RENZO FRANCABANDERA | Il Milano Off Fringe Festival si è affermato negli ultimi anni come uno degli eventi teatrali più partecipati e innovativi del capoluogo lombardo sia per il suo radicamento nei quartieri sia per i vivaci incontri con le reti di partner nazionali e internazionali, rispecchiando la pluralità e la diversità creativa che caratterizza il movimento fringe a livello globale. In linea con la tradizione di festival analoghi in città come Edimburgo, il Milano Off è partner dei maggiori Fringe e, anche attraverso la presenza dei direttori dei festival partner, offre uno spazio privilegiato per compagnie indipendenti e artisti emergenti che operano più ai margini della scena teatrale istituzionalizzata. L’evento nasce dall’intuizione di Renato Lombardo e Francesca Romana Vitale con l’intento di promuovere un’offerta culturale alternativa e accessibile, e rappresenta un laboratorio artistico dinamico, una piattaforma di lancio per nuove produzioni, attraversando generi e linguaggi scenici differenti, dalla prosa alla sperimentazione visiva, dalla musica alla danza contemporanea.
Il fringe milanese, dunque, non solo si rivolge a un pubblico variegato e curioso, ma contribuisce anche alla rigenerazione del tessuto culturale urbano estendendo le sue proposte a un numero ampio di sedi, disseminate su tutto il territorio cittadino.
Continuiamo il racconto degli spettacoli del weekend del 27-29 settembre attraversando alcune proposte dall’approccio stilistico variegato. Al teatro canzone si richiama Il profeta scorretto – Giorgio Gaber, ospitato nel teatro della Società Umanitaria, una storica istituzione di promozione socio-culturale situata in una bellissima e antica sede di fronte al Tribunale.
In questo omaggio, il celebre cantore delle manie e delle decadenze della borghesia urbana non è solo protagonista storico del teatro-canzone italiano ma anche una voce che continua a essere contemporanea, critica e illuminante sul piano sociale e politico. Lo spettacolo ne esplora l’attualità del pensiero, derivandone l’impostazione da quel famoso Storie del Signor G. registrazione della Rai del celebre one man show dalla durata fiume (quasi quattro ore) in cui Gaber, accompagnato da una band, portava in scena molti dei suoi brani e monologhi. I testi di Riccardo Leonelli partono e si ispirano al sarcasmo del maestro, e lui stesso, insieme a Emanuele Cordeschi, se ne fa interprete. In scena non c’è la grande orchestra che accompagnò il Signor G in quel memorabile evento, ma un duo chitarra e fisarmonica composto da Lorenzo D’Amario ed Emanuele Grigioni.
Attraverso un approccio che cerca di coniugare ironia e disillusione sulla società, ricordandoci come le sue canzoni e i suoi monologhi siano ancora oggi strumento di riflessione profonda sulla condizione umana e sociale, lo spettacolo utilizza il repertorio gaberiano non solo come nostalgia ma come lente critica attraverso cui guardare il presente, oltre che come ispirazione per i monologhi; in questo caso sono spesso – proprio come ne Le Storie del Signor G – bipartiti fra due voci in contrapposizione, affidate ai due interpreti, volutamente vestiti l’uno di bianco e l’altro di nero.
La declinazione scenica è leggera ma carica di quella potenza dissacrante che caratterizzava le esibizioni originali di Gaber, il supporto musicale è appropriato ed efficace, con le partiture che prediligono il rimando melodico all’originale. E questo dà lo spunto a una riflessione più generale su questo spettacolo che comunque funziona e fa il pieno di spettatori a ogni replica, specialmente fra i nostalgici del maestro, ma non solo. La nota, dicevamo, è proprio nel tentativo – sia vocale che mimico – di riproporre, in imitazione, la figura del maestro, presente anche in scena con una foto ben visibile, posta dinnanzi alla stazione che occupa il centro del palco dei musicisti.
Ma proprio come diceva Gaber in una canzone che viene riproposta, occorre essere liberi non solo di ma anche da… Se tutti gli allestimenti eduardiani, ad esempio, continuassero a proporre la mimica e l’inflessione del Maestro il linguaggio non evolverebbe. E quindi ci sentiamo di incoraggiare gli artefici di questo piacevole e generoso recital, che dura un’ora e mezza e coinvolge il pubblico, ad allontanarsi progressivamente dalla parte mimica (peraltro ben riuscita) per emanciparsi dallo stampino originario, e fare un passo avanti nel linguaggio della sperimentazione. Poi, certo, magari è quello che vorrebbe vedere il pubblico, far rivivere Gaber, ma il teatro ha proprio questo di peculiare: avere a che fare con ciò che è vivo, quando è vivo. E di modificarne la memoria per attualizzarla, quando vivo non è più. Ad ogni modo, mi sono divertito.
