RENZO FRANCABANDERA | Commentare un festival interdisciplinare si risolve spesso, una volta presa distanza temporale dall’evento, nel cercare un filo che leghi le visioni. Ecco quindi che, a ritroso, ci si ritrova spesso a fare lo stesso esercizio che è stato compiuto ex ante dalla direzione artistica, quello di collegare in modo logico gli eventi, accostandoli in modo che ne emerga un legame che abbia a che fare con spirito, sensi, linguaggi.
Se volessimo trovare il filo che lega simbolicamente le proposte del secondo weekend di B.Motion, questo potrebbe sicuramente essere il paesaggio, nelle sue diverse declinazioni.

Misticamente ma anche crudamente spiazzante è l’inizio, con Barrani del collettivo Corps Citoyen, che ha base tra Tunisi e Milano; una performance concertata, presentata a Bassano nella chiesa di San Giovanni e che ragiona sui paesaggi di transizione e sulla transizione fra paesaggi. Barrani – fuori luogo, a-topos, déplacée – è una riflessione profonda sull’esperienza migratoria e sul concetto di sradicamento. Il termine “Barrani” in tunisino significa “straniero”, letteralmente “colui che viene da fuori” e, in questo lavoro artistico, diventa il simbolo di chi intraprende il difficile viaggio verso l’Europa. L’opera è dedicata a tutti coloro che, come gli appartenenti alla diaspora, vivono sospesi tra due mondi, senza appartenere pienamente né al luogo d’origine né a quello d’arrivo.

Gli spettatori entrano nella chiesa e le volute di incenso che il performer Rabii Brahim dispensa e che si levano nell’alta navata, fino al soffitto, creano un’atmosfera rituale e di profondo raccoglimento, che accoglie poi le parole, fra memorie, ricordi vocali, ritmi africani, racconti e brandelli di favole che si mescolano a polaroid di contemporaneità che arrivano da periferie indefinibili e che ciascuno può immaginare ambientate fra le nazioni che affacciano sul bacino del Mediterraneo, anche quelle in guerra (direzione di Anna Serlenga e drammaturgia di Tolja Djokovic).
Il concetto di “a-topos”, fuori luogo, è stato teorizzato da studiosi come Edward Said e Abdelmalek Sayad. Secondo Said, l’esperienza migratoria è caratterizzata da una doppia assenza: lontani dalla patria, ma anche mai veramente presenti nel Paese d’arrivo. Questo essere «né qui né altrove« si riflette nel costante senso di perdita e nella ricerca di uno spazio identitario che sembra sempre sfuggire.
Anche Barrani è un lavoro itinerante in cui il performer, accompagnato da un dj e un sound designer, Manuel D’Onofrio (cui si deve anche il pregevole light design di luci led a pavimento)che lavora dal vivo, si sposta di stazione sonora in stazione sonora per lavorare e ambientare nuclei narrativi di profonda suggestività. Il pubblico resta affascinato da uno spazio performativo in cui danza, poesia, multimedia e musica si intrecciano, dando vita a una nuova narrazione, una ricerca identitaria e creativa che, nel suo svolgersi, si interroga su tematiche come il desiderio, la nostalgia, l’esilio e il legame con la lingua madre. Evento magico.

Esplicito riferimento al tema paesaggio, già dal titolo Landscape, è lo spettacolo performance di Elena Antoniou, performer di origini cipriote formatasi alla Scuola Nazionale greca di Danza e alla Scuola di Danza Contemporanea di Londra The Place come membro di Edge Dance Company. Antoniou ha sviluppato una pratica di esplorazione di temi legati all’identità e al genere, e in Landscape questa ricerca si muove sul suo paesaggio più conosciuto, esponendo per un’ora il suo corpo femminile – in una tuta nera molto attillata – come luogo di resistenza, erotismo, trasformazione e vulnerabilità, strumento per riflessioni personali e collettive sul corpo come paesaggio fisico e simbolico, terreno di conflitti e di dialoghi, sia interni che esterni, aperto all’interpretazione e alla costruzione sociale, esplorando i confini tra arte visiva e performativa.

