ESTER FORMATO | Settembre, mese ricco di rassegne teatrali nella città di Milano, ha dato il via anche all‘Off Fringe Festival che, dal 10 settembre al 6 ottobre, ha preso vita in disparati luoghi non convenzionali con un calendario ricco di spettacoli e finalizzato a dare visibilità a piccole compagnie o artisti che popolano il fertile sottobosco della scena off italiana. La grande varietà artistica riguarda anche un altrettanto vasta pluralità di generi che anno dopo anno si estende. Ne raccontiamo un piccolo campione.
Nello spazio Fondazione la Nuova Musica in zona Tricolore sono andati in scena venerdì 27 settembre, La città senza nome della Compagnia Sagapò e Una Roberta a Parigi di e con Roberta Cecchin.
Il primo, scritto e interpretato da Lucas Jaquin da Tos Villalba e Matteo Compagnol, segue la falsariga del genere teatro-canzone e si basa su un’accorata narrazione di un viaggio in solitaria in Argentina ai tempi della dittatura di Jorge Videla. La chitarra e la voce di Compagnol accompagnano la storia con un piccolo repertorio di canzoni (inizia e chiude Una storia sbagliata di Fabrizio de André), mentre Villalba tesse, in prima persona, un diario di viaggio che non conosce tempi morti, ma dà un ritmo incalzante che desta curiosità ed empatia nello spettatore.

La città senza nome

Il racconto si incentra sulla scoperta di un piccolo quanto anonimo villaggio nel quale il protagonista viaggiatore si ritrova suo malgrado, perché non ha altro denaro da dare all’autista. Trovatosi nella piazza del paese al cospetto di una corpulenta proprietaria di un chiosco di bevande, farà presto conoscenza con alcuni abitanti del luogo e con una splendida autoctona della quale s’innamora perdutamente. Benché sia un minuscolo villaggio, gli abitanti tuttavia non saranno esenti dal corso drammatico della Storia, la cui violenza non risparmierà affatto quella parte del mondo così trasformante per il narratore.
La semplicità dello spettacolo mette in primo piano l’atavica prassi del racconto, che si compie perché c’è chi narra e chi ascolta e, come in questo caso, ci restituisce ancora il contatto con l’innato fabbisogno di recepire storie intrise di compassione e umanità, le mete più autentiche di un viaggio, fisico o immaginario che sia; la conoscenza di un mondo altro ci riporta dritto a noi stessi, la gratuità, la benevolenza e la complicità che si trova durante un viaggio lontanissimo ci conduce a un inedito senso di sentirsi a casa.

Di tutt’altro tono è lo spettacolo di Roberta Cecchin che mette in scena un’esilarante stand-up comedy, farcita dei più familiari aspetti topici della vita a Parigi; coerentemente al genere Una Roberta a Parigi, quasi interamente recitato in francese, pone in evidenza, in chiave senza dubbio comica e priva di filtri, le irriducibili abitudini dei parigini e della città, viste dalla prospettiva di un’italiana.
E, dunque, il ritmo della comedy procede abbastanza serrato attraverso battute su luoghi comuni e non, in cui chiunque facilmente può riconoscere le fatiche di una città complicata come Parigi. La vita quotidiana lì, infatti, per quanto simile, in parte, a Milano, resta sempre una sequela di modi di fare troppo dissimili dai nostri e ai quali Roberta, che è da anni a Parigi, si è dovuta abituare.

Una Roberta a Parigi

Lo spettacolo di Cecchin diverte facilmente, adeguatamente in linea con quelli che sono i parametri della stand-up comedy; pur non avendo alcuna pretesa a sdoganare (o a evitare!) i luoghi comuni, materia imprescindibile del genere, appare interessante la scelta di raccontare la prospettiva italica nella lingua francese… un piccolo scacco che forse non ci aspetteremmo!

Cambiamo decisamente tono e genere con lo spettacolo della compagnia toscana Materiali Sonori andato in scena presso la scuola media Carlo Puecher in zona Mac Mahon. Resterò testimone ripercorre la materia narrativa emersa già nel romanzo Il canto di Penelope, scritto dalla canadese Margaret Atwood, in cui viene ripreso il XXII libro dell’Odissea. Si narra, infatti, delle dodici ancelle della regina di Itaca che subirono assai ingiustamente la pena dell’impiccaggione da parte di Telemaco, su ordine di Ulisse. Questi, infatti, rientrato a casa dopo ben vent’anni, fa strage degli usurpatori Proci di cui erano fintamente complici le serve di Penelope. In realtà, era stata proprio la regina a supplicarle di fingersi compiacenti con i suoi pretendenti, cercando così di guadagnare tempo.
La voce di Chiara Cappelli, coadiuvata da un raffinato corredo sonoro di Arlo Bigazzi, restituisce una testimonianza post-mortem di una delle schiave predilette, intervallata da versi omerici nell’aulica traduzione di Ippolito Pindemonte. Il suo monologo s’impianta sulla falsariga della tragedia greca, ricordando nei modi e nella severità dei toni le più note eroine tragiche, trascendendo così i caratteri dell’epos; quest’episodio assai secondario, riposto nei reconditi versi del corposo poema omerico, risuona penoso e ingiusto.
Ulisse non è più colui che svela l’arcano del letto nuziale, segreto condiviso con Penelope, a conferma della sua identità, né l’abile e curioso dantesco avventuriero; l’eroe appare qui incapace di vedere nell’astuzia e nel sacrificio altrui (si narra, infatti, di ancelle violentate dagli stessi Proci, pur di compiacere la regina), una valevole prova di coraggio perché si preservasse il suo regno. Neppure Telemaco, che è un giovane opaco, cresciuto all’ombra della poderosa figura paterna, riesce a decifrare ciò che gli è intorno. Il risultato è una carneficina indistinta in cui assieme alla presunzione di chi vuole un regno non suo, viene giustiziata anche la parte più fragile e vulnerabile dell’innocenza.

