CRISTINA SQUARTECCHIA | Compie 400 anni Il combattimento di Tancredi e Clorinda (1624) di Claudio Monteverdi, l’opera di teatro musicale tratta dall’ottavo libro di madrigali la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. A quattro secoli da quella prima rappresentazione, tante celebrazioni e ri-allestimenti, in Italia e non solo, volti a re-interpretrare questo antico capolavoro. Ha un sua originalità la versione proposta dall’Aterballetto Fondazione nazionale della Danza, per un progetto speciale in collaborazione con la Direzione generale dei musei e la Direzione generale dello spettacolo dal vivo. Il combattimento di Tancredi e Clorinda trova nuova luce in questo allestimento che fonde musica, danza e teatro, pensato nei luoghi non convenzionali. Ad accogliere l’opera saranno, infatti, sette siti archeologici sparsi in tutta Italia, luoghi suggestivi  quali la Chiesa di Sant’Agata e il Teatro romano di Spoleto, il Castello di Racconigi, Villa Pisani, la Certosa di San Martino, il Castello Svevo di Bari, il Parco Archeologico di Venosa e il Castel Sant’Angelo a Roma, oltre agli spazi canonici come il Teatro Regio di Parma e il Teatro Stabile di Torino.
Il direttore artistico dell’Aterballetto, Gigi Cristoforetti, ha affidato la regia dell’opera a Fabio Cherstich e le coreografie all’attuale direttore artistico del Balletto di Toscana, Philippe Kratz. Li abbiamo incontrati per farci raccontare come hanno lavorato.

ph Alice Vacondio

Come è nata l’idea di questo progetto su di un’opera del teatro musicale?

F.C. Il progetto nasce da un’intuizione di Gigi Cristoforetti – direttore artistico dell’Ater, nel desiderio di proseguire a lavorare sulle precedenti Microdanze, in cui io e Philippe avevamo già sperimentato alcune modalità creative. A queste si sono aggiunte la curiosità e il desiderio di fare uno step successivo: quello di prendere questo titolo barocco per sviluppare  e ampliare quanto avevamo già sperimentato insieme. Oltre alla ricorrenza dei quattro secoli dal suo debutto, la brevità de Il combattimento di Tancredi e Clorinda ben si sposava con la nostra linea di ricerca legata alle Microdanze, ovvero strutture coreografiche ben strutturate in luoghi ben definiti.
In tutto questo la questione dello spazio è stata decisiva nel collocare il concept in uno scenario architettonico non convenzionale del ricco patrimonio italiano, per offrire uno spettacolo di danza, musica e canto dal vivo. La cosa molto bella, per me,  è che da regista di prosa quale sono,  a stretto contatto con la parola, mi sono ritrovato dopo vent’anni a confrontarmi con un coreografo e  compiere insieme questo viaggio creativo in un soggetto letterario e musicale di grande attualità. Siamo noi due in sala prove, io e Philippe, a decidere con i danzatori come restituire il fascino di quest’opera senza tempo attraverso il corpo. È un lavoro a quattro mani, uno scambio tra due autori, quindi motivo di grande curiosità e confronto professionale.

Philippe, dal punto di vista coreografico come hai accolto questa proposta e su cosa hai scelto di lavorare?

