OLINDO RAMPIN | L’eterna persistenza del fascismo italiano la possiamo leggere anche in palazzacci come questo di Piazza Kennedy a Ravenna – ma potremmo essere in qualsiasi città di provincia. Freddo fondale che non si integra con i bei palazzi storici della piazza, la gigantesca Casa del Mutilato di Guerra riporta sulla facciata un verso di Dante: Dall’alto scende virtù che m’aiuta. Motto che non risulterà beneagurante per la ragazza che all’improvviso vediamo pattinare sui roller, la mano armata di uno smartphone in perenne funzione auto-ritrattistica, il sorriso irrigidito in una smorfia. Inizia così Swan, rabbrividente performance ideata da Gaetano Palermo e interpretata da Rita Di Leo, inserita nella Vetrina della giovane danza d’autore, organizzata dal Network Anticorpi XL nell’ambito del Festival Ammutinamenti.

Qualcosa dall’alto scende, ma invece della virtù divina sono spari. Ad ogni fucilata la ragazza cade rovinosamente, più e più volte. Ma perché si rialza, e ricomincia il macabro rito auto-ritrattistico con lo stesso sorriso di prima, che nel frattempo si rivela però parte di una calotta? Perché non vuole morire? Intanto dal bar al piano terra della Casa del Mutilato comincia a venire una musica rétro, da aperitivo.  Caparbia benché sanguinante, la ragazza non perde l’occasione per un video coinvolgente e riesce a filmare la propria morte, immersa nel controcanto fatuo della musichetta del bar.
Termina così questa amara parabola sul nuovo ethos dell’epoca digitale, mentre il pubblico sciama via velocemente, tra sorrisi e battute, dirigendosi all’aperitivo prima di cena.

Il polittico di spettacoli in programma al Teatro Rasi disegna un ritratto mobile, proteiforme della giovane danza.
Con Klore la materana Mariangela Di Santo ha riscritto con bella infedeltà la tarantella lucana per un trio di esecutori, di cui lei stessa fa parte con i persuasivi Giacomo Graziosi e Carmine Dipace. Lo ha fatto guidandoci in un breve cerimoniale esoterico, quasi un’esperienza rituale tra iniziati. Vestendo un identico abito nero, i capelli raccolti in una treccia alla francese, i tre “affiliati” iniziano il loro viatico verso il sacro attraversando in più direzioni una stella bianca a dodici punte tracciata sulla scena nera. L’effetto ipnotizzante si accresce quando, illuminati e racchiusi da un intenso cerchio di luce bianca (dall’alto scende virtù che li aiuta?) i tre “confratelli” intrecciano gli avambracci a formare un cerchio magico, in cui ognuno dei tre cambia posizione a intervalli regolari, con un effetto di sapore rituale.

Anche con Fallen Angels di Michael Incarbone siamo di fronte a una scrittura coreografica con forti ascendenze rituali, espressione di una vitalità pre-logica, con originali variazioni sulle forme della cinèsi ossessiva tipica dell’età magica. Nelle ininterrotte correnti di irrazionalismo e spiritualismo religiosizzante degli ultimi decenni, vincenti su ogni eredità illuministica, alcune persistenze del magismo nella civiltà sono emerse in originali riutilizzi nelle forme dell’arte performativa e della danza. Qui sono rivissuti in una sintassi nervosa e concitata, in cui l’interprete è come dominata dallo scatenarsi di forze primordiali, immersa in una penombra variata nei colori e percorsa da sonorità psichicamente tumultuose. Asciutta e mobilissima, Erica Bravini è pienamente all’altezza del non facile compito di reggere da sola il crescendo di un’azione coreografica impetuosa, raggiungendo un apice emotivo liberatorio nella fase di maggiore accelerazione cinetica. Quando tutto finisce, le luci le illuminano l’addome, sottile e musculatissimo.

Va in una direzione decisamente diversa Spint* (quasi caduta) di Claudio Larena, anche interprete con Elena Bastogi e Giulia Cannas. È una ininterrotta sequenza di spinte, date e ricevute, prima tra le due performer, poi a tre, con uscite di scena e rientri, e con un effetto come di flipper antropomorfo. Sono esercizi di stile, quasi un Queneau trasferito sul palco in un ossessivo e iterato gioco infantile, con mille variazioni di un unico gesto, il cui significato bullistico è disinnescato dalla controllatissima inespressività facciale. Posto che ci sia stata l’attesa di un cambio di scrittura, di una caduta, di un errore esecutivo, essa verrà delusa nel pubblico, ma lo spettacolo ha proprio nella iterazione folle dello stesso gesto la sua cifra spiazzante e il suo senso-non senso.