Lo spettacolo, che si muove su una sorta di ciclica ripetizione e ossessivo incontro dello sguardo e del voyeurismo degli spettatori, ha una drammaturgia silenziosa e non raccontabile, fatta di cambi minimali di espressioni del volto e che, arrivando in fondo a una rabbia disperata, accompagna gli spettatori all’uscita. Tutti possono andare via liberamente in qualsiasi momento, senza che esista un vero e proprio finale, se non un gesto con il tacco che viene battuto con violenza e in forma ripetuta con lei in piedi in posizione quasi marziale. Un duro congedo per gli spettatori, che hanno accarezzato con gli occhi quel corpo erotizzato e di feroce femminilità fino a quel momento: un finale che genera volutamente sentimenti contraddittori e ragionamenti sul corpo esposto, da sempre appannaggio delle grandi performer della body art. Il paesaggio-corpo non è solo oggetto di sguardo: nel corso della performance, diventa un luogo di trasformazione, che sfida e destabilizza le rappresentazioni tradizionali del femminile passivo o decorativo. L’uso del movimento, del respiro e della fisicità ne amplifica il significato come luogo di potere e vulnerabilità.

Ad altri e più antichi riti, di presenze oscure e che rimandano al fiabesco antropologico si ispirano i luoghi immaginari, quasi paurosi, che Dalila Belaza esplora in Figuresun lavoro realizzato con il supporto dell’Istituto francese Italia. La performance della coreografa e danzatrice franco-algerina è un’esperienza di teatro su nero, in cui tutta la parte di movimento è caratterizzata da un’intensa esplorazione dello spazio nel suo continuo attraversare fioche luci e profonda oscurità. L’opera si sviluppa attorno all’idea di ripetizione, ritmo e gestualità minimalista, in cui il corpo diventa un mezzo per creare un dialogo con l’invisibile e l’ignoto. Prima che la performer stessa si riveli per una parte centrale più coreografia e che espone in modo chiaro i paradigmi di una ricerca profondamente spirituale e meditativa, ispirata dalla cultura sufi e dalle sue tradizioni di trance e ripetizione rituale, l’inizio propone una presenza misteriosa e oscura che con indicibile lentezza e sempre al confine fra buio e luce minimale, affiora senza rivelare il suo effettivo sembiante.
I quadri si sviluppano lasciando incerti su quanti e quali siano le presenze in sala, fino a far pensare che si possa assistere a una sorta di esplorazione della doppiezza dell’umano, quella mostruosa e quella fragile e umana. La coreografia è strutturata su schemi e quadri ripetitivi, in qualche modo circolari, che conducono a un’esperienza ipnotica sia per i performer che per gli spettatori, tanto da finire per lasciare la narrazione sullo sfondo, per concentrarsi su un’esperienza sensoriale, fra tempo, spazio e  percezione del corpo in movimento. Il finale insiste un po’ sul gioco, con una coda che indulge sul concetto, affievolendo l’effetto suggestivo e tagliente dell’azione spettacolare.

Una scelta opposta a quella di Marina Donatone che in Lower invece affida a un unico e drammatico gesto finale, il senso di un’azione che fino a quel momento viene agita lenta e ripetuta dalla performer in scena, Laura Quaglia. Lo spazio è lo stesso in cui si è assistito al lavoro della Belaza, ovvero la piccola chiesa sconsacrata di San Bonaventura. Il gioco è quello sul gesto che non arriva mai a compiersi perchè il baricentro si perde, l’equilibrio viene meno, il territorio, bianco eppure invisibile, nasconde ostacoli imponderabili che costringono alla caduta.

ph Laura_Accardo

Una musica lenta e soave accompagna la fatica di Quaglia nel suo rialzarsi, ricominciare, riprendere, cercare, esplorare, quasi come una cieca nello spazio chiaro. L’ultimo gesto, l’ultimo secondo dello spettacolo, restituisce senso e folgora per potenza e scarto narrativo. Anche se forse nella parte precedente qualcosa sull’esperienza dell’esplorazione spaziale può essere studiato e perfezionato, l’idea del gesto assoluto in cui l’azione performativa si compie è veramente bella e ben riuscita. In questo caso è il finale che massimizza la potenza della riflessione.

