OLINDO RAMPIN e RENZO FRANCABANDERA | OR: Perdersi nelle sale di una pinacoteca deserta. Perdersi nel senso di abbandonarsi a una osservazione dei quadri errante, sensuale, libera dagli abbecedari storico-artistici. Basterebbe questo piacere non previsto per salutare con favore l’operazione con cui perAspera Festival, diretto da Maria Donnoli, ha invitato gli artisti del gruppo nanou a mettersi, in occasione dei loro vent’anni, in una relazione aperta con la pittura barocca, grazie alla collaborazione con la Pinacoteca Nazionale di Bologna e il Mar di Ravenna. Nell’attesa, capita però di attardarsi troppo nella sala prediletta, dove è conservata la Natività di Vitale da Bologna. Di farsi coinvolgere e confortare dalla sublime gioia delle schiere angeliche attorno al Bambino, dall’umanità della Madonna che tasta con le dita l’acqua del catino per sentire se la temperatura è adatta al divino infante, fino a perder di vista l’orario.

RF: E invece, insieme a una serie di altri fortunati appassionati di arte performativa e grazie a perAspera, rassegna storica a Bologna di linguaggi intermediari, ce l’abbiamo fatta! Devo dire che quella passeggiata in solitaria fra i corridoi carracceschi della Pinacoteca e la contemplazione degli affreschi di Vitale, resteranno a lungo come sensazione e non mi sono sentito affatto d’antan. Anzi. L’installazione coreografata proposta in due sale da nanou, rispettivamente quella di Guercino e quella più grande dedicata alle pale di Guido Reni, aveva una preziosità dell’essere. Torniamo quindi indietro rispetto al corridoio dove ci eravamo spostati a fare gli ottocenteschi…

Guercino, “La vestizione di San Guglielmo”, Pinacoteca Nazionale di Bologna

OR: Ci si rende conto che la sala dove ha luogo la performance è nell’altra ala della estesa quadreria. E allora bisogna camminare trafelati, aprire le porte delle sale, correre per i lunghi corridoi pieni su entrambe le pareti di piccole e grandi tavole gotiche ricoperte di Madonne, di Bambini e di vite dei Santi, come in un film, per arrivare in tempo.
Eccoci di fronte a Moto perpetuo. Visioni in Guercino, installazione coreografica curata dal gruppo nanou con Giorgia Salerno, curatrice del MAR. L’intervento coreografico di Marco Valerio Amico e Rhuena Bracci è lieve. L’interprete, Agnese Gabrielli, semisepolta da morbidissimi drappi dorati e rossi, disegna pochi e delicati gesti. Ricade sulle stoffe mollemente, come presa da una inaspettata stanchezza. Qualcosa fa pensare, più che al guerciniano San Guglielmo d’Acquitania che ci sta di fronte, a certe estenuazioni femminili nell’arte inglese preraffaellita. Oppure, nella più vasta sala dove ci spostiamo per vedere Carolina Amoretti e Andrea Dionisi interpretare il viaggio pittorico di Guido Reni, a qualche sequenza di un barocco contemporaneo, con quel tanto di una romanità passata attraverso i peplum, ma meno vistosa, più sottile. Il viso di non conforme disegno di Carolina Amoretti è in tutto degno delle dolentissime figure femminili di un artista di ottant’anni più vecchio di Reni: il Pontormo. Appaiono più tridimensionali, in un certo senso, le figure di Guercino e di Guido Reni di quelle dei movimenti rallentati e avvolti nella nuvola rosso-rosa dei drappi del moto orchestrato dal gruppo nanou.
Bernard Berenson nel suo fondamentale The Italian Painters of the Renaissance scrive che le arti, quando sono tali, producono un effetto di «cresciuta capacità vitale». Ecco, il lieve intervento del gruppo nanou può aver rafforzato questo effetto tonificante, spingendomi a sostare ancora per incontrare, in compagnia di un nuovo amico, i quadri più amati della Pinacoteca.

