RENZO FRANCABANDERA | A passeggio sotto i portici in un pomeriggio di fine estate lungo via di Sant’Isaia, uno di quegli storici corridoi porticati che dai viali che circondano la cerchia antica della città porta verso il centro. Entriamo nel cortile di uno di quei palazzi color rosso india che popolano il centro cittadino, e un gruppo di una cinquantina di persone, sedute in cerchio sotto un enorme albero secolare, si gode uno spettacolo di antichi ritmi afro-cubani.
Ventottesima edizione di Danza Urbana a Bologna: una rassegna che da ormai quasi trent’anni propone eventi performativi che si inseriscono nel flusso della città e interrogano sia sul presente – affrontando tematiche legate al quotidiano – che sul complesso di memorie collettive e individuali.
Questo caleidoscopio di eventi ed esperienze diventa una lente per osservare presente e futuro, immersi dentro il paesaggio della città che mai come in questa edizione si è stretta intorno agli eventi, molti dei quali offerti alla fruizione gratuita.

Raccontiamo dei giorni fra il 7 e l’8 settembre scorso. Caldo ma con quel freschetto in arrivo che ha recato sollievo alla accaldata città. Qualche pioggerellina qui e lì, che però non impedisce il farsi degli eventi, quasi tutti pensati in spazi aperti.
E appunto stavamo raccontando dell’entrata nel Cortile dell’Istituto Storico Parri, dove gli spettatori si stava accomodando sulle sedie in circolo. Ad iniziare una giovane ragazza caraibica che legge un testo che ha a che fare con il tempo scombussolato e rimescolante che viviamo, senza mai evocarlo. Una tempesta, comunque.
El resto del Naufragio è un progetto di collaborazione tra Italia, Spagna e Cuba, di complicità tra quattro artisti di calibro internazionale – Roberto Olivan, Pino Basile, Chamely de la Caridad Hernández Baquet e Oliver Viquillón Rodríguez –  che danno vita a una creazione capace di fondere tradizione e avanguardia.
A lungo protagonista della creazione è la giovane danzatrice Chamely de la Caridad Hernández Baquet, incarnazione di un talento precoce e fulgido, che porta in scena una presenza che stupisce per eterea maturità e vigore. Ogni gesto incarna qui una storia antica, che attinge in modo profondo dalle vicende, dai ritmi e dalle storie della cultura afro-caraibica e dalle vicende di quella diaspora dolorosa che dall’Africa portò milioni di persone a diventare vittime del più brutale sfruttamento nel nuovo continente. Questa antica storia, i suoi ritmi, i suoi canti, si intrecciano nel corpo della minuta ma sinuosissima danzatrice con la freschezza del suo presente, della sua irriverente anagrafe. La sua danza è un inno alla vita, alla lotta, alla bellezza e alla sofferenza, capace di evocare immagini potenti e di toccare corde emotive profonde; viene esaltata negli ultimi dieci minuti di spettacolo, dall’ingresso di Olivan all’interno del cerchio magico, coreografo e danzatore di rara potenza espressiva. L’ingresso della figura maschile e della sua età così diversa, impone una svolta al filo narrativo dello spettacolo modellando il movimento in forme che trascendono il linguaggio della danza contemporanea per diventare vera e propria drammaturgia.

La loro presenza scenica dialoga per tutto il tempo con le sonorità del maestro percussionista Pino Basile, le cui mani forgiano ritmi che attraversano da un lato all’altro l’Oceano senza dimenticare i tradizionali timbri di area mediterranea, grazie alla sua profonda conoscenza degli strumenti a percussione tradizionali. A completare il mosaico sonoro, interviene Oliver Viquillón Rodríguez, che porta l’anima della musica cubana al centro della performance. Le sue percussioni e il suo canto hanno risuonato nel cortile dell’Istituto Parri come un richiamo antico, un’eco lontana che ha intrecciato tradizioni popolari e innovazioni musicali.
E così mentre i musicisti esplorano e re-interpretano antiche sonorità, dando loro nuova vita tra momenti di tensione e rilascio, i due danzatori portano a conclusione lo spettacolo: Baquet annoda al capo un foulard tradizionale, completando quel processo di immedesimazione e riferimento culturale e dimostrando una padronanza della scena che ha confermato le sue promesse come performer d’eccellenza, ribadendo come la danza e la musica trascendano i confini geografici e culturali, parlando a tutti in maniera diretta.
Lo spettacolo ha lasciato un’impressione forte negli spettatori, che hanno partecipato a un viaggio, un rito contemporaneo tra corpi, suoni e spirito.

