CHIARA AMATO / Pac Lab* | Factum est non è un monologo sull’aborto: è un monologo sulla vita… Il mio testo non riguarda la legge, bensì l’inevitabilità e la dolcezza del venire al mondo, del diritto di crescere e di essere, della vita, insomma. Indico naturalmente una ferita, dentro cui sta la verità prima da cui discendono tutte le altre. Nel 1981 Giovanni Testori rispondeva così a chi voleva vedere nel suo monologo Factum est un manifesto poetico contro la legalizzazione dell’aborto.
Al Franco Parenti di Milano va in scena questo testo, che l’autore aveva pensato e scritto proprio per un giovane Andrea Soffiantini e che resta uno dei lavori più discussi che il teatro testoriano abbia avuto; un monologo che si colloca a conclusione della seconda trilogia dell’autore (dopo la Trilogia degli Scarrozzanti), quella degli Oratori, insieme a Conversazione con la morte e Interrogatorio a Maria.
Nato con la regia di Emanuele Banterle, altra figura cardine del teatro italiano che nel 1979 fondò con Testori la compagnia del Teatro de Gli Incamminati, il lavoro lasciò, fin dal debutto – il 10 maggio 1981 nella Chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze – non pochi dubbi sull’effettivo messaggio che volesse trasmettere. Rilevante, però, che da allora fu rappresentato da decine di parrocchie sul suolo italiano, a riprova che la lettura “cristianizzata” fu quella predominante.
In questa fase della vita (dal 1977 al 1981) il drammaturgo era stato profondamente colpito da diversi eventi biografici: la morte della madre sopra tutti, poi gli incontri con vari esponenti di Comunione e Liberazione e la conoscenza di don Giussani, fondatore del movimento.
Il testo dunque si poggia su premesse biografiche e di pensiero strettamente connesse alla religione cristiana ma, a ben vedere, assume una sfumatura che ha a che fare non tanto con l’aspetto dottrinale quanto, piuttosto, con una generale condizione umana. E, infatti, nella prefazione all’edizione di Rizzoli della trilogia, Carlo Bo afferma che siamo di fronte ad un atto di memoria cristiana ma nel senso di memoria della disastrosa condizione umana in preda al male, in preda a sé stessa. Memoria dell’irrimediabile. La grave e senza fondo pena per l’uomo come è.
A parlare è un feto, protagonista di un dialogo senza risposta a momenti con la madre, in altri con il padre e infine con Dio. Racconta i suoi stati d’animo nel sentire, dall’utero materno, le voci dall’esterno, le discussioni riguardo alla prosecuzione della gravidanza; esprime la paura che la sua voce sia inconsistente: senza voce, senza peso… puoi schiacciarmi… sarò urlo nella notte. Parla di un padre assente e di una madre accondiscendente che accetta malvolentieri di interrompere la gravidanza, consapevole che non stanno uccidendo solo un altro essere, ma in primis sé stessi perché queste scelte drammaticamente incidono su tutta la vita.
Le parole sono quelle di chi non vedrà mai la luce e si susseguono frammentarie, senza nesso logico, senza una grammatica precisa, così che il discorso diventa oscuro, poco chiaro. Esse forzano quella prigione che il linguaggio può essere con le sue regole e la sua sintassi e si fanno espressione di protagonisti solitari e angosciati, per svelarne il mistero dell’esistenza individuale in quanto meritevole di essere esplorata.
La forma poetica, dunque, non segue uno schema rigoroso ma è evidente che le rime, le assonanze e gli espedienti retorici sono scelti per porre l’accento su un ritmo già pensato per la rappresentazione scenica.
Nel totale buio e nell’assoluto silenzio della Sala La Piccolina, si accendono due luci dall’alto ed illuminano un’asta con microfono annunciando l’ingresso dell’attore vestito in