Chiudiamo con Mike performance presentata da Dana Michel, artista e coreografa canadese. Nel 2014, Michel è stata insignita del nuovo premio ImPulsTanz (Vienna) come riconoscimento per gli eccezionali risultati artistici, ed è stata riconosciuta tra le meritevoli coreografe femminili dell’anno dal New York Times. Nel 2017, è stato premiata con il Leone d’argento per l’innovazione nella danza alla Biennale di Venezia e nel 2018 è diventata la prima artista di danza in residenza presso il Centro delle Arti Nazionali in Canada.
Dana Michel è conosciuta per il suo approccio unico alla performance, che combina elementi di danza, teatro, installazione e improvvisazione. In Mike, come in molte delle sue altre opere, Michel esplora temi di identità, genere, sessualità e memoria, utilizzando il corpo come strumento per decostruire convenzioni sociali e personali. La performance è caratterizzata da gesti frammentati, oggetti scenici insoliti, disposti dentro palazzo Bonaguro come se fossero un’unica grande installazione ambientale, e da un’estetica volutamente destrutturata. Michel gioca con l’idea di disorientamento e ambiguità, lasciando allo spettatore la libertà di interpretare e connettersi con il lavoro su diversi livelli. A tratti si è lasciati soli, a tratti lei appare, come fosse un homeless impazzito che compie gesti quasi inspiegabili, fra follia e disorientamento. La Michel esplora in questa ricerca anche questioni legate alla fluidità di genere, interrogandosi sulle costruzioni culturali e sociali che definiscono l’identità personale.

Il suo sembiante è volutamente ambiguo e neutrale, il gesto profondamente fisico ma anche concettuale w sfida i confini tra ciò che è percepito come reale e ciò che è costruito, tra pubblico e privato, e tra il sé e l’altro. Mike è un impegno a sottolineare l’idea che senza fiducia in noi stessi e negli altri, sia impossibile vivere in sicurezza una vita che rifletta la nostra interiorità; Michel indaga la paralisi dell’incertezza di non saper rispettare o riconoscere l’altro. Occorre inseguirla nei suoi gesti sparsi e frammentari che iniziano fuori, per strada, da homeless che esplora i bordi della follia. Qualche solerte abitante di Bassano, nel vederla con le calze sopra le scarpe che calcia una valigetta da cui provengono suoni strani, addirittura pensa bene di chiamare la polizia per accertarsi che la presenza non varchi la soglia dell’inquietudine. Fra improvvisazione, coreografia, scultura oggettuale, hip-hop, cinematografia, techno, poesia, psicologia, dub e commento sociale il narrato spettacolare è fatto di epifanie apparentemente senza senso ma che definiscono una cornice di dolcissima fragilità, in cui abbandonarsi. Dura tre ore. Si può arrivare quando si vuole, andare quando si vuole, seguirla in un continuo apparire e scomparire, correre e fermarsi. In lei, nella sua lentezza, nel suo guardare il mondo come se tutto attorno le fosse incomprensibile, nel suo autismo gestuale inspiegabile, si rispecchiano tutte le identità fragili e i nostri incompresi.

Marina Donatone, danzatrice e coreografa, nasce a Roma nel 1993 e si forma presso la Budapest Contemporary Dance Academy e l’Università La Sapienza di Roma. Parallelamente si specializza in pedagogia del movimento per l’infanzia presso l’Ass. Choronde Progetto Educativo di Roma, il CDCN Le Gymnase e il CDCN La Briqueterie. In qualità di danzatrice ha lavorato in Italia e all’estero con artistз tra cui Virgilio Sieni, Jacopo Miliani, Daniele Ninarello e Csaba Molnár. Nel suo lavoro cerca un corpo in divenire che si dà al sistema coreografico come materia attiva, che lavora ed è lavorata a partire dalle relazioni in cui si inserisce, portando con sé la propria irriducibile composizione. Come autrice è stata sostenuta da realtà tra cui Mattatoio di Roma, Lavanderia a Vapore, Santarcangelo Festival, Teatro India – Teatro di Roma, Sín Arts Culture Centre Budapest, C.U.R.A. Umbria, Short Theatre. Nelle annualità 2020 e 2021 è parte, con Short Theatre, del progetto di internazionalizzazione per artistз e curatorз Boarding Pass Plus Dance. Parallelamente si occupa di pedagogia del movimento per l’infanzia e mediazione culturale. Dal 2020 al 2022 cura i progetti di formazione per adulti e bambinз al Mattatoio di Roma e attualmente collabora con i dipartimenti educativi di Palazzo Grassi – Punta della Dogana e Musei Civici di Venezia.

