GILDA TENTORIO | Anche quest’anno il Festival L’ultima luna d’estate (30 agosto – 8 settembre 2024, XXVII edizione) ci regala emozioni teatrali: la magia è assicurata dalla scelta dei luoghi – cascine, ville, corti, giardini, parchi, monasteri – e dalla studiata combinazione di paesaggio e qualità degli spettacoli. Il tutto è possibile grazie alla tenacia organizzativa di Teatro Invito, una solida realtà creativa del lecchese, che crede in un teatro democratico sul territorio e alla portata di tutti. Negli anni quelli di Teatro Invito sono riusciti per questo appuntamento di fine estate a catalizzare l’interesse di molti e a trovare la collaborazione del Consorzio Brianteo Villa Greppi: amministrazioni comunali e privati  aprono le porte delle loro ville. Gesti assolutamente non scontati nella realtà odierna, che diventano atti “politici”, perché ogni sera in queste località si crea una comunità di spettatori, pellegrini della cultura che si riuniscono a diventare polis in ascolto.
D’altra parte Aristotele ha detto: “l’uomo è un animale politico”, frase-slogan scelta per la manifestazione di quest’anno. Il teatro si mette al servizio della comunità, ne ascolta i palpiti e i lamenti, si fa denuncia e stimolo all’azione, per aprire una riflessione con la polis degli spettatori e “trovare una chiave di lettura poetica a ciò che si agita nelle comunità umane, colpite e indebolite”, come scrive il direttore artistico Luca Radaelli nella sua presentazione del festival.

Il 30 agosto il festival si è inaugurato con l’intervento di due importanti personalità del teatro italiano, Valter Malosti e Serena Sinigaglia, che hanno analizzato il complesso binomio teatro/politica, fra impegno, necessari compromessi di sopravvivenza, difficili spazi di libertà e poesia.
Ho visto i primi due spettacoli che hanno aperto la rassegna, un’interessante declinazione delle potenzialità “politiche” del teatro.

Re Lear è morto a Mosca è un recente lavoro di César Brie, che sarà possibile vedere a Milano a Campo Teatrale in ottobre e il prossimo giugno 2025 al Teatro dell’Elfo. Sulla genesi dello spettacolo e la ricerca storica, rinvio alla ricca intervista rilasciata qualche mese fa dal regista a Elena Scolari per PAC. Aggiungo qui di seguito qualche impressione dopo la visione.
Brie ci porta a conoscere la storia dimenticata del Teatro ebraico Goset di Mosca, fondato nel 1919, sperimentale e visionario, del gruppo facevano parte artisti del calibro di Marc Chagall che ne era lo scenografo, Veniamin Zuskin e Solomon Michoels, questi ultimi assassinati dal regime del terrore stalinista. Come raccontare queste vicende? Brie crea un racconto che non è cronaca lineare ma grazie a un ritmo incalzante (narrazione, ballo, trovate sceniche, poesia) compone un elogio travolgente della forza del teatro che resiste nonostante tutto.
Nove attori in scena (fra cui si distinguono Tommaso Pioli, Davide De Togni e lo stesso César Brie), impegnati in più ruoli, capaci di istrioniche trasformazioni, di acrobazie circensi, assoli lirici e calda coralità.

Re Lear è morto a Mosca | ph. Maurizio Anderlini

Una vena metateatrale mai esibita ma pervasa di forte malinconia percorre l’opera. All’inizio in scena vediamo un siparietto, con l’immancabile ritratto di Stalin e il cartello “Funerali di Stato. Apriamo alle ore 21”. Si tratta dell’ipocrita funerale di Stato di Michoels, ucciso come sovversivo, e sarà il morto stesso a raccontarci la sua storia, dialogando dall’aldilà con i vari personaggi che sfilano per l’ultimo saluto. Ma subito, come è nelle corde della cultura ebraica, la tristezza si mescola a una scoppiettante ironia e ripercorriamo insieme ai protagonisti la straordinaria avventura del Goset: l’entusiasmo contagioso, i colori abbaglianti e strani di Chagall, il teatro come novità, follia, rituale, disperazione gioiosa, volo. A Mosca questo laboratorio di forze creative in lingua yiddish seduce migliaia di spettatori, russi e anche stranieri.
Il ritmo si fa serrato: capriole, evoluzioni aeree, balli, canti (musiche tradizionali yiddish), un dinamismo che è un vortice di energia, con elementi cari alla linea di Brie. Ad esempio una scala di legno diventa via via banco di appoggio, scaffale, barella, dondolo amoroso, sbarre di prigione…
La tragedia però incombe. Assistiamo alla spassosa riunione delle tre massime autorità politiche, Stalin, Molotov e Berija, ridotti a caricature, omuncoli gesticolanti e grossolani. I capricci di Stalin, “stufo di fare il bravo con gli ebrei” solo per non sembrare cattivo quanto Hitler e ordina fucilazioni come fossero caramelle, ti gelano il sorriso: questo è il teatrino della politica, una farsa così assurda che diventa realistica. Anche le sorti dei nostri eroi teatranti sono decise. Frammenti dell’allestimento del Re Lear (1935), spettacolo-simbolo della compagnia e assunto da Brie come specchio del rapporto Michoels-Zuskin, sono filtrati attraverso gli occhi estasiati del critico inglese Edward Gordon Craig, incredulo di fronte a tanta potenza creativa. La tempesta della follia di Lear ricorda per certi versi il vortice di follia politica e criminale di quegli anni, che mirava ad ammutolire e annichilire la cultura.

