ELENA SCOLARI | Dal metaverso (qualunque cosa sia) dove si trova una pianta particolarmente ostinata, a tre adolescenti in bilico tra fanciullezza litigiosa e adultità impasticcata, da una famiglia molto particolare in cui le donne si tramandano per linea materna un pauroso segreto ferino, fino al “buon” Riccardo III. Che quando si arriva alla tragedia del bardo ci si riposa.
Il bello di un festival è che si possono toccare in una sola sera tutte queste situazioni, spostarsi nello spazio e nel tempo, essere proiettati nel futuro, annoiarsi del presente e riscaldarsi nelle sicure tragedie del passato.
Nelle scorse puntate su Hystrio Festival, PAC ha raccontato diversi lavori di compagnie under 35 sfilati sui palcoscenici del Teatro Elfo Puccini, dando conto di impressioni generali e di alcuni fili comuni nella tela della giovane drammaturgia italiana.


Proseguiamo questo diario introducendoci nella realtà (diciamo così) di Oleandra di Caterina Filograno, la lettura scenica del suo testo è stata realizzata da Anahì Traversi, Camilla Semino Favro, Giulia Heathfield Di Renzi, Christian La Rosa. E va detto che le letture cui abbiamo assistito sono sempre state affidate ad attori di grande professionalità e carattere che hanno reso uno splendido servizio alle opere e ai loro autori.
Dicevamo realtà per modo di dire perché siamo nel virtuale, in una specie di videogioco molto sofisticato in cui gli attori impersonano gli avatar dei personaggi. Cioè: i personaggi sono avatar, ma non sempre.
Non so se mi sono capita. Ricominciamo: ci sono alcune persone, vere, che giocano a un videogioco, nel videogioco giocano i loro avatar che interagiscono con persone finte (esistenti solo nel videogioco), i protagonisti di questo testo sono le persone vere, i loro avatar e i personaggi di invenzione. Non è lineare, è vero, e infatti per i primi dieci minuti si capisce poco. Anche sotto ai cinquant’anni, ne ho le prove.

nella foto Caterina Filograno

Poi, più che capire, ci si lascia irretire dalla storia di Oleandra, un terreno virtuale da cui trarre guadagno; il terreno vale o non vale a seconda di una serie di fatti: per esempio se c’è una pianta che non si riesce a sradicare (ecco il titolo) è un problema e le quotazioni possono crollare, niente acquirenti. Una pianta che non se ne va è come un ricordo che non riusciamo a dimenticare: nel gergo metaversese pare si dica che è persistente.
L’indiavolato andirivieni tra dentro e fuori questo luogo ineffabile – che poi si triplica perché c’è pure il luogo scena – lascia un po’ storditi ma rivela in Filograno una drammaturga piuttosto esplosiva, di cui è bello vedere l’arguzia applicata a qualcosa di sfuggente.

Altrettanto sfuggente ma causa di un’inquietudine più tradizionale è il mistero custodito in Pelle di Chiara Arrigoni, altra lettura scenica affidata a Maria Pilar Pérez Aspa, Emilia Tiburzi, Silvia Di Cesare, Angelo Di Genio, Simona Bordasco.
Una madre, le sue tre figlie, il futuro marito di una di loro. Anna, Bella, Astrid: tre sorelle molto diverse, la giudiziosa, la ribelle, la romantica. Tutte e tre condividono con la madre, energicamente proiettata verso la sua imminente fine, un segreto. Le donne di questa famiglia se lo passano, da sempre. Il segreto è semplicemente chiamato “la cosa” (non proprio un’acrobazia linguistica) ma è in realtà già rivelato nel titolo. Non sveliamo di più perché è tenuto nascosto molto bene fino a 3/4 del lavoro, ma a quel punto però si dice troppo: il disvelamento accidentale del segreto all’unico uomo in scena causa un epilogo francamente strampalato e maldestro. Sarebbe bastato fermarsi prima, senza mettere morali posticce. Le conversazioni tra le donne sono agili e brillanti – seppure un po’ verbose –; specialmente la madre è ben disegnata. Interessante sarà vedere l’interazione fisica nello spazio in una messinscena completa.

nella foto Chiara Arrigoni

Stilisticamente parlando Arrigoni ha una scrittura che appare e suona facile, veloce, credibile ed è curioso lo scarto con un racconto che ha invece caratteristiche horror inverosimili. In teatro, però, alludere funziona più che descrivere.

La famiglia nasconde il proprio mostro e Riccardo III è un mostro. Sanguinario, crudele, una carogna. Gianluca Bonagura firma una versione della tragedia per voce sola, quella di Edoardo Sorgente, che spadroneggia benissimo in scena interagendo con il fratello George in forma di pesce rosso nella boccia; la madre è un cubetto di porfido, i due principini due dolci madeleine, il duca di Buckingham una lampada, Lady Anna una giacca su ometto che cala dalla graticcia.
Riccardo compare nella nebbia steso su una tavola sospesa, appesa a cavi d’acciaio, è vestito di nero ed è attraversato da una specie di nevrosi che non lo fa stare fermo, parla velocemente, traffica in continuazione con gli oggetti suoi compagni di scena. La sua è una febbre di riscatto, causata dalla condizione di minorità fisica cui la nascita prematura lo ha condannato: è storpio, deforme, di aspetto rozzo; gli sono negati i piacevoli sollazzi di corte e allora vuole vendicarsi, con la perfidia. Corrompe, trama, tradisce, inganna, uccide, seduce. Seduce andando oltre la morale, riesce a sposare Anna, vedova Lancaster, che cede alle subdole lusinghe dell’assassino di suo marito e suo padre. Ci sapeva fare, Riccardo.


