FRANCESCA POZZO*| Partiamo dalla fine, riavvolgiamo il nastro. È questa la premessa di Macbeth. L’ultimo sguardo, ospitato a Vercelli all’interno del festival Ogni luogo è un teatro 2024. Questa riscrittura del capolavoro shakespeariano a opera di Rita Frongia cammina a ritroso; infatti non solo si rifà a un importante precedente – il film del 1971 di Roman Polanski – ma incomincia anche dall’epilogo della tragedia e cioè dal momento in cui la testa del protagonista, colpita dalla spada di Macduff, rotola via e senza più luce negli occhi sembra osservare ciò che gli sta attorno.
Si dice che in quella sospensione fra la vita e la morte il nostro cervello faccia un bilancio, facendoci scorrere davanti gli attimi più salienti della nostra esistenza. Così sembra succedere al Macbeth di Luca Stetur, che entra alle nostre spalle per occupare quella porzione di spazio, che nella vita di tutti i giorni è lo Studio10, una galleria d’arte di Vercelli.
Nero su nero, questa stanza della memoria è abitata dalla penombra e da piccoli punti luce nascosti che vengono accesi all’occorrenza. Il leggío si illumina per primo e l’attore introduce il gioco teatrale che ci terrà ancorati alla plastica delle nostre sedie: la fine è l’inizio, l’inizio è la fine e, come annunciano i versi del Bardo, il bello è il brutto e il brutto è il bello. È il turno poi di un bagliore rosso, sferico, una lampada da terra che richiama il sangue onnipresente nella tragedia: quello che riposa sulla lama del pugnale e quello che le mani di Lady Macbeth, nonostante l’acqua, non sono più in grado di lavare via.
Il sound live occupa il lato sinistro della scena e Alessandro Sesana ci immerge in un’atmosfera di guerra. È finita: il trionfo sul monarca di Irlanda e Norvegia rimpiazza il clangore di spade con una melodia di cornamuse. I suoni festanti però scemano, sostituiti dalla predizione delle tre streghe, signore del tempo. Burlesche e sibilline, salutano il signore di Glamis annunciandogli che diverrà barone di Cawdor e sovrano di Scozia, mentre da Banquo discenderà la stirpe reale.
Stetur si destreggia magistralmente fra tutti i personaggi, ripercorre il testo di Shakespeare rispettandone la naturale alternanza fra comico e tragico. In alcune parti però si distacca, inserisce in una certa misura sé stesso, tramite una lingua moderna e situazioni quotidiane che si amalgamano all’originale. Un’operazione che potrebbe risultare ricca di insidie ma che qui si dispiega in maniera spontanea, conferendo allo spettacolo un’andatura ondivaga e armoniosa.
La presentazione di Lady Macbeth è rinnovata, una voce femminile proveniente da uno stereo, che tenta di spingerlo all’uccisione di re Duncan. Stetur così si accascia su una sediolina in proscenio ed evoca una situazione intima, domestica, che porta il suo dissidio interiore a manifestarsi in una discussione coniugale. La donna insiste, distrae, intrattiene e infine seduce pur di ottenere il proprio proposito. Iniziando una partita a carte, gli fa calare le difese, lo manipola inducendolo a “mangiare il re”; e quando il marito se ne accorge, lei diventa veramente incorporea, incuneandosi nella sua mente come una litania. “E dai, vai“. “E dai, vai“. “E dai vai“, a cui lui alla fine risponde “Amen“, così sia.
Al che si alza e accende una lampadina pieghevole, facendo atterrare i suoi raggi sulla lama di un coltello. Duncan è morto e lo è anche Banquo, è ora del convito. Dal fondo Sesana ride, sbatte due tazzine, mima brindisi e gioia, ma è in quel momento che Macbeth vede ciò che agli altri è nascosto: lo spettro, o forse il divorante senso di colpa che investe poi anche la moglie, inducendola al suicidio.
Rimane così sul palco un uomo solo che, spoglio del suo cappotto, vestito di bianco e incoronato, è in grado solo di guardarsi indietro. La lama gli ha trapassato la gola, le parole delle tre sorelle fatali si sono verificate nell’unico modo in cui non si aspettava.
Da quel vaticinio vuoto nasce la riflessione sull’esistenza, sulla sua mancanza di senso e sull’efferatezza delle proprie azioni. Perché la vita è solo un’ombra che cammina, un povero commediante che si pavoneggia e si dimena per un’ora e poi cade nell’oblio: una favola raccontata da un idiota che non significa nulla. Su queste parole esce di scena, nello stesso buio con cui ci ha accolto all’inizio. E noi, rispettando l’andamento circolare dello spettacolo, costringiamo Macbeth/Stetur e Sesana a tornare sui propri passi, fra gli applausi che continuano a scrosciare, imperterriti.
MACBETH. L’ULTIMO SGUARDO
Compagnia47
dal testo di William Shakespeare
di e con Luca Stetur
testi di Rita Frongia
sound live Alessandro Sesana
Studio10, Vercelli | Venerdì 13 settembre 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.