Re Lear è morto a Mosca | ph. Maurizio Anderlini

La Cordelia di Shakespeare cerca di consolare il vecchio padre morente; nel buio del Novecento non esiste conforto se non nella resistenza poetica. Commovente la scena della fucilazione dei poeti, mentre risuonano i versi di Chlebnikov “Quando muoiono, i cavalli respirano / quando muoiono, le erbe seccano / quando muoiono, i soli si spengono / quando muoiono, gli uomini cantano”.
La politica uccide la poesia, ma l’arte continua a cantare. E infatti le luci si spengono sui versi di Pasternak, che invita a non recedere di un solo passo dalla propria umanità, perché quello che conta è “essere vivo, nient’altro che vivo / vivo e nient’altro fino alla fine”.

All’epoca contemporanea ci trasporta invece Nicola Borghesi con lo spettacolo Gli Altri, un’indagine sui “nuovissimi mostri”, come annuncia il sottotitolo. Il gruppo Kepler-452 ha sempre uno sguardo acuto sulla realtà, a partire dalla loro famosa rilettura di Cechov fino a Il Capitale (Premio Ubu 2023).
Questo monologo prende le mosse da un fatto di cronaca: i pesanti insulti sessisti a Carola Rackete, al momento dello sbarco dalla Sea Watch a Lampedusa. Turbati da quella violenza verbale così pervasa di odio, i Kepler trovano l’hater e cercano di instaurare con lui un dialogo per capirne le ragioni. Lo spettacolo ripercorre le tappe di questa ricerca, attraverso una tessitura verbale in apparenza frammentaria e quasi improvvisata, in realtà l’effetto è quello di una ragnatela accurata in cui lo spettatore resta invischiato e comincia a farsi domande.

 

Gli altri | ph. Maurizio Anderlini

Borghesi è bravissimo nel coinvolgere il pubblico con la sua fisicità e fine arte retorica: spiazzante, accattivante, simpatico, amichevole, gesticola, salta, grida, suda. Conquista la nostra fiducia ma il sentiero della confessione è disseminato di indizi controversi. In effetti continua a essere un attore su un palcoscenico: quanto è autentico, nonostante i video e la naturalezza dell’esposizione?
Nel fiume di parole e di esempi che ci vengono proposti capiamo gradualmente che l’indagine è a spettro più ampio. In un gioco continuo di intrecci e capovolgimenti, si riflette sul binomio “noi/loro”, dietro cui spesso ci rifugiamo come corazza rassicurante se non addirittura identitaria perché stabiliamo dei confini pregiudiziali: qui siamo noi, istruiti, di sinistra, politically correct, borghesi intellettualoidi che sanno di avere ragione; dall’altra parte l’amorfo continente dei “loro”, i selvaggi, violenti, ignoranti, mostruosamente diversi e quindi sempre in torto.
A cerchi concentrici, il discorso si alza. Se dai rapporti interpersonali si passa alla Storia, i decenni si possono scandire attraverso il conflitto noi/loro (da Hiroshima al Covid e alla crisi climatica).
Nel mondo contemporaneo in cui le identità sono frammentate (reale/virtuale), ha ancora senso dire “io”? Quanto siamo disposti a recitare un ruolo, pur di avere visibilità? E quanto è difficile dire “noi”, anche nel luogo che sembra più adatto, come la comunità riunita a teatro, spaccata fra “noi” attori/”voi” spettatori! Quando ci poniamo nella nostra posizione superiore e giudicante rispetto al mondo, dovremmo ricordare che c’è sempre  qualcuno per cui siamo tutti mostri oppure “altri”…
Splendida l’immagine poetica finale che rievoca il mondo come un paesaggio dopo un disastro aereo, una terra desolata cosparsa di rottami. La realtà è un mosaico di pezzi. “Eppure ogni disastro aereo prima era un aereo e volava”. Il teatro è atto politico perché invita a immaginare l’insieme, a tentare di costruirci come “noi” in una desolazione egoistica di monadi. Forse allora riusciremo a volare.

 

RE LEAR È MORTO A MOSCA
César Brie / Isola del Teatro

regia César Brie
con Altea Bonatesta, César Brie, Alessandro Treccani, Leonardo Ceccanti, Eugeniu Cornitel, Davide De Togni, Anna Vittoria Ferri, Tommaso Pioli, Annalesi Secco
consulenza storica Antonio Attisani
scenografia e costumi Matteo Corsi
maestra di danze e lavoro corporale Vera Dalla Pasqua
maestra di canto Anna Pia Capurso
musiche Pablo Brie e musiche tradizionali Yiddish

Sirone, Corte del Municipio | 30 agosto 2024

GLI ALTRI – Indagine sui nuovissimi mostri
Kepler 452

drammaturgia e regia Nicola Borghesi e Riccardo Tabilio
ideazione tecnica Andrea Bovaia
coordinamento Roberta Gabriele
con Nicola Borghesi

La Valletta Brianza, Villa Vercelli | 31 agosto 2024