La regia di Bonagura (che ha curato anche scene e suoni e l’adattamento con Elvira Buonocore) è elegante, è fatta anche di alcune soluzioni semplici ma di effetto simbolico e poetico: l’alternanza di chi agisce nel buio e chi nella luce con la lampada che oscilla, Riccardo che “indossa” Anna quando la seduce, la maschera di animale che nasconde e mostra la natura bestiale del re, il fratello George, reso muto come un pesce.
La scelta è raccontare la storia dalla morte di Riccardo, trafitto in combattimento dalla lama di Richmond. La riduzione è tutto sommato completa, il protagonista “ricostruisce” ciò che è accaduto, di assassinio in assassinio, ha fatto fuori chiunque si frapponesse tra lui e la corona.
L’interpretazione di Sorgente è energica, precisa, anche ironica, molto dinamica. Ecco, forse troppo di movimento, troppo agile, troppo “in forma”. Riccardo III è quello che è proprio per via del fisico in cui è imprigionato, vuole il potere perché non può avere altro, è bistrattato per la sua mostruosità e allora sprofonda in una catena di azioni mostruose. Non c’è bisogno di zoppicare o ingobbirsi ma una traccia, qualsiasi, della sua abnorme bruttezza dovrebbe rimanere. O l’inverno dello scontento si spiega un po’ meno.

Di bellezza e bruttezza, gioia e tristezza, equilibrio e distonia si parla, confusamente, in Joanna Karol Paul di Giulia Massimini. Due amiche per la pelle (una tutta dark e l’altra tutta colorata, toh) fanno un gioco per cui l’una, Joanna, fotografa ossessivamente l’altra, Karol, e dà un titolo a ogni foto; Karol inizia un filarino con Paul e arriva il terzo polo, maschile, a fare casino. Fin qui tutto normale. A Paul piacciono tutte e due, e anche a Joanna un po’ Paul piace. Ma le piace anche Karol. Tema triangolo, tema gara di seduzione, tema tradimento, tema bisessualità? Per soprammercato Paul si impasticca rubando gli psicofarmaci alla madre. Ovviamente tutti litigano con tutti, fanno 6 liti in tutto, bisticciano come tragedie perché i ragazzini sono tutti assolutisti e massimalisti.


Per aggiungere massa drammatica potrebbe essere che Karol sia incinta. In una sequenza veramente male assemblata non si può aver chiaro se gli altri due le mentano, se lei partorisca o abortisca, boh. Fatto sta che da dentro a un carrello di supermercato, in posizione da partoriente, dalla ragazza esce un pupazzo cane di pelle, nero.
La recitazione di Ilaria Ballantini, Giovanna Giardina, Andrea Triaca è acerba, la regia quasi invisibile e non aiuta i tre interpreti a dimostrare la consapevolezza di movimenti, posizioni, azioni, in scena. Capiamo il nocciolo emotivo forte: questi ragazzi non sanno come amare e non sanno come essere amati. Stanno messi male – come testimoniano anche altri lavori di cui PAC ha dato conto – ma se questi giovani scelgono il teatro come strumento per indagare loro stessi e trovare un bandolo che serva a districarsi nella giungla della vita, il loro disagio non può essere causa, oggetto e conclusione di uno spettacolo. Serve attraversare la premessa, trovare un nucleo e poi andare oltre, guardando avanti.

 

OLEANDRA
(lettura scenica)
di Caterina Filograno
con Anahì Traversi, Camilla Semino Favro, Giulia Heathfield Di Renzi,
Christian La Rosa

PELLE
(lettura scenica)
di Chiara Arrigoni
con Maria Pilar Pérez Aspa, Emilia Tiburzi, Silvia Di Cesare, Angelo Di Genio, Simona Bordasco

LA TRAGEDIA DI RICCARDO III

da The Life and Death of King Richard the Third di William Shakespeare
traduzione e adattamento Gianluca Bonagura ed Elvira Buonocore
ideazione, scene, suoni e regia Gianluca Bonagura
luci Andrea Iacopino
costumi Anna Verde
con Edoardo Sorgente
Produzione falsepartenze teatro
In collaborazione con Casa del Contemporaneo e Nostos teatro e con il sostegno di Campania Teatro Festival, Fondazione Campania dei Festival

JOANNA KAROL PAUL

testo e regia Giulia Massimini
luci Alessia Giglio
musiche Maria Chiara Massimini
con Ilaria Ballantini, Giovanna Giardina, Andrea Triaca
produzione Piracanta Teatro e lacasadargilla
realizzato con il sostegno di Spin Time Labs
Menzione Premio Hystrio Scritture di Scena 2022

Hystrio Festival, Teatro Elfo Puccini – Milano | 17 e 19 settembre 2024