Con Amelia del Collettivo Macula assistiamo a una tessitura di crepuscolari e contrastanti condivisioni tra due corpi. Sono frammenti di un possibile discorso amoroso oscillanti tra la tendresse di plurimi abbracci variamente disegnati, improvvise nevrotizzazioni e distacchi. Due, ma a ben vedere tre, sono i performer: Priscilla Pizziol, Edoardo Sgambato e una sedia, memore delle sedie feticcio di Pina Bausch e come quelle continuamente presa, lasciata, ruotata, abitata dai due personaggi, abbandonati a una ininterrotta fragilità carica di memorie.

Fa storia a sé Kama di Gianni Notarnicola, a partire da lui stesso, dalla sua estetica atipica rispetto alle più consuete collezioni fashion post-grunge, etniche, nichiliste o “antiche” indossate dalla dancers society: lui, invece, baffi e capelli super-patinati, occhialini da sole rotondi glamour, panciotto nero e chinos. E, soprattutto, anche la sua danza ha una impostazione più rilassata nei gesti, fruibile nel linguaggio fisico, meno autoriale nella sintassi e nelle scelte musicali, così lontane dalle sonorità elettroniche, intelligenti e nevrotizzanti, di molti spettacoli.

Con Amae di Eliana Stragapede e Borna Babic siamo di fronte ad un organismo solidamente strutturato, con una coerente organizzazione linguistica. Lui, altissimo, è il motore quasi immoto di una febbricitante sequenza di manipolazioni, spostamenti, sollevamenti, prese del corpo di lei. Di non comune pieghevolezza e controllo corporeo, Eliana Stragapede compone una convincente sintassi di posture in abbandono, la cui apparente inerzia si carica in realtà di forte densità espressiva. Ad un certo punto la scrittura coreografica si sviluppa in assoli di inarginabile eccitamento motorio, scariche iterate o contenute di furori alimentati da inserti di sonorità pervasive. I due corpi torneranno infine a riunirsi in nuove e variate congiunzioni, componendo così i pannelli di un polittico in cui riconosciamo i contrastanti capitoli di una relazione tormentosa, ma degna di essere vissuta.

SWAN
di Gaetano Palermo
con Rita Di Leo
sound design e tecnica Luca Gallio
produzione La Biennale di Venezia
creazione vincitrice di Biennale College Teatro – Performance site-specific e Danza Urbana XL 2024

KLORE
di Mariangela Di Santo
con Mariangela Di Santo, Giacomo Graziosi, Carmine Dipace
drammaturgia Carla Andolina
musiche originali Biagio Caravano
con il sostegno della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi

FALLEN ANGELS
regia, coreografia e luci Michael Incarbone
performance e collaborazione alla drammaturgia Erica Bravini
musiche originali Edoardo Maria Bellucci
live set Gabriele Corti
produzione PinDoc

SPINT* (QUASI CADUTA)
ideato da Claudio Larena
con Elena Bastogi, Giulia Cannas, Claudio Larena
suono Lorenzo Minozzi
produzione Chiasma

AMELIA
di e con Priscilla Pizziol e Edoardo Sgambato
musiche originali e sound design Walter Laureti
costumi Mariangela Di Domenico
produzione Zerogrammi

KAMA
coreografia, performance e costumi Gianni Notarnicola
disegno luci Rotem Elroy
un ringraziamento speciale a Guy Bernard Reichmann, al CCA Centro Contemporaneo di Arti di Tel Aviv, la Bagel Production, al Batsheva Dancers Create project, alla direttrice artistica della Batsheva Dance Company Lior Avizoor, alla Batsheva Dance Company e tutto lo staff.

AMAE
regia, coreografia e performance Eliana Stragapede e Borna Babic
drammaturgia Margherita Scalise
musica inedita composta Nenad Kovačić
musica originale Nicholas Britell
disegno luci Benjamin Verbrugge
supportato da VGC Brussels, Culture Moves Europe (European Union and Goethe Institut), L’OBRADOR Espai de Creació, Roxy Ulm e TanzLabor Ulm

Vetrina della Giovane Danza d’Autore, Ravenna | 13 e 14 settembre 2024