P.K. Sono subentrato dopo nel meccanismo e tante cose erano già state definite. Ho trovato grande interesse e ricchezza nel confrontarmi con Fabio. Mi è piaciuto molto lavorare con lui su un pezzo così breve, ma così ricco di significati importanti. Particolarmente significativo è stato lo scambio con i  due danzatori che sono riusciti ogni volta ad aggiungere qualcosa al progetto. Sono Gador Lago Benito, la danzatrice spagnola che interpreta Clorinda, e Alberto Terribile, nel ruolo di Tancredi. Con la loro forza e vitalità ci hanno portato dentro questo turbinio di suggestioni che abbiamo creato.
Dal punto di vista coreografico, la musica di Monteverdi non è facilissima, precede l’organizzazione di Bach, e questo mi ha spinto a fare tanta ricerca sul quel periodo storico e i temi musicali del tempo. Infatti, c’è all’inizio del testo un’intro data dal galoppo del cavallo che prende velocità e questo informa in modo diretto il  movimento che, a sua volta, non può ignorare il ritmo della musica. Si rintracciano poi diversi cambi di ritmo, sospensioni, successioni di allegri e poi adagi, confrontarsi con questa varietà musicale è stata una bellissima sfida.
Anche il testo di Torquato Tasso è ricco di idee e spunti, per una narrazione varia, ma molto concisa e stretta, che non lascia spazio a divagazioni, ma impone un percorso molto chiaro. Tale precisione mi è stata necessaria per fissare diversi ingressi che hanno seguito gli step narrativi per fare un’analisi più filosofica secondo il mio punto di vista.

Fabio, tu hai detto che sei regista di parola, rispetto al testo del Torquato Tasso come hai lavorato?

F.C. Sin da subito ho iniziato a considerare il testo spinto dal desiderio di offrire una lettura personale, dal punto di vista sì musicale e linguistico, ma non illustrativo. Trovo che la musica di Monteverdi sia in qualche modo decisamente narrativa, anche in relazione alla ricca effettistica che lui include. E, nonostante l’opera sia pensata per essere in azione e in forma di pantomima, è chiaro che non posso fare una vignetta di ciò che accade, ma devo restituire una forma stridente. Partendo dal presupposto che questo combattimento sia una lotta irrisolvibile, io in questo senso sto già prendendo una posizione.
Il testo racconta di una conversione e della forza tra questi due guerrieri. Lasciando stare le questioni di gender, ci si accorge che la dimensione tragica del dramma è distribuita in egual misura su entrambi. Se non intervenisse il fato o la narrazione i due potrebbero andare avanti a lottare o amarsi in eterno. Ecco che questo concetto diventa un’indicazione per il movimento e porta a costruire una narrazione parallela che informa il pubblico di qualcosa di molto specifico, anche se poi il montaggio lo fa chi guarda. A questo si aggiunge il fatto che l’italiano del Tasso è una lingua raffinata, distante dall’italiano parlato e i versi poetici rappresentano per noi una traccia preziosa da seguire.
Il pubblico non coglie tutto e subito, per cui il mio intervento non è altro che cercare di raccontare non una storia parallela, ma Tancredi e Clorinda come un individuo unico, un’umanità in lotta con sé stessa e qui si schiude un paradosso che si può cogliere nel finale, dove in verità assistiamo a un’assunzione di responsabilità e non alla catarsi della conversione, come accade nella versione di Tasso-Monteverdi. L’idea mia è che il lavoro inizi dalla fine  in un modo ciclico. La voce recitante, che poi è anche l’interprete che dà voce ai due personaggi, è obbligata a compiere il percorso circolare di una storia che si ripete. Tutti sono condannati alla ripetizione come due danzatori legati a una corda, impossibilitati a muoversi.

ph Alice Vacondio

La coreografia è stata pensata per spazi non convenzionali, come musei, chiostri e anche poi per il teatro. Rispetto allo spazio come cambia e se cambia la struttura coreografica, anche in relazione allo spettatore?

P.K. A teatro il lavoro può cambiare perché c’è la frontalità che determina la visione. Siamo davanti a uno stato di lotta, di amore e anche di unione dal quale non si può sfuggire, dove tutto si consuma in uno spazio molto stretto. Abbiamo collocato l’azione su di una pedana proprio per circoscrivere il combattimento.
Dal punto di vista prospettico relazionale mi interessa vedere come si modella la coreografia in contesti site-specific, come chiostri, giardini, perché quello che mi attrae è la vicinanza del pubblico. Uno spettatore può allontanarsi o avvicinarsi a seconda del suo stato d’animo. Vediamo poi come cambia questa relazione in teatro.