Ph. Fabio Fiandrini

RF: Il tuo aggettivo circa la levità mi pare icastico e rispondente. Personalmente ho trovato più messo a fuoco il duetto, fra i due interventi, forse per la logica spaziale e l’ampiezza dell’ambiente che permetteva di più. Poteva considerarsi magari un’ipotesi itinerante, ma certo sarebbe stata complessa data la dotazione materica delle stoffe granata e dorata lunghe diversi metri e che di fatto assumevano da sole una rilevanza installativa: dentro a essa i corpi si avviluppavano e si liberavano, un po’ come nella Vestizione di San Guglielmo, cui certamente si ispira in generale l’azione coreografica.
Personalmente ne è derivato in me un sentimento dello stare. Un tempo sospeso, assoluto. Tanto che alla fine, quando il gruppo è stato invitato a uscire, sia tu che io abbiamo poi preferito fermarci e rubane ancora un po’. E non solo per la Pinacoteca di per sè, che magari è possibile visitare in alcuni orari con poco pubblico, ma per quel mistero del museo in serale, con le emozioni dei gesti vivi che accompagnano le staticità secolari. Insomma è un mescolare sensazioni che lascia piacevolezza.

OR: Pochi giorni dopo, nella sala di ingresso della Raccolta Lercaro, in Via Riva di Reno, mettiamo le cuffie per ascoltare Nata vicino ai fantasmi. Nata tempesta, il diario che Bluemotion, ideazione e regia di Giorgina Pi, ha ricostruito sulla sua scoperta di Tiresia nei versi di Kae Tempest, che l’ha portata allo spettacolo Tiresias. Ed è radicalmente diverso il processo di cresciuta capacità vitale prodotto dall’interazione tra la proteiforme collezione qui conservata, estranea al purismo monodisciplinare e storicistico della pinacoteca nazionale e le voci di Gabriele Portoghese, Aurora Peres, Maria Vittoria Tessitore, Vasilis Dramountanis, Christos Stergioglu, Monica Demuru.

Ph. Fabio Fiandrini

Qui siamo di fronte a un collezionismo plurilinguistico, da principe rinascimentale, che accosta senza timidezze la Forma quasi sferica di metacrilato combusto di Marcello Mondazzi con il sarcofago antico; oppure Straws Wall, l’installazione optical di cannucce monouso colorate di Francesca Pasquali con gli elegantissimi fossili di pesci e piante. E che ci invita infine a una bella passeggiata nel Novecento italiano, da Balla a Manzù, fino al maggiore di tutti, Morandi, con la sua eterna Via Fondazza osservata e riletta per l’ennesima, felicissima volta.
Diverso è anche il ruolo dello spettatore, chiamato a una relazione di condivisione di stimoli meno agilmente gestibili emotivamente, tra meravigliose canzoni greche, di una calma tristezza omerica, gli incatalogabili “carmina” di Kae Tempest e la voce di Monica Demuru, che ci mette in relazione con la natura misteriosa di Tiresia, la sua doppia identità, che ci ricorda il dramma e al tempo stesso la superiore e più piena esistenza di Orlando, il viaggio spazio-temporale nel maschile e nel femminile di un’altra grande inglese, Virginia Woolf.

RF: Anche io, pochi giorni dopo la Pinacoteca, ho seguito un altro degli eventi in programma. Si è trattato di Nikita di e con Francesca Sarteanesi (e con Alessia Spinelli). Lo avevi già visto e ce ne avevi parlato, raccontando la replica a Castiglioncello di inizio estate.
L’innesco drammaturgico è presto detto: una donna matura, indurita dalle delusioni di una vita – agiata materialmente ma disagiata per densità umana delle relazioni– è dentro un patio, a distanza di qualche metro da un’altra donna che capiremo solo dopo qualche minuto essere intenta a farle la pedicure. In realtà la cosa di suo appare e resta fino alla fine di certo improbabile, perchè la distanza fra le due è di gran lunga superiore a quella di un consueto corpo umano. Ma cosa si frappone fra noi e la visione del corpo delle due donne? Un separèe sbrilluccicante di tessuto a paillette nel tono del verde, dal quale sbucano solo le parti alte dei due busti. E qui, oltre all’assurdità della distanza fra le due, il tema dell’assurdo inizia a rimbombare. In primis perché è un non dialogo, quello che occorre fra le due, visto che parla solo la riccastra inacidita dalla vita e dal nulla in cui la protrae e di cui ci racconta in un dettagliatissimo e morboso monologo. Ma anche perchè anche lei è immobile, come la Winnie di Giorni Felici, il personaggio principale, una donna sulla cinquantina, sepolta fino alla parte alta del busto in un cumulo di sabbia. Anche lei, tirando fuori oggetti dalla sua sporta, delira sul nulla, raccontando aneddoti su come trascini avanti l’esistenza, mentre il marito Willie, così come la donna della pedicure in Nikita, resta muto, finto interlocutore di un dialogo che non s’ha da fare.

LabOratorio San Filippo Neri, “Nikita” di Francesca Sarteanesi – ph Fabio Fiandrini

Come in Giorni Felici, un istinto omicida ammanta i gesti e le battute finali, e come in Giorni Felici, la donna continua a proclamare il suo benessere, la soddisfazione per un’esistenza che in realtà a tutti appare miserabile, esattamente come i vestiti di casa che sfodererà al momento degli applausi, e che, come una rivelazione ex post, completano nello sguardo dello spettatore l’esatta portata e l’esatto portato del personaggio (geniale l’idea del completamento del quadretto umano a fine spettacolo, con i costumi di Rebecca Ihle, cui si devono anche la scenografia paillettosa, ideata insieme Lorenzo Cianchi).

Si ride e si sorride: ci attraversa il sarcasmo di questo racconto sull’età della disillusione, quel tempo della vita in cui il grosso pensi di averlo già fatto, in cui pare non esserci più nulla a cui appigliarsi per provare qualche brivido, se non quella feroce e sadica misantropia che di solito attecchisce nell’età della senescenza, quando la paura della morte diventa più tangibile. Qui invece, in questo quasi-monologo sulla contemporaneità disagiata della classe cafonal-arricchita, il senso mortifero affiora prima, trovando come contraltare la pochezza ingenua e proletaria della limatrice di unghie, che nell’unico momento in cui viene chiamata a poter parlare, effettivamente pare dar ragione del fatto che fosse meglio tacesse. Insomma, a me pare che Beckett c’entri, e che sia ancora possibile scrivere un testo (di Sarteanesi e Tommaso Cheli) e fare uno spettacolo di teatro dell’assurdo oggi.

MOTO PERPETUO. VISIONI IN GUERCINO

cura Giorgia Salerno e gruppo nanou
coreografie Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci
con Carolina Amoretti, Andrea Dionisi, Agnese Gabrielli
interventi Mirella Cavalli, Giorgia Salerno
produzione Nanou Associazione Culturale
contributo MIC, Regione Emilia-Romagna, Comune di Ravenna | collaborazione MAR – Museo d’Arte della città di Ravenna, Pinacoteca Nazionale di Bologna

NATA VICINO AI FANTASMI. NATA TEMPESTA. Un diario da ascoltare in cuffia 
[una tappa di TIRESIAS B SIDE
un progetto di Bluemotion sul mito di Tiresia e Kae Tempest]

ideazione e regia: Giorgina Pi
cura del suono: Cristiano De Fabritiis, Andrea Pesce
voci di: Gabriele Portoghese, Aurora Peres, Maria Vittoria Tessitore, Vasilis Dramountanis, Christos Stergioglu, Monica Demuru
accompagnamento al lavoro: Benedetta Boggio, Rossella Granata, Camilla Vespa
produzione: Angelo Mai, Bluemotion, Granducato
Si ringrazia l’Assessorato alle Pari Opportunità del Comune di Bologna

 

NIKITA

interpretazione e regia Francesca Sarteanesi
e con Alessia Spinelli
ideazione e drammaturgia Francesca Sarteanesi, Tommaso Cheli
produzione Scarti Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione, Teatro Metastasio di Prato
con il sostegno di Teatri di Pistoia Centro di Produzione Teatrale
costumi Rebecca Ihle
scene Rebecca Ihle e Lorenzo Cianchi
realizzazione scene Alessandro Ratti
luci Marco Santambrogio
sonorizzazioni Francesco Baldi
tecnica Carolina Agostini
si ringraziano Nikita, Luna park di Pistoia, Francesca Saturnino