CHIARA AMATO /PAC Lab* | Nel weekend dall’11 al 13 ottobre il Festival di danza contemporanea MilanOltre presenta due lavori molto diversi fra loro: il primo è CrePa della coreografa Sara Sguotti con la scrittrice e performer Arianna Ulian, nella suggestiva cornice dell’Aula Bontadini dell’Università Cattolica di Milano; il secondo è Le sacre de Lila di Ismaël Mouaraki/Destins Croisés all’Elfo Puccini di Milano.

Da uno dei chiostri dell’Università, si sprofonda dieci metri sotto terra nell’antica ghiacciaia del monastero cistercense, e in mezzo alle rovine antiche, le due donne interamente vestite di nero presentano la tematica della crepa già nei costumi (ideati da Eva Di Franco): questi, infatti, sono lacerati, presentano tagli dritti, che richiamano anche le tele di Lucio Fontana.
La performance parte da una relazione costante che le due artiste instaurano con gli spazi che le ospitano, proprio perché rimanda alla condizione effimera dell’essere umano che è obbligato all’adattamento all’ambiente circostante. I loro corpi iniziano a interagire senza toccarsi, scivolando l’uno sull’altro, stando in un perenne equilibrio precario: si intrecciano, mostrando una contrazione costante nelle mani e nei piedi, che sembrano accartocciarsi e restare in tensione, come se camminassero su gusci d’uova, da non crepare, per l’appunto.
L’altro elemento fondamentale della performance è l’ambiente sonoro (Spartaco Cortesi) e i testi di Ulian, che riecheggiano da una cassa: non sono chiari, ma anzi frammentati, accelerati, camuffati da intermittenze, vogliono essere evocativi per il gesto danzato e per lo spettatore, creando l’incanto. Il montaggio delle parole e dei suoni si incontra con i gesti per riportarci al concetto della crepa che rompe materiali ma che apre anche alla possibilità che filtri la luce.

Ph Lorenza Cini

Si alternano a tratti al centro dello spazio scenico con movimenti diversi: la Ulian si arrotola come un serpente, tremolante, intorno alla transenna degli scavi archeologici; mentre Sguotti, in alcuni momenti, sembra un uccello che tende verso l’alto e in altri attraversa in verticale la scena verso il pubblico, come un lottatore di arti marziali con lo sguardo nel vuoto.
Mimano le parole che, balbettate, rimbombano a velocità diverse nello spazio, altamente evocativo anch’esso per il concetto stesso di crepa: tutto riporta alla rottura, al materiale residuale, a un evento traumatico, come lo può essere il tempo con le rovine.
I loro corpi, a turno, si abbandonano alla presa dell’altro mentre ascoltiamo questo flusso di sinonimi – «crepa, frammenti, avanzi, scarti» – per stendersi infine al suolo con lo sguardo in estasi verso un cielo immaginario, come nell’estasi di Santa Teresa del Bernini. Attraversano la platea e spariscono nel vuoto, mano nella mano, lasciando il pubblico in un sentimento di attesa e di spaesamento.
La performance non è mai statica e uguale a sé stessa ma mutevole durante le residenze e i festival, restando in forma evolutiva e laboratoriale. Per la tappa milanese il gruppo di lavoro A Caring Space, la collaborazione con la Prof.ssa Chiara Paolino e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano hanno permesso la realizzazione della rappresentazione in due date.