 

BARRANI

Con: Rabii Brahim, Manuel D’Onofrio
Direzione: Anna Serlenga
Drammaturgia: Tolja Djokovic
Coreografia e sguardo esterno: Hafiz Dhaou e Aicha M’Barek
Light Design: Manuel D’Onofrio
Musiche di: Manuel D’Onofrio e Rabii Brahim
Testi: Tolja Djokovic, Rabii Brahim
Estratti liberamente tratti da Bayo Akomolafe, Anna Akhmatova, Mahmoud Darwish, Niccolò Machiavelli, Forough Farrokhzad
Costumi: Lucia Gallone
Produzione: Alessandra Di Pilato
Una produzione: CORPS CITOYEN, BASE Milano, Operaestate; Milano Mediterranea
Con il supporto di: Archive Milano e Zona K 

MIKE

creato ed eseguito da Dana Michel
attivatori artistici Viva Delorme, Ellen Furey, Peter James, Heidi Louis, Tracy Maurice, Roscoe Michel, Karlyn Percil, Yoan Sorin.
consulente scenografico – Direzione tecnica Romain Guillet
consulente sonoro David Drury
produzione SCORP CORPS – Viva Delorme, Dana Michel
distribuzione neon lobster – Giulia Messia & Katharina Wallisch
coproduzione ARSENIC – Centre d’art Scénique contemporain (Losanna, Svizzera / Svizzera), Centre national des Arts (Ottawa, Canada), Festival TransAmériques (Montréal, Canada), Julidans Amsterdam (Paesi Bassi / Pays-Bas), Kunstenfestivaldesarts (Bruxelles, Belgio / Bruxelles, Belgique), MDT (Stoccolma, Svezia / Suède), Montpellier Danse (Francia), Moving nel mese di novembre, (Helsinki, Finlandia / Finlande), Wexner Centro per le Arti dello Stato Ohio Università di Colombus (Stati Uniti d’America / États-Unis d’Amérique).

 

FIGURES

deazione e direzione artistica Dalila Belaza
coreografia, sound design e luci Dalila Belaza
creazione personaggio-materia Jeanne Vicérial
interpretazione Dalila Belaza
contributo al personaggio-materia Aragorn Boulanger
produzione compagnia Hiya – Association Jour
con il sostegno della Fondazione Hermès, nell’ambito del programma New Settings
coproduzione La Briqueterie CDCN du Val-de-Marne nell’ambito delle residenze-studio, sostenuto dal ministero della Cultura/DRAC IDF; Charleroi danse, Wallonie – Bruxelles; CCN – Ballet National de Marseille; Les SUBS – lieu vivant d’expériences artistique, Lyon
e con il sostegno di Ministère de la Culture et de la Communication – Direction Régionale des Affaires Culturelles d’Ile-de-France – Aide à la création; Département du Val-de-Marne; Région Ile-de-France
Mise à disposition Centre National de la Danse – Pantin ; Montévidéo, centre d’art

LOWER 

coreografia Marina Donatone
performance Ilaria Quaglia
consulenza al disegno luci Gianni Staropoli Ivano Salamida
luce Cosimo Ferrigolo
organizzazione Monica Maffei
amministrazione Anna Damiani
cura e promozione Edoardo Lazzari
foto e video CIRCA studio
produzione Ass. Cult. CodedUomo
co-produzione Azienda Speciale Palaexpo – Mattatoio Roma | Progetto Prender-si cura
sostegno Teatro India – Teatro di Roma, Lavanderia a Vapore | téchne 2021, C.U.R.A. Centro Umbro Residenze Artistiche, Live Arts Cultures, Santarcangelo Festival

 

LANDSCAPE

idea, coreografia e interpretazione Elena Antoniou
musica & sound design Stavros Gasparatos
direzione artistica Christos Kyriakides
drammaturgia Odysseas I. Konstantinou
progettazione luci Vasilis Petinaris
supportato da Fondazione Onassis