ELENA SCOLARI | Alla terza edizione di Hystrio Festival, diretto da Claudia Cannella (anche direttrice dell’omonima rivista cartacea), tenutasi ancora al Teatro Elfo Puccini di Milano la settimana scorsa, sono stati presentati 16 tra spettacoli e letture sceniche, in sei giorni di programmazione. Ho assistito all’inaugurazione e a due giornate, una visione parziale ma dalla quale si possono osservare due principali correnti: la prima è specchio di una situazione personale e sociale complicata che i giovani non sanno come affrontare; c’è il desiderio di capire e capirsi, il tentativo di mettere in scena il proprio disagio, spesso però senza la manifesta volontà di trovare come uscirne.

Niccolò Fettarappa

Nel mio bagno di sangue di Niccolò Fettarappa Sandri – presentato in forma di lettura nell’ambito del Festival che ospita il progetto Il copione dell’Associazione Situazione Drammatica a cura di Tindaro Granata – vede Fettarappa stesso, Lorenzo Guerrieri, Beatrice Schiros e Paolo Rossi, impegnati a scagliare un’invettiva contro la vacuità dei Centri benessere, il testo (disponibile su RaiPlay Sound) autodenuncia la paura di arrivare ai trent’anni diventando inoffensivo, rassegnato alla Rai di Flavio Insinna, sciabattando quattro passi tra la lavastoviglie e la tisana. Le parole di Fettarappa sono brillanti, taglienti, descrivono con umorismo cinico il disastro emotivo ed esistenziale di una generazione, talmente concentrata sul proprio pantano da partorire drammaturgie allegramente distruttive. C’è infatti solo pars destruens. Per la construens rimaniamo in attesa. Certo, Fettarappa non è affatto convinto che in teatro questa ci debba essere, ed è una posizione legittima; si scontra però – a qualche anno, ormai, dall’esplosione presso la platea nazionale – con il sospetto che si scelga di distruggere perché è più facile che costruire un’alternativa. La propria infelicità è una fonte che non si prosciuga mai.
L’autore sa far ridere della meschinità piccina delle proprie inadeguatezze, usa parole sempre precise per personaggi che idolatrano le pantofole mordendole con divanesca voluttà e la cui unica lotta è quella contro il calcare; la sua scrittura fatta di fendenti esilaranti e tragici descrive il caos comportamentale e ideologico suo e dei suoi coetanei con profonda arguzia, direi anzi con una cura ostinata. E questi sono pregi innegabili.

Dal disagio di un giovane (Fabrizio Calfapietra) prende avvio anche Dopo la tempesta di Francesco Toscani per la regia di Andrea Piazza, produzione Teatro Out Off. C’è però del buono in Inghilterra, il buono di Shakespeare si dissemina anche in questo lavoro, interessante per costruzione e complessità di incastri testuali.

ph. Alessandro Villa

È un esempio di ciò che si può ascrivere alla seconda corrente accennata: quella di chi sceglie di ancorarsi ai grandi testi classici leggendoli con una luce contemporanea: Shakespeare è ancora capace di sollevare, di sottrarre all’agonia, di restituire senso e sogno. Insomma: di salvare.
Un ragazzo vaga in un parco periferico di Milano, tra scivoli, altalene e giostrine (scene di Alice Vanini). È senza lavoro e non ha un posto dove dormire. Ciondola senza obiettivi. Incontra una signora anziana (Monica Bonomi), convinta di essere Ariel, che cammina portando sacchetti di plastica per la spesa e gli offre ospitalità gratuita nel suo appartamento, in cambio gli chiede solo di recitare un pezzettino della Tempesta insieme, ogni giorno.
È una vecchia pazza? Una strega? È davvero lo spiritello dell’isola, invecchiato reclamando la sua libertà?
L’intreccio procede in maniera un po’ confusa, ma la compresenza dei due piani, realistico e d’immaginazione, è una buona invenzione che ragiona sull’eterna mistura di teatro e vita. Su uno schermo gigante vengono proiettati alcuni video in bianco e nero (di altissima qualità tecnica) girati a Milano, che immergono la vicenda in un ambito urbano in effetti non così caratterizzante, ai fini dell’economia drammaturgica. Il fulcro di Dopo la tempesta è l’eterno oscillare tra il desiderio di credere alla letteratura, a ciò che nelle sue pagine non si spiega e la spinta razionale ma povera a vivere solo nella concretezza del presente. Ariel sembra arresa ma non è così, prova tutti i giorni, con il potere dell’immaginazione (e del teatro d’ombre), a ricreare la sua isola. E forse avrà aiutato il ragazzo a costruirsi una dimensione che non sia dominata solo dalla pratica.