Ph Sylvie Ann Paré

Per lo spettacolo del coreografo franco-marocchino Mouaraki assistiamo invece a un lavoro corale, di otto danzatori provenienti dal Québec e dal Marocco (Alexandre Wilhelm, Danny Morissette, Etienne Leonard Benoit, Gabriel Jobin, Léo Coupal-Lafleur, Rodrigo Alvarenga-Bonilla, Soufiane Faouzi Mrani, Yassine Khyar), ispirato alle cerimonie mistiche del Marocco. La parola Lila, infatti, in arabo vuol dire notte.
Vincitore del Prix de la danse de Montréal nel 2023 come migliore opera coreografica, Le sacre de Lila celebra il ventesimo anniversario della compagnia Destins Croisés e i suoi venticinque anni di immigrazione, rendendolo un lavoro estremamente personale per Mouaraki. I tre territori, Marocco, Francia e Canada, impregnano il corpo della compagnia, mescolando la danza contemporanea urbana (hip pop e break dance in particolare) ai colori e all’energia delle danze africane.
La scenografia (di Marilene Bastien) ci mostra uno spazio semicircolare, formato da sette sacchi colorati e ognuno di questi fa da seduta ai singoli danzatori, finché entra in scena l’ultimo performer che, con un bastone, traccia una spirale partendo dal centro del palco. A turno spargono sabbia azzurra, svuotando i sacchi e riponendoli. Questo mare azzurro sul quale avviene la performance è evocativo dei mari attraversati dai migranti, e viene accentuato dal disegno luci, sui toni dell’azzurro e dell’arancio, di Rodolphe St-Arneault.
Inizia quindi una cerimonia di purificazione e di trance con musiche e canti  arabi (ideati da Antoine Berthiaume) che accompagnano il gesto danzato: i movimenti sono collettivi, con momenti coreografici che prevedono uno/due artisti al centro con il resto della compagnia in attesa e osservazione. Intensa la complicità e la sicurezza dei danzatori nell’abbandonarsi a prese plastiche gli uni con gli altri, nonostante i loro piedi siano sulla sabbia, come a far riecheggiare il concetto che l’unica cosa che può davvero salvarci nei cambiamenti di spazio, di tempo, di situazioni circostanti favorevoli e sfavorevoli ma sempre precarie, sia l’altro: il corpo, l’abbraccio e la presa dell’altro in un atto di solidarietà e di amore.
Il tratto più evidente del progetto di Mouaraki è però la gioia, l’esaltazione, la vita che prorompe dai corpi degli artisti, dai loro volti: sono totalmente immersi in uno stato di trance che stentiamo a ricordarci che sia una simulazione perché appare realmente come un atto di spiritualità collettiva, di celebrazione e di eccitazione: saltano, ridono, esultano nel canto con le mani e gli sguardi rivolti al cielo, al divino, alla natura, diventando una vera e propria tribù, stringendosi, infine, al centro della scena e dispiegandosi a terra come i petali di un fiore che sboccia.
La bravura tecnica cede il passo alla voglia di far scorrere quella musica nell’anima e arriva fortissima al pubblico, che infatti esplode in applausi fragorosi, fino a una standing ovation.

CREPA

di e con Sara Sguotti e Arianna Ulian
testi Arianna Ulian
ambiente sonoro Spartaco Cortesi
costumi Eva Di Franco
luci e direzione tecnica Mattia Bagnoli
accompagnamento drammaturgico Giovanni Sabelli Fioretti
PR e media relations Giuseppe Esposito
produzione Perypezye Urbane
co-produzione OperaEstateFestival \ CSC centro per la scena contemporanea di Bassano del Grappa, MILANoLTRE Festival
con il supporto di Santarcangelo Festival, IIC Zurigo, Tanzhaus Zurich, Passages Transfestival, IIC Strasburgo, Centro di Rilevante Interesse per la Danza Virgilio Sieni, Théâtre Sévelin 36, Fondazione Armunia
un ringraziamento speciale a Simona Bertozzi per il suo sguardo e a Roberto Casarotto per l’accompagnamento

LE SACRE DE LILA

una creazione di Ismaël Mouaraki
Performers Alexandre Wilhelm, Danny Morissette, Etienne Leonard Benoit, Gabriel Jobin, Léo Coupal-Lafleur, Rodrigo Alvarenga-Bonilla, Soufiane Faouzi Mrani, Yassine Khyar
luci Rodolphe St-Arneault
scenografia e costumi Marilene Bastien
musiche Antoine Berthiaume
con la partecipazione di Association Salamate Gnawa Montreal: Salamate Rachid e i musicisti Ayoub Benmous, Redouane Aguilal, Amine Rais, Oualid Moussa
consulenti artistici e direttori delle prove Genevieve Boulet, Annie Gagnon
booking CAPAS – Dance Label
produzione Destins Croisés
co-produzione Agora de la danse
Con il sostegno della Délégation du Québec à Rome

Università Cattolica di Milano | 11 ottobre 2024
Teatro Elfo Puccini, Milano | 12 ottobre 2024

PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.