Attraversiamo letteralmente la strada per spostarci nella vicinissima piazza San Francesco per uno degli episodi del progetto Sleep in the car, di Virgilio Sieni.
Nella cornice storica di questa piazza di Bologna, l’arrivo di una Dyane amaranto avvia una performance intima e al contempo perturbante, trasformando l’ampio spazio e la cornice di pubblico che la popola in uno spazio di rifugio e alienazione. Il contesto urbano diventa silenzioso testimone mentre, al suo interno, un interprete trasforma l’abitacolo in un teatro di gesti marginali e condivisi sulle note di siderale freddezza di Miles Davis, abitandolo come fosse una casa improvvisata, una tana, un confine tra l’intimità e l’estraneità, tra il dentro e il fuori, tra il caos e la quiete apparente.
L’interprete, accovacciato o disteso nei sedili stretti, pian piano esce dalla vettura sulle note di Gènèrique mandate in loop: movimenti lenti, a tratti angoscianti, che sfidano lo spazio costretto dell’autovettura e si limitano a restare prossimi a questa casa di ferro la cui pesantezza va oltre l’apparenza.
Il sonno in macchina, evocato dal titolo della performance, Sleep in the car, diventa il centro di questa esplorazione fisica e concettuale in più parti e ospitata da diversi festival in questa estate 2024: lo spunto creativo nasce dalla scelta, che per taluni è diventato un obbligo per le condizioni economiche instabili, di dormire in auto. Da segno di libertà e imperativo di fuga che era per Thelma e Louise, a tragica necessità e autocertificazione della propria condizione di precarietà. La Dyane, simbolo di libertà e avventura in un passato non troppo lontano, qui diviene una metafora più complessa: da luogo di evasione a prigione moderna, rifugio di chi è costretto a trovarvi riparo perché senza altro posto dove andare. Le posture si scontrano con l’ergonomia rigida dei sedili, un corpo che cerca posizioni più confortevoli senza mai trovarle davvero, per comunicare la sensazione di un’esistenza sospesa, un continuo cercare conforto in un luogo che non può offrirlo fino in fondo.
La piazza mescola le note con il fruscio dei passanti curiosi, che si avvicinano alla scena con cautela, come se intravvedessero un pezzo di vita privata, quasi rubata. L’auto è lì, al centro di una città antica ma al contempo aliena: una capsula di vita contemporanea incastonata tra antiche immanenze e moderne incertezze.

È questo il futuro che ci attende? Un futuro di corpi costretti ad adattarsi, a piegarsi, ad abitare spazi sempre più ridotti e transitori? O forse è un’ode a una libertà tanto desiderata quanto irraggiungibile, quella di dormire dove si vuole, on the road, sfuggendo alla pressione della casa, della routine? La figura del performer dentro e fuori la Dyane e le sue movenze sembrano intrappolate in una sorta di limbo di fragilità condivisa, un riconoscimento muto di un’esperienza collettiva.

Passiamo alla giornata successiva per la replica di Atmosferologia, coreografia dal gruppo mk e ambientata tra la Sala Farnese di Palazzo d’Accursio, Piazza Maggiore e le Due Torri di Bologna e che ha trasformato la città in un paesaggio coreografico pulsante, un mosaico di prospettive e significati in continua mutazione. In questo scenario storico e monumentale, l’idea è che la danza diventi un mezzo per ridefinire il rapporto tra corpo e spazio urbano, un atto di affermazione e di fuga, che si snoda tra le architetture simbolo di Bologna.

L’esperienza si sviluppa prendendo avvio dentro la grande sala al secondo piano del palazzo comunale dove gli spettatori vengono dotati di cuffie, e si sviluppa poi attraverso una dinamica di interazioni sottili sia verbali che fisiche tra il dentro e il fuori, dove la coreografia inscrive la figura nello spazio della comunità e suggerisce, allo stesso tempo, una via di fuga individuale. La performance si fa veicolo di una riflessione sul paesaggio urbano non più percepito come un semplice sfondo, ma come un elemento vivo e dialogante, capace di trasformarsi in una narrazione in cui il presente si mescola al possibile.
Dopo essere stato condotto dentro l’azione dai gesti vorticosi di Biagio Caravano, storico performer e co-fondatore del collettivo, lo spettatore viene avvisato dalla voce dello stesso, il quale si avvia in discesa nello scalone del Palazzo, che sarebbe arrivato in cima a una delle due torri. E in effetti alcuni anni fa andò proprio così. Atmosferologia è infatti un riallestimento della performance Veduta prodotta da mk nel 2016 in collaborazione con il Festival Danza Urbana di Bologna e con il sostegno di ResiDance – Dance Haus Milano.