Altro spettacolo di teatro-canzone, proposto negli spazi di Imbonati11 è Cosmocomico, di e con Marco Ligi, che esplora il rapporto tra l’uomo e l’universo del vissuto in una chiave del tutto personale e con un accento sul tema del fallimento. In questo spettacolo, un leggero codice comico diventa una via per investigare l’esistenza, lanciando provocazioni sulle dimensioni dell’insuccesso (sentimentale, professionale, esistenziale) e della quotidianità.
Il termine “cosmocomico” richiama inevitabilmente l’opera di Italo Calvino, ma Ligi va oltre, utilizzando una comicità leggera e delicata non solo come meccanismo di evasione ma anche come strumento per disarmare lo spettatore e invitarlo a una riflessione più profonda. Lo spettacolo si articola attraverso un monologo denso di riferimenti filosofici e scientifici, ma con un tono leggero che vuole toccare corde universali con un linguaggio semplice. La pièce si compone di 8 monologhi e 8 canzoni, queste ultime decisamente più ritmate dei primi su cui occorre lavorare, insieme alla parte attoriale e mimica, per dare più nerbo alla rappresentazione.
Chiudiamo con un altro degli spettacoli ospitati nella sede di Imbonati11, ovvero T.O.M. / The Old Man, di e con Edoardo Mirabella.
La pièce, nata nel periodo pandemico, mescola acrobazia e improvvisazione, pratiche di clownerie e mimo, e pare raccontare la storia di un uomo anziano che riflette sulla sua vita, sugli errori commessi e sugli affanni che ancora la contraddistinguono. Diciamo “pare”, perchè come Mirabella stesso dice alla fine di una replica, i suoi spettacoli non hanno una vera e propria trama ma nascono mettendo insieme esercizi e acrobazie in un mélange che cambia temperatura ogni volta.
Mirabella utilizza la sua esperienza di live-performer, di acrobata e artista di strada per esplorare il tempo, la memoria e la solitudine, con una messa in scena che alterna momenti di grande intensità emotiva a scene più lievi e sospese, unendo pezzi nati nella solitudine pandemica. Il protagonista si muove su un palco in cui è presente una quantità di oggetti dalla cifra surreale (grandi barili industriali, enormi camere d’aria per ruote gigantesche e sovrapposte a formare una piccola torre, uno skateboard, bastoni e altro ancora), che l’artista utilizzerà nel modo più svariato e bizzarro, alternando numeri di equilibrismo e giocoleria a rappresentazioni quasi beckettiane dell’umano esistere. E quasi duole, quelle volte che l’equilibrio pende a favore dei primi, perchè il livello poetico che si raggiunge in diversi momenti è così alto, ricco, anche dal punto di vista visivo, che si vorrebbe, da appassionati di teatro, che l’equilibrio restasse sempre in bilico anche sulla resa scenica.
Mirabella in forma ingenua e generosa, delicata e poetica, mette a nudo la fragilità dell’esistenza e l’uso del corpo, che non cede mai all’uso della parola, è calibrato ed evocativo, conferendo allo spettacolo un ritmo che cattura lo spettatore.
Le sequenze, i “numeri” come si direbbe in gergo circense, sono intervallati da tracce blues, in alcune delle quali ci pare di riconoscere Juzzie Smith, evidentemente un codice musicale che piace all’artista. Calda l’accoglienza del pubblico, che sguazza nella surreale di questo arzillo uomo maturo, che mantiene uno spirito infantile vivificante ed energico.
Il Milano Off Fringe Festival conferma così la sua vocazione a essere un crocevia di esperienze diverse, dove artisti di ogni estrazione e stile possono confrontarsi con il pubblico in modo libero e aperto. Le creazioni di cui abbiamo parlato offrono uno spaccato su una molteplicità di linguaggi e modalità espressive che rispecchiano la complessità del nostro tempo, ponendo il teatro al centro di un dialogo attivo e vivace con la realtà.
IL PROFETA SCORRETTO – Giorgio Gaber
testi e regia Riccardo Leonelli
interpreti Riccardo Leonelli, Emanuele Cordeschi, Lorenzo D’Amario, Emanuele Grigioni
luci Marco Giamminonni
musiche Giorgio Gaber
costumi Marinella Pericolini
produzione Povero Willy
COSMOCOMICO
di e con Marco Ligi
T.O.M. / THE OLD MAN
di e con Edoardo Mirabella
regia Edoardo Mirabella
aiuto alla regia e supervisione Elisabetta Cavana, Mauro Buttafava, Gaby Schmutz
luci Mauro Buttafava
regia musiche Edoardo Mirabella
costumi Olivia Grandy
produzione Il teatro viaggiante