F.C. La coreografia non cambia perché si svolge su una pedana da 5 metri di diametro. Cambia dove la metti, per me cambia la luce, il suono, si struttura un micro-mondo mobile che viene ospitato in luoghi ogni volta diversi. La coreografia nel suo modellarsi ogni volta accentua la componente rituale, musicale, teatrale e poetica dentro una cornice mutevole. Lo spettatore a sua volta monta nella sua testa il tutto, organizza gli stimoli  e i segni che riceve in base anche al proprio vissuto o al coinvolgimento emotivo. Cambia ciò che circonda, non il nucleo centrale alla storia.

Come spunti, pretesti registici, avete parlato di corpi specchio. Potete spiegarci di più?

F.C. Senza cadere in questioni psicoanalitiche, nel combattimento siamo di fronte a un eroe e un’eroina giovanissimi di circa 20/22 anni. Diverso sarebbe stato se in scena avessimo avuto performer di età  diversa.  Sia nel testo del Tasso che in scena parliamo, quindi, di corpi tonici, nel vivo della proprio vigore, corpi appena sbocciati di post adolescenti che presentano la stessa forza e prestanza fisica destinati a ripetere la lotta all’infinito. Un corpo a corpo che esprime conflitto e dominio, dove vince, diciamo, il più forte.
Quello che mi interessa evidenziare è che nella ripetizione della lotta vediamo non più due persone, ma una, la stessa, come se i due guerrieri si unissero l’uno nell’altro. Non si è più davanti a due forze opposte che lottano per avere la meglio, ma alla fusione di essi, di due corpi che rappresentano l’umanità intera in lotta con se stessa.
Il combattimento di Tancredi e Clorinda segue, perciò, un ordine ciclico, è destinato a ripetersi all’infinto, con il superamento del dualismo amore e morte nella propria assunzione di responsabilità umana, oltre la conversione  di Clorinda. Ognuno al suo posto, la storia di ripete.

P. K. Per dare corpo al dramma che si consuma tra i due protagonisti e all’interiorità del racconto ho trovato interessante partire dalla vita privata di Torquato Tasso. Un’esistenza molto tormentata da dissidi interiori, un uomo costretto a continui spostamenti. Una vita che, di per sé, racconta di dolore e inquietudine e nell’opera tutto ciò traspare in tutta la sua forza. Ecco perché la Gerusalemme liberata è una storia di ferite, di carne e sangue, una storia così vicina al corpo che la danza riesce a restituire in tutta la sua poetica drammaticità.

ph Alice Vacondio

IL COMBATTIMENTO DI TANCREDI E CLORINDA
regia e visual Fabio Cherstich
coreografia e movimenti scenici Philippe Kratz
musica Claudio Monteverdi
danzatori Gador Lago Benito, Alberto Terribile
coproduzioni Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto, Teatro Regio di Parma / Festival Verdi, Torinodanza Festival – Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Ghislierimusica – Centro di Musica Antica

Tournée

Versione site-specific
Première: Museo Archeologico Nazionale e Teatro Romano di Spoleto (PG) – 12 settembre 2024
Roma – Castel Sant’Angelo – 13 settembre 2024
Complesso Monumentale del Castello e del Parco e di Racconigi (CN) – 22 settembre 2024
Museo Nazionale di Villa Pisani, Stra (VE) – 28 settembre 2024
Certosa e Museo di San Martino, Napoli – 03 ottobre 2024
Castello Svevo di Bari – 05 ottobre 2024
Museo Archeologico Nazionale “Mario Torelli” di Venosa (PZ) – 06 ottobre 2024
Kosmos – Museo di Storia Naturale dell’Università di Pavia – 12 ottobre 2024

Versione teatrale
Anteprima: Torino – Torinodanza Festival, Fonderie Limone – 20-21 Settembre 2024
Première: Parma – Festival Verdi, Teatro Farnese – 18-19 Ottobre 2024