Il gruppo mk, guidato dalla visione artistica di Michele Di Stefano, da anni si distingue per la sua capacità di indagare lo spazio pubblico attraverso il movimento. Qui lo spettatore, dotato appunto di cuffie, si immerge in una fruizione personalizzata del paesaggio, in cui la danza non è lente attraverso cui osservare e riscrivere la città. Le vedute da Piazza Maggiore e dalle Due Torri si caricano di significati nuovi, avvolti in una colonna sonora che oscilla tra suoni reali e immaginari, intrecciando la fisicità dei danzatori con il respiro stesso della città.
Le finestre della Sala Farnese, con la sua storia e le sue imponenti decorazioni, contrasta il movimento dei corpi, che da qui si proiettano all’esterno, in una staffetta di azioni che spingono lo spettatore a osservare, ascoltare, facendosi trasportare dalla forza centrifuga di questa storica performance, qui forse alle sue ultime repliche, che spinge verso l’idea di un aperto di cui doversi e volersi riappropriare.
L’idea di inscrivere la figura nello spazio comunitario diventa un atto di affermazione: i corpi danzanti si fanno simbolo di presenza, resistendo alla staticità delle architetture circostanti, l’idea di una via di uscita dall’ordinario, suggerita dai movimenti asciutti e frammentati dei performer e che a tratti si fanno quasi evanescenti; lontani all’orizzonte o improvvisamente vicinissimi, svelano la possibilità di una dimensione altra. E infatti nella sua versione originaria, gli spettatori osservavano, sentendolo anche nelle cuffie, il performer Caravano, che saliva per i 300 e passa scalini fino alla cima di una delle torri e accendeva un fumogeno dalla cima del luogo simbolo della città.
La danza di mk gioca proprio sui confini porosi tra spazio pubblico e privato, tra individualità e collettività e la città, organismo vivo e mutevole, che attraverso la performance diventa luogo di coincidenze e di configurazioni simboliche. Le voci rimandano a un altrove misterioso ma che arriva con il suono dentro il nostro spazio intimo, dimensione nascosta dell’urbanità.
Il pubblico si ritrova così a osservare la città con nuovi occhi, immerso in un flusso continuo di percezioni: Piazza Maggiore diventa il centro di questo viaggio coreografico, in cui ogni angolo e ogni scorcio si caricano di un potenziale narrativo inedito, mentre le Due Torri, oggi chiuse all’accesso e dunque impossibilitate a divenire luogo del gesto finale di questa storica performance che mk propone da molti anni in diversi contesti urbani, si ergono qui come sentinelle silenziose, sorvegliando una Bologna che si fa teatro di altre possibilità espressive.

 

EL RESTO DEL NAUFRAGIO

Concept e coreografia Roberto Olivan
Musiche originali Pino Basile
Interprete Chamely Hernàndez
Musica dal vivo eseguita da Pino Basile e Oliver Viquillòn Rodrìguez
Assistente Martì Castellarnau
Produzione esecutiva Nuria Marti
Progettazione e coordinamento del progetto Lorenzo Pappagallo
Con il sostegno produttivo di Danza Urbana ETS, Fondazione Fabbrica Europa, Espai Obrador, Escena Patrimonio – GCPHE
In collaborazione con AECID – Embajada de España en La Habana, Dirección Nacional – Asociación Hermanos Saíz (AHS) e sedi di La Habana Guantánamo, Red de Oficinas del Historiador y del Conservador de las Ciudades Patrimoniales de Cuba, Habana Espacios Creativos, Festival Ammutinamenti
Con il supporto di h(abita)t – Rete di spazi per la danza / Comune di Budrio
Con il patrocinio di Online Tours, Ayuntamiento de Cuenca, ESADCYL
Lo spettacolo è realizzato nell’ambito di CRISOL – creative processes, finanziato dal programma Boarding Pass Plus 2022/24 del MiC

 

SLEEPING IN THE CAR

di Virgilio Sieni
in collaborazione con Franco La Cecla
con Jari Boldrini, Sara Sguotti, Maurizio Giunti

 

ATMOSFEROLOGIA

Coreografia Michele Di Stefano
Musica Lorenzo Bianchi Hoesch
Cast Biagio Caravano, Laura Scarpini, Sebastiano Geronimo, Francesca Ugolini
In collaborazione con Ornithology
Produzione mk/KLm in collaborazione con Fuoriprogramma festival e AMAT Marche
con il sostegno del MiC
Lo spettacolo è presentato grazie al sostegno di Acción Cultural Española (AC/E) e in collaborazione con ATER Fondazione
Riallestimento della performance Veduta prodotta da mk nel 2016 in collaborazione con il Festival Danza Urbana di Bologna e con il sostegno di ResiDance – Dance Haus Milano
Lo spettacolo è inserito nel progetto SHOULDER SEASON, una monografia dedicata a mk a cura di Agorà, Danza Urbana ETS, Casa della Cultura Italo Calvino – Cronopios nell’ambito di E’BAL – Palcoscenici per la danza contemporanea, con il sostegno di ATER Fondazione