GIANNA VALENTI | El Conde de Torrefiel apre il Festival delle Colline Torinesi Ventinove con La luz de un lago, l’ultimo lavoro di Tanya Beyeler e Pablo Gisbert che si apre con un’abbagliante visione bianca su nero al centro della grande scena del Teatro Astra. Ad abitare lo spazio in orizzontale una parete bianca, con alla base un tappeto bianco e, sul soffitto, quattro linee di luci bianche perfettamente parallele al tappeto: una visione di pura luce con una promessa di abitabilità sia filmica che teatrale.
Il cinema come suono e immagine proiettata arriva improvviso ad affermare un codice teatrale che sceglie il corpo dello spettatore come campo sensoriale complesso, abitandolo con azioni che vanno dall’attacco al vuoto della distanza, dalla richiesta di attenzione mentale sino alla sovrabbondanza di impulsi emotivi che attivano immagini, sensazioni, ricordi e spazi contemplativi. Impulsi come suoni, come immagini proiettate di fantasmi che non si dichiarano o, ancora, come parole che sono presenze fisiche e architettoniche, segni capaci di contenere la grandezza di un’esperienza volumetrica e incarnata del reale.

El Conde de Torrefiel, La luz de un lago, Ph Andrea Macchia

La luz de un lago consta di quattro sezioni con altrettante storie che si agganciano una all’altra come esistenze parallele o slittate avanti e indietro nel tempo: quattro linee temporali principali ne contengono altre che riportano o continuano storie già ascoltate e che riappaiono nelle presenze narranti di un film, di un libro o di una rappresentazione teatrale. Filamenti che si intrecciano, nomi e personaggi che ritornano in momenti diversi delle loro vite, come a frammentare una linearità che non si addice più al nostro tempo e alla rappresentazione delle nostre esistenze.

La parola traccia e collega l’intero lavoro, perché “questo è un film — ci dice la voce fuori campo — e i personaggi di questo film sono parole che brillano per un istante e poi tornano nella profondità dell’anonimato.” Alcune parole prendono possesso del nostro corpo senza chiederne il permesso, come quando ci narrano di un rave club nel paesaggio industriale della Manchester di metà anni Novanta e la trance music ti costringe a diventare la grancassa, mentre il tuo corpo sente il “tempo indifferente e titanico che ti penetra dentro.” Altre parole non si impongono, “invocano la complessità del tempo e il desiderio di sparire”, entrando nel tuo spazio vitale e spostandoti in una atemporalità che semplicemente ti abita. Altre, ancora, accompagnate da una colonna sonora straordinaria, attivano sensorialmente il tuo corpo, facendone uno spazio scenico e una presenza performativa che agisce proprie immagini, sensazioni, pensieri, ricordi, desideri.
È questa l’identità della prima storia, della prima parte del lavoro, dove le parole sono proiettate su uno schermo gigantesco in proscenio, una sorta di palcoscenico ribaltato in verticale. Una vicinanza che crea una fusione tra la finzione della scena e la teatralità consapevole e inconsapevole che appartiene ai corpi degli spettatori, una teatralità condivisa, estemporanea e performativa.

El Conde de Torrefiel, La luz de un lago, Ph Andrea Macchia

Le sezioni sono pensate con un certo parallelismo e con un’alternanza: alla prima corrisponde la terza, dove però le parole proiettate in piccolo sopra la scena, come fossero sopratitoli tradizionali, si allontanano dal nostro corpo per distanza fisica, dimensioni, assenza di colori e per una colonna sonora a sostegno della narrazione. In scena, sotto le parole proiettate, uno dei tre performer attende a un’azione quotidiana lenta, regolare, monotona, accompagnata da una una colonna sonora che è rumore distante, attutito, riconoscibile; un’azione che ci distanzia emotivamente dalla parola mentre le parole proiettate, piccole e separate spazialmente dal corpo che agisce, ci chiedono uno sforzo mentale continuativo per essere seguite.
Uno sforzo mentale che rimane attivo anche nella seconda e quarta sezione, dove la scelta di El Conde è di usare i tre performer per alcune azioni semplici e per alcuni macchinosi spostamenti di oggetti scenici, accompagnati da una voce fuori campo regolare, monotona, quasi disincarnata che sceglie di dire semplicemente. Ma è questa poi l’azione scelta? E se così fosse andrebbe aperta una lunga parentesi sull’illusione del dire semplicemente e oggettivamente.

El Conde de Torrefiel, La luz de un lago, Ph Andrea Macchia

Brevi e intensi attacchi sensoriali al nostro corpo di spettatori attraversano anche queste parti del lavoro, attacchi sonori e luminosi, quasi dadaisti, come il cinema che è puro incalzare di frame luminosi uno dentro l’altro che ti colpiscono per velocità di movimento e intensità luminosa e non ti lasciano spazio e tempo per immaginare. Ma anche attacchi sonori di un suono metallico da cui non ti puoi schermare e che attiva sensazioni ed emozioni che l’incalzare della narrazione non ti dà il tempo di visualizzare.
Il film come proiezione di immagini attraversa a tratti l’intero lavoro, ma i riferimenti al reale si dematerializzano, le macchie di colore pixelate che fluiscono sullo schermo non dettano una visione e lasciano spazio ai pensieri e alle immagini nel nostro corpo di spettatori. Quei pixel in movimento, dove il corpo umano perde la solidità della propria forma, ci parlano, come le molteplici linee temporali narrative con cui abbiamo iniziato questo racconto, di frammenti di esistenze che scorrono in uno spazio-tempo che non ha fissità e di una natura umana che trova una propria realtà al di là del solo corpo fisico, rilasciando frammenti di esistenza intelligenti che sanno spargersi nel tempo. È questo il dono più grande del lavoro di El Conde de Torrefiel: riportarci dentro in un’inseparabilità del tutto. 

 

La luz de un lago
Festival delle Colline Torinesi Ventinove
Produzione FCT/TPE

uno spettacolo di  El Conde de Torrefiel
scenografia  La Cuarta Piel (César Fuertes, Iñigo Barrón García, Ximo Berenguer), Isaac Torres, El Conde de Torrefiel
regia e drammaturgia  Tanya Beyeler, Pablo Gisbert
scenografia La Cuarta Piel (César Fuertes, Iñigo Barrón García, Ximo Berenguer), Isaac Torres, El Conde de Torrefiel
performer  Mireia Donat Melús, Mauro Molina, Isaac Torres
sculture  Mireia Donat Melús
coordinazione e direzione tecnica  Isaac Torres
suono  Rebecca Praga, Uriel Ireland
luci  Manoly Rubio García
video  Carlos Pardo, María Antón Cabot
distribuzione e produzione  Alessandra Simeoni
ufficio amministrativo  Uli Vandenberghe
una produzione  CIELO DRIVE – Alessandra Simeoni
con il supporto di  ICEC – Generalitat de Catalunya, Festival TNT, Terrassa Teatre Principal de Lloret de Mar
coproduzione  Festival GREC – Barcelona, CC Conde Duque – Madrid, Théâtre St. Gervais – Genève, Teatro Municipal de Porto – Rivoli, Festival d’Automne – Paris, Festival delle Colline Torinesi, Teatro Metastasio di Prato, VIERNULVIER – Gent