ILENA AMBROSIO | Il primo incontro, la scena del balcone, il matrimonio, il mattino dopo, la cripta. Il viaggio d’amore di Romeo e Giulietta di Shakespeare prosegue attraverso queste cinque tappe, o almeno lo fa per Roberto Latini che, nel suo Giulietta e Romeo. Stai leggero nel salto, propone, assieme a Federica Carra, cinque quadri per ri-raccontare la storia senza tempo dei due giovani veronesi e, al contempo per ri-flettere su cosa sia o possa essere il loro amore.
All’entrata in sala (quella del Teatro Civico 14 di Caserta) i due interpreti sono già lì, in scena, ad aspettare: è la storia che già esiste e che aspetta di essere raccontata, ancora. Lui in tuta paillettata anni ’70, parrucca, occhiali da sole, chitarra elettrica: è un altro da sé. Lei in sobrio completo grigio è (forse) proprio lei, per il momento. Nello spazio, incorniciato da un luminoso filo rosso che disegna sul fondale la scritta “Rose”, si distinguono due campi d’azione affidati a Lui e a Lei, ma andando avanti sempre meno rigidi nella loro delimitazione.
Dalla parte di Lei un microfono su asta, una telecamera davanti alla quale spesso indugia e che trasmette le immagini del suo volto su un piccolo schermo posto in fondo; più dietro un vecchio registratore che gira. Da Lui un altro microfono, una moka. Bauli da service qui e lì; e poi il fondale, uno schermo a fondo nero sul quale si stagliano visi di “testimoni dell’amore” nel video realizzato dal Collettivo Treppenwitz: uomini e donne di diverse nazionalità che, per ciascun quadro, raccontano il loro primo incontro, le loro prime incomprensioni, le loro fini.

Quello pensato da Latini è, allora, un vero e proprio dispositivo che gioca tutto sull’interazione tra piani spaziali e interpretativi, linguaggi, componenti visive e acustiche, avvalendosi, a completare il quadro, ancora della drammaturgia musicale di Gianluca Misiti e delle luminescenze realizzate da Max Mugnai: l’una sempre attenta a sonorizzare le temperature emotive della performance, le altre soffuse e poetiche, scintillanti quando si riflettono sulle paillettes dei costumi.
Il livello performativo cui sono affidati i dialoghi shakespeariani – che molto ricorda le altezze raggiunte con Il Cantico dei Cantici – è abitato inizialmente solo da Lui e si alterna a quello espositivo di Lei, fino, però, a intrecciarsi a esso a farsi assorbire e ad assorbirlo: se al principio sono nettamente differenziati, i due interpreti si lasciano poi vincere dall’energia della partitura scenica, scambiandosi i ruoli, le voci, gli abiti, in un’intesa sintonica capace di toccare le corde della tenerezza, dell’erotismo, ma anche dell’ironia. Lui è Romeo, Lei è una lei qualunque; poi, però, diventa Giulietta, mentre Lui si fa un lui qualsiasi che le offre un caffè. Poi, ancora, Lui Giulietta, Lei Romeo…

Attorno a loro, tra di loro, lo scorrere di un tempo indefinito, cadenzato dalla ripetizione: il registratore che gira continuamente, le immagini dei volti che “si ripetono” sugli schermi, quella monetina che sentiamo cadere a ogni cambio di quadro, un gettone nel jukebox della tragedia. Un’idea drammaturgica che si fa scenica, senza alcun didascalismo, ma suggerendo con limpidezza che ciò che abbiamo di fronte è il frutto di un eterno ritorno, che quel Romeo e quella Giulietta si incontrano per la prima volta, si sposano, si separano e poi muoiono, continuamente, da una lontana fine ‘500.
Qual è il senso di farli rivivere?

Ecco allora che al piano della performance si sovrappone quello delle testimonianze video; lo fa naturalmente, senza forzature, rendendo il senza tempo della storia presente e tangibile, dandogli senso. Ovvero: la parola di Shakespeare, sublimata nel corpo e nella voce degli interpreti, si cala poi nella verità dell’animo umano, dei possibili animi umani, femminili o maschili che siano, più duri e cinici, o fragili e romantici, che parlino italiano, inglese, tedesco o francese. L’amore raccontato in Romeo e Giulietta può accoglierli tutti, abbracciarli tutti e comprenderli, così come esso può da tutti essere compreso e abbracciato.
Nell’intelligente partita registica che si gioca tra la realtà – benché mediata – del video, e la finzione – essa viva e fisicamente presente – sta un primo senso di questo lavoro: quello di una ripetizione, certo, ma che possa appartenere davvero al’umanità che la osserva, che possa risvegliare qualcosa che è stato e che spinge, costringe, quasi, a una condizione che è l’unica possibile per l’amore.
«Abbiamo in testa e addosso, con chiarezza, i pensieri, che abbiamo pensato quando avevamo la stessa età, quando avevamo gli stessi pensieri, anche in età diverse – scrive Latini in una toccante nota di regia – Allora può sembrarci vero che Romeo e Giulietta siamo noi, e l’unica tragedia è il tempo che passa e che ci allontana dai ragazzi che siamo stati, quando eravamo uno o l’altra o entrambi, in qualche slancio di vita e di cuore, quando la bellezza dell’amore poteva intercettarci pure nel disincanto, quando ci chiedeva di saltare e l’unica condizione, adesso come allora, è di stare leggeri».
Leggerezza: questo l’altro senso che germina dal primo, perché solo questo è lo stato in cui l’amore può avvenire, ancora, nonostante il ripresentarsi dei dolori, delle incertezze, delle illusioni e disillusioni, delle fini. Leggerezza che Latini e Carra, per primi, abbracciano e porgono con cura, pur stando con convinzione dentro la tragedia shakespeariana e nello spessore del suo senso elevato all’universale.
Cosicché, alla fine, restano entrambi: l’arricchimento di quel senso, di una esperienza non solo culturale, ma profondamente umana e, insieme, la leggerezza di un salto.

GIULIETTA E ROMEO. STAI LEGGERO NEL SALTO

drammaturgia e regia Roberto Latini
con Roberto Latini e Federica Carra
musiche e suono Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
costumi Daria Latini
video Collettivo Treppenwitz da L’amore ist nicht une chose for everybody (loving kills)
una produzione Compagnia Lombardi-Tiezzi
con Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale

Teatro Civico 14, Caserta | 6 ottobre 2024