Resterò testimone

La compostezza della Cappelli e l’eleganza con le quali sciorina la sua partitura risultano molto efficaci, soprattutto accompagna con attento rigore una rilettura importante del mito, avvalorando l’esigenza di intraprendere percorsi diversi di reinterpretazione della nostra cultura che, talvolta, ci appare così cascante e retorica.

Sempre in scena alle Officine Puecher, il testo di Annibale Ruccello Anna Cappelli, recitato da Anna Maria Troisi, prodotto dalla Compagnia AMA Factory di Torino. Testo scritto in italiano, è la storia di una lavoratrice fuori sede che conduce una vita mediocre. Affrancatasi dalla famiglia, Anna convive faticosamente con una vecchia signora in una piccola provincia ed è impiegata negli uffici comunali. La coltre di mediocrità viene apparentemente spazzata via quando, al lavoro, s’imbatte in Tonino, un benestante ragioniere con un’enorme casa di proprietà e col quale intreccia un legame sentimentale.
Contrariamente a tutte le sue aspettative, si ritroverà a vivere un amore le cui condizioni le saranno imposte dall’uomo e di cui Anna si convince a fatica. Eppure, pur di non perdere questo buon partito, accetterà la sconveniente convivenza, anziché il matrimonio (siamo negli anni ‘60), di rinunciare alla maternità e di sottostare alle ostilità di una vecchia cameriera di Tonino, con il conseguente isolamento sociale e l’allontanamento dalla famiglia d’origine.

Anna Cappelli

Il monologo di Ruccello, come tutte le altre sue opere, è pervaso da quella scrittura magmatica e onirica, condensata qui da tanti piccoli vestiti nuziali che simboleggiano l’inconscio della protagonista, i cui abiti lasciano trapelare una femminilità viva e di cui, però, Anna non è mai padrona. Il suo essere donna, infatti, resta ancorata da una parte alla sua educazione, d’altra parte alla volontà del compagno di cui è succube.
Trosi è ben consapevole che questa comune storia di provinciali si rivela minuto dopo minuto una tragedia; tutto, infatti, tende all’inquietante epilogo in cui, sebbene nella modalità più assurda ed estrema, Anna Cappelli rivendica la sua volontà, reagendo fermamente all’abbandono di Tonino. Finirà, allora, per ucciderlo e mangiarlo, così che saranno uniti per sempre. Per chi conosce la drammaturgia di Ruccello sa che le sue (anti)eroine, sorprese in un complesso limbo fra realtà e immaginazione, sono in grado di maturare le azioni più estreme e più tragiche, imprimendosi come miti antropologici contemporanei che portano alla luce i lati reconditi del nostro inconscio.
Pur essendo un testo ormai entrato nella recente storia del teatro, anche grazie alla magistrale interpretazione di Anna Marchesini, viene riproposto nell’ambito del Milano Off creando la possibilità di far conoscere Riuccello a nuove generazioni e tipologie di spettatori. Forse è scontato ribadirlo, ma proprio in una vetrina come il Fringe, è possibile affacciarsi a nuovi innesti di generi, stili e linguaggi che di in anno in anno cercano di migliorare la qualità dell’offerta che è una proiezione del futuro del nostro spettacolo dal vivo.

 

LA CITTÀ SENZA NOME
di e con Lucas Joaquin da Tos Villalba e Matteo Campagnol
regia, luci, costumi di Lucas Joaquin da Tos Villalba e Matteo Campagnol
produzione Sagapò APS in collaborazione con Pantakin da Venezia

UNA ROBERTA A PARIGI
di e con Roberta Cecchin
regia Christophe Averlan, Stefano Pepemauro
produzione Ag Gustum Explora

RESTERÒ TESTIMONE
di e con Arlo Bigazzi, Chiara Cappelli
regia Arlo Bigazzi
luci Pierfrancesco Bigazzi
musiche Arlo Bigazzi e Cosimo Boni
costumi Chiara Cappelli
produzione Materiali Sonori

ANNA CAPPELLI
di Annibale Ruccello
con e regia Annamaria Troisi
luci Lorenzo Aprà
musiche Giacomo Troianello
costumi Fabiana Tomasi
produzione AMA Factory

Milano Off Fringe Festival, Milano | 27 settembre/5 ottobre 2024