Sulle parole si basa anche end-to-end di Andrea Dante Benazzo Laura Accardo. Il titolo si riferisce alla crittografia delle maggiori applicazioni di messaggistica, come Whatsapp, che consente solo ai due interlocutori di decifrare i messaggi.

Screenshot

La questione è presto descritta: Benazzo si è lasciato con la fidanzata alcuni anni fa, ce lo dice dal banco della regia in scena, la performance (spettacolo mi parrebbe inadeguato) comincia con una lista – banale e un po’ ossessionata da MasterChef – delle cose che Benazzo avrebbe voluto condividere con la ragazza se la storia non fosse finita. La lista è un topos che funziona, da Umberto Eco in giù, ma in teatro ha smesso di essere interessante dopo i primi Babilonia.
Non solo: il nostro ha avuto la bella idea di conservare e rileggere tutta la oceanica chat di Whatsapp che è intercorsa tra lui e la donna nei 5 anni in cui sono stati una coppia. Aiuto.
Poi ha pensato anche di farla analizzare da un “linguista computazionale” (Dario Del Fante) che tramite processi perlopiù di calcolo quantitativo, gli ha detto qual era il sentimento più presente, anno per anno, nella chat: rabbia, tristezza, positività… oppure quante volte si sono scritti Ti amo, ogni anno, e quali parole si presentavano più frequentemente vicino alla dichiarazione.
La stampa della chat è stata in seguito consegnata ad altre coppie, riprese in video (a cura di Laura Accardo) mentre leggono i dialoghi e ci ricamano sopra qualche opinione qualunque. E ce le vediamo per una buona mezz’ora.
Ora, nonostante la storia privata dei due individui non muova il minimo interesse e la corrispondenza non sia quella tra Franz Kafka e Milena Jesenska, forse sarebbe stato comunque fruttuoso analizzare prima di tutto perché tanto della comunicazione tra due persone intime si riversa in Whatsapp (nessun accenno mai viene fatto a quanto e cosa si dicessero de visu) e in secondo luogo provare a cavare uno straccio di riflessione sul linguaggio, sulla sua evoluzione, sul senso di esprimersi con un mezzo che tanto tempo ha occupato e occupa sotto i nostri polpastrelli. Invece no.

Nelle prossime puntate che PAC dedicherà a Hystrio Festival avremo modo di individuare anche altri modi che gli under 35 stanno adottando, in teatro, per rispondere a un mondo complesso, a volte ostile ma che proprio per questo spinge a reagire.

 

NEL MIO BAGNO DI SANGUE
lettura scenica 
di Niccolò Fettarappa Sandri
con Niccolò Fettarappa Sandri, Lorenzo Guerrieri, Beatrice Schiros, Paolo Rossi

DOPO LA TEMPESTA

di Francesco Toscani
ispirato a William Shakespeare
regia di Andrea Piazza
con Monica Bonomi e Fabrizio Calfapietra
scene e costumi di Alice Vanini
luci di Andrea Piazza, Luigi Chiaromonte
Produzione Teatro Out Off, Milano

END TO END

un progetto di Andrea Dante Benazzo e Laura Accardo
linguista computazionale Dario Del Fante
sguardo esterno di Alessandro Businaro
Progetto vincitore dell’Open Call Residenza 2021 di Teatro in Quota
Residenza Produttiva Carrozzerie | n.o.t, Roma

Hystrio festival, Teatro Elfo Puccini, Milano | 10 e 17 settembre 2024