie (in cui i narratori cambiano continuamente la favola di Cappuccetto Rosso riabilitando persino il lupo) e de Il paese con la S davanti (in cui Giovannino Perdigiorno capita in un paese dove lo scannone fa cessare tutte le guerre con un colpo solo), le registrazioni ci riportano le voci in libertà degli anziani e i loro ricordi della seconda guerra mondiale. Dal vicino salvo per miracolo dal peggiore bombardamento della città, al soldato americano che faceva la corte alla sorella cacciato senza troppe cerimonie dal padre, ascoltiamo ricordi personali, storie che non si trovano nei libri di Storia ma che sono quelle che la Storia l’hanno fatta davvero; testimonianze di vita il cui patchwork finale riporta le persone e le relazioni al centro, e ci suggerisce che non ha poi così importanza di che colore era il cappuccetto della bambina, se non ci ricordiamo dei veri orrori del mondo e rischiamo di ricaderci senza quasi accorgercene.

foto dello staff di Nov’Aria Festival

In chiusura della giornata e dell’intero festival, l’ultimo spettacolo in piazza: in scena la compagnia Sartoria Caronte, che torna a Nov’Aria dopo essere stata tra i principali animatori della prima edizione. L’associazione Sartoria Caronte di Lari (PI) affonda le sue radici molto lontano nel tempo: il regista Loris Seghizzi è figlio d’arte di una compagnia di giro la cui storia si perde nelle generazioni, che per decenni ha girato l’Italia in lungo e in largo portando nelle piazze gli spettacoli più disparati. La tradizione continua a rinnovarsi, e infatti per lo spettacolo Oh tell oh!, parodia musicale dell’assonante testo shakespeariano, in scena ci sono quasi tutte giovani leve. La cornice drammaturgica è un classico del genere: una compagnia caciarona è arrivata in piazza per raccontare di come la gelosia abbia rovinato la vita del moro Otello ma, tra attori prime donne, mancanze di memoria e fraintendimenti con la regia, sarà impossibile fare andare liscio lo spettacolo. In scena due microfoni ai lati del proscenio, utilizzati nei momenti in cui si riprendono le battute del testo originale, e un telo bianco come sfondo con dietro un controluce che, quando acceso, crea semplici ma affascinanti giochi di ombre cinesi o trasparenze colorate, che fanno intravedere le morti fuoriscena o il backstage con l’assistente alla regia sempre pronto a bacchettare chi si discosta dal copione. Dato il contesto, la maggior parte dell’illuminazione, gioco forza, la fanno le luminarie della piazza in festa, che in questo particolare caso, piuttosto che distrarre dalla scena, aggiungono un ulteriore tocco di paesanità.

foto di Manuela Pavanello

La compagnia mette in scena la storia dell’Otello con un protagonista poco moro e un po’ tonto, una Desdemona svenevole ma dal polso di ferro, un Cassio-pagliaccio che fluttua in scena come una fatina; l’unico personaggio che resta fedele all’originale è Iago, cinico calcolatore che imbastisce la tragedia, che non esce mai dal suo ruolo e sembra quasi staccato dal resto, come un fantasma che prova, senza successo, a incidere sul mondo reale, restando confinato nell’altrove shakespeariano. Spicca in scena Eros Carpita, che prende le parti via via di Brabanzio, Roderigo, Montano e infine Emilia, moglie dell’antagonista: con padronanza della scena e grande ascendente sul pubblico, Eros esce più degli altri dai suoi ruoli, lamentando continuamente col regista il suo desiderio di una morte epica, al centro della scena, che tenta di ottenere in tutti i modi. Non mancano le musiche, rigorosamente eseguite e cantate dagli attori, che vanno da assoli virtuosi che esprimono le emozioni dei personaggi, a medley pop eseguiti a cappella come colonna sonora. In generale, Oh tell oh! adempie a pieno alla funzione che Seghizzi gli attribuisce, quella di parodiare la morte per esorcizzarla, e nel farlo crea intorno a sé un pubblico che diventa, effettivamente e con naturalità, parte del grande rito del teatro: insieme ride, commenta, si stupisce, sta col fiato sospeso… Uno spettacolo dal sapore artigianale, di quel teatro che si potrebbe fare anche senz’altro che gli attori e gli spettatori, che diventano insieme, per poco ma per davvero, una grande comunità.

 

 

FAVOLE SENZA ETÀ

di Teatro dei Venti
ideazione e laboratorio creativo Oxana Casolari e Cesare Trebeschi
montaggio audio Danilo Faiulo
supervisione artistica Stefano Tè
una produzione Teatro Dei Venti con il sostegno del Ministero della Cultura, della Regione Emilia-Romagna e del Pergine Festival

 

OH TELL OH!

di Sartoria Caronte
regia e drammaturgia Loris Seghizzi
con Eros Carpita, Filippo Brancato, Sveva Gini, Alice Bosio, Sergio Masiero

 

visti a Nov’Aria festival, Novara di Sicilia (ME), 21 agosto 2024

Il festival è stato realizzato  con il contributo del Comune di Novara di Sicilia (ME) nell’ambito di Novara in Festa, con il patrocinio dell’Assessorato Regionale Turismo – Dipartimento Turismo, Sport e Spettacolo