RENZO FRANCABANDERA | Il Festival Voci dell’Anima è uno di quei festival che nei decenni ha visto passare tutte le generazioni del palcoscenico italiano: giunto alla sua XXII edizione, l’evento si è svolto dal 24 al 30 settembre al Teatro degli Atti di Rimini, consolidando il suo ruolo per la scena emergente del teatro contemporaneo e della danza. Diretto da Maurizio Argan e Alessandro Carli, e promosso dal Teatro della Centena in collaborazione con ResExtensa e il Comune di Rimini, offre un palcoscenico a produzioni emergenti, intenzionate a esplorare con il linguaggio performativo le molteplici sfumature della condizione umana. Anzi, verrebbe da considerare che la sua importanza risieda non solo e non tanto nel suo valore artistico, perché di festival così ce ne sono tanti, ma anche e proprio nel suo impegno nel creare una piattaforma per la promozione, la condivisione e la circolazione delle idee.

La squadra di Voci dell’Anima nello scatto di fine festival (ph. Dino Morri)

Come sottolineato dall’assessore comunale alla Cultura Michele Lari, Voci dell’Anima risponde alle esigenze delle compagnie teatrali emergenti, offrendo loro opportunità di visibilità e di dialogo con un pubblico sempre più diversificato. Il Teatro degli Atti e la Sala Balletto del Teatro Galli sono stati messi a disposizione per accogliere le molteplici attività della manifestazione, diventata ormai un appuntamento fondamentale nel calendario culturale della città, anticipando, per certi versi, la stagione di prosa, e portando il pubblico a confrontarsi con linguaggi nuovi e contemporanei.
Peraltro, il tema scelto per questa edizione, intitolata Gli Altri, riflette l’intenzione profonda di aprire uno spazio per quelle voci spesso trascurate o ignorate, ma che rappresentano una necessità creativa imprescindibile. Attraverso 15 spettacoli, selezionati tra oltre 80 candidature, il festival ha offerto una proposta ricca e variegata, che spazia dal teatro alla danza, passando per reading di poesia e incontri culturali.

Ogni serata del festival è iniziata alle ore 20:30 con la programmazione di Animali da Palco, una serie di interventi curati da Loredana Scianna e Teresio Troll con il contributo di altri artisti e musicisti come Adriano Engelbrecht, Michele La Paglia e Mattia Pancrazi. Questi interventi, collocati prima degli spettacoli principali, hanno offerto un’introduzione letteraria e poetica che ha spaziato dalla poesia dialettale alla canzone di protesta, interpretando autori “ribelli” e isolati della letteratura mondiale, una formula che permette di creare un ponte tra la parola scritta e il linguaggio performativo, preparando il pubblico all’esperienza teatrale vera e propria.

disegno eseguito dal vivo da Renzo Francabandera

La serata del 26 settembre ha portato sul palco tre spettacoli di danza che, pur differenti tra loro per stile e approccio, hanno condiviso un filo conduttore: l’indagine dell’essere umano dietro la maschera sociale e le convenzioni che regolano il nostro vivere quotidiano. Nell’ordine, hanno occupato il palcoscenico del Teatro Galli Splendore di Spazio Continuum, Pink Lady di Rosalie Wanka e Sale Q.B. di Templetheater.

Splendore è una suggestiva interpretazione di Kea Tonetti che si fonda sui canoni espressivi della danza Butoh di cui è esperta interprete, fra le poche in Italia, accompagnata dalla musica dal vivo di Tivitavi. Il musicista è posizionato in fondo sulla destra, seduto con i suoi diversi strumenti digitali e analogici, e apre con i suoni l’accadimento artistico, mentre uno spot illumina con luce fredda la performer distesa sotto un velo. La vedremo poi pian piano prendere vita e mostrarsi a noi, con un sembiante composto da una veste larga nella parte inferiore, color petrolio, che lascia nude le gambe e la spalla, mentre il velo diventerà esso stesso parte del vestito in cui la donna si avviluppa, non meno di quanto provi a separarsi.
La danza Butoh, nota per la sua intensità emotiva e per il suo legame con la spiritualità, tema assai caro alla danzatrice che ne ha fatto ragione dei suoi studi più profondi fra istinto, ragione, governo del sé e intenzione spirituale, è stata qui utilizzata per esplorare il tema della condizione umana e dell’illusione della realtà. Il titolo, infatti, allude all’idea di una bellezza dimenticata, di un’essenza perduta, che si cela dietro il velo di Maya, il concetto orientale che descrive l’illusione del mondo sensibile e che rimanda alle creazioni mistico simboliche e agli archetipi di un altro dei maestri incontrati dalla Tonetti, Jodorowsky.
Anche in questo assolo le tracce di alcune posizioni del Butoh più canonizzate (la tigre, il tempio, il Buddha) si mescolano, per esaltarsi nella lettura che gli artisti intendono portare in scena del bello da cui l’umanità è distante. Ma come noto nel Butoh – pratica artistica nata in Giappone meno di un secolo fa, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, grazie agli sforzi di Tatsumi Hijikata e Kazuo Ohno, caratterizzandosi per il suo aspetto provocatorio – bello e brutto confluiscono in un’indistinguibile mescolanza: mettendo in scena tabù sessuali, la rappresentazione grottesca, decadente, sarcastica della vicenda umana, condensate in pose di cifra espressionistica che si collegano per creare una drammaturgia psicosomatica, il niktuai, corpo inteso come ammasso di carne, si porta al confine e supera il dualismo del bello e del brutto, incarnandoli entrambi nel volgere di poche posture, trasformando, come fa la Tonetti, pose leggiadre in smorfie breugheliane. È proprio l’incarnazione del wabi-sabi, l’estetica giapponese, fondata sull’accettazione della transitorietà e dell’imperfezione delle cose.

disegno eseguito dal vivo da Renzo Francabandera

L’idea platonica della caverna, da cui l’individuo percepisce solo le ombre della verità senza mai afferrarne l’intima natura, è qui rappresentata dall’artista che portando la sua carnale fisicità dentro un complesso di gesti delicati, ma estremi, espressivi, che corrompono pose leggiadre per renderle grottesche, porta l’umano a conoscere la sua condizione misera diventando ella stessa luogo della rappresentazione drammatica. Proprio il desiderio di vivere senza direzioni, senza conoscersi, intrappola l’individuo nel velo di Maya, il dominio delle illusioni. Sul palco, un cigno bianco, simbolo di purezza e bellezza, lotta contro il suo destino, ferito e incapace di riconoscere il proprio splendore.
La performance si propone, quindi, come un viaggio nel subconscio, un grido di ricerca dell’essenza nascosta dietro le illusioni della vita, e come tale non tutti i nessi estetico-filosofici sono leggibilmente consequenziali, pregio, ma anche voluto limite di questo genere di sperimentazioni che vuole dialogare con l’irrazionale. Sebbene il meccanismo coreografico talvolta indugi in schemi di rappresentazione che tornano indietro nel tempo ai nuclei di performatività fisica degli anni Settanta e Ottanta, la danza lenta e a tratti inquietante di Tonetti, così come pure i cenni ora erotici, ora inquietanti affidati al suo corpo esperto, che oscillano fra la copula e la gestazione, fra il volo e il drammatico atterraggio della vita umana, hanno trasportato il pubblico in una dimensione ultrareale.
La danza è sospinta dalla musica dal vivo, che amplifica l’atmosfera evocativa dello spettacolo fra insistenze, stridori e loop sonori, e queste note, pur ammantate di armonia, creano un mindscape complesso e raffinato, che contribuisce a creare un’esperienza di cui rimane a distanza di giorni una certa piacevole e inquietante persistenza retinica.

(ph. Dino Morri)

Di ben diversa fisicità, più libera e ginnico acrobatica, è il successivo Pink Lady della artista tedesca Rosalie Wanka, già vincitrice del Premio Theater Schwere Reiter 2021 di Monaco di Baviera e che ha avuto replica in Italia nel 2022 al Solocoreografico Festival, dove era anche risultato vincitore. Si tratta di una coreografia composta da un dittico che non si limita a essere una pura espressione corporea, ondeggiando come gioco ironico e tagliente tra identità e ruolo sociale. Wanka, attraverso un linguaggio fisico che mescola elementi di danza contemporanea e improvvisazione, vuole portare in scena l’interazione tra l’avatar sociale che ciascuno di noi rappresenta e ciò che si cela dietro questa facciata. L’assolo, nelle due parti in cui è nettamente diviso, dà compiutamente corpo all’intenzione dell’artista che ha dichiarato di aver sempre voluto fare un assolo vestita come una dama del tango, unendoli all’eleganza dei movimenti contemporanei a terra, e quindi effettivamente il gesto oscilla tra la sensualità del tango e la concretezza di un lavoro a terra contemporaneo semi-acrobatico.
Il gesto è pop, a tratti hip-hop, ma si risolve anche in un languido tango, in cui l’artista offre la sua intima corporeità allo sguardo del pubblico. Fra spaccate, breaking e waves che si armonizzano con un gesto quasi da danza urbana, dopo un buio che porta la donna quasi in un camerino a liberarsi delle costrizioni dei vestiti, si arriva a una seconda parte più sensuale, quasi erotica, dove il seno nudo della donna si offre a un vouyeuristico e seducente atto danzato.

I due pezzi hanno codice stilistico diverso ed è proprio la loro giustapposizione l’elemento forse più critico, per la difficoltà di trovare un nesso concettuale organico fra due piccoli assoli con caratteristiche espressive così differenti, pur legati dalla prestanza atletica della artista, il cui gesto rimane sempre spinto a cercare un’intima fatica, uno spasmo capace di sfiancare, un’energia capace di accumularsi e di consumarsi. È comunque proprio la preponderanza di questa energia che sopravanza nello sguardo degli spettatori il tema dell’armonia delle parti, così tanto da permettere al lavoro, a fine Festival, di vincere il Premio Voci dell’Anima, assegnato il 30 settembre con la seguente motivazione: «Un fiore che si presenta monocromatico, ma che sul palco fa volare petali colorati: un lavoro nel cuore, per il cuore, dal cuore, che si compie in un’attenzione certosina al dettaglio, al corpo, al gesto, alle figure, al messaggio. Ma soprattutto all’anima».

Concludiamo con l’ultima proposta della serata, Sale Q.B., un viaggio intimo e delicato, interpretato da Martina Monaco su un’idea di Eva Raguzzoni. L’azione scenica si svolge in un ambiente domestico, a cucina, dove una donna prepara un tiramisù. Sebbene l’allestimento scenico sia qui ridotto all’essenziale rispetto alla dotazione ordinaria, che consiste in un interno domestico molto ricco di dettagli, quanto vede lo spettatore qui a Rimini a noi pare più che sufficiente a definire lo spazio emotivo. A sinistra in fondo un frigorifero, a destra, sempre in fondo, un tavolo di legno di quelli quasi da giardino, al centro, più in avanti, un tavolo da cucina riempito oltremodo di oggetti ed elettrodomestici per la cucina. In fondo, a parete, un orologio, illuminato con un preciso puntatore.
Il tavolaccio a destra da cui inizia l’azione scenica vede il completamento faticoso di una vestizione, con la donna che mette le scarpe in una posizione innaturale, e pare fare una masochistica ginnastica più che un saluto al sole. Una volta vestitasi elegante (per uscire? no, per preparare un tiramisù) l’azione si sposta al centro della scena in un crescendo emotivo che trasforma l’atto di cucinare in una riflessione esistenziale. Le azioni sono quelle della preparazione del famoso dolce, ma pian piano fra spasmi, micro deliri posizionali, esaltazioni gestuali della disperata solitudine, gli “ingredienti” dell’impasto coreografico diventano metafora di qualcosa di più complesso.
Mentre la protagonista esegue dal vivo, fra macchinetta del caffè, frusta, uova, farina, i vari passaggi della ricetta – e qui qualcosa si può compattare per dare priorità alla continuità dell’atto coreutico sul montare degli albumi – si innesca un flusso di coscienza da “desperate housewife” che rivela pensieri ed emozioni inespresse e a tratti incoerenti, che culminano nell’azione finale, che la vede cospargersi di cacao in un tutt’uno con il dolce (in cromatico pendant con i toni del bellissimo vestito dalla fantasia damascata, preziosa combinazione armonica di cui si deve il riconoscimento al lavoro sartoriale di Natalia Korolkova).

disegno eseguito dal vivo da Renzo Francabandera
disegno eseguito dal vivo da Renzo Francabandera

La cucina, luogo di sicurezza e comfort, si trasforma in uno spazio di introspezione, dove l’ordine quotidiano cede il passo al caos interiore. La forza dello spettacolo risiede proprio in questo contrasto tra la precisione dei gesti e la crescente disorganizzazione dei pensieri, fino a culminare in un finale in cui la protagonista è lasciata sola, in balia delle sue emozioni, a soffiare su questo tiramisù diventato torta di un triste e solitario non-compleanno, ma l’empatia travolge il pubblico presente in teatro che, mentre le luci calano su questa epifania di rara solitudine, inizia a cantarle in coro “Tanti auguri”.
Sale Q.B. colpisce per la sua delicatezza, ma anche per la sua capacità di guardare dentro la solitudine e il senso di vuoto con una poetica sottile e toccante. Ha colpito così tanto da ricevere ex aequo con a La luna e i falò -Time never dies di INTI/Luigi D’Elia il Premio della Critica con la seguente motivazione: «Originale, e a tratti piacevolmente anomalo, lo spettacolo si compie in ogni dettaglio: le luci, il movimento e il gesto (che non sono la stessa cosa) cuciono e cuociono una ricetta scenica che fa bene agli occhi, al cuore e al teatro stesso» e anche il Premio Confine Corpo:«Una manciata di ingredienti apparentemente semplici sono il pre-testo che apre la porta dell’intimità: intimità di spazi, di movimenti sempre controllati, di voragini che si aprono su una solitudine profondamente attuale, fatta anche di momenti inconsapevolmente comici».

Una serata di emozioni, riflessioni e arte, in cui la danza è stata utilizzata come mezzo per esplorare le profondità dell’umano, sia nelle sue manifestazioni più quotidiane che in quelle più spirituali e trascendenti. Tre visioni differenti, ma complementari, e tutte al femminile: dall’ironia più algida e fisica di Pink Lady, all’introspezione esistenziale di Sale Q.B., fino alla profondità mistica di Splendore. Voci dell’Anima si conferma così un appuntamento capace di giustapporre linguaggi artistici che invitano il pubblico a riflettere, emozionarsi e, soprattutto, a lasciarsi sorprendere.

SPLENDORE

di e con Kea Tonetti
musica dal vivo Tivitavi
produzione Spazio Continuum

PINK LADY

concept e interpretazione Rosalie Wanka
musica Don Alfredo Gobbi/Eduardo Rovira BangBang/Nancy Sinatra
costumi Fabian Kipp
fotografia Mehmet Vanli

SALE Q.B.

con Martina Monaco
da un’idea di Eva Raguzzoni
costumi Natalia Korolkova
luci Antonio Santangelo

Teatro degli Atti, Rimini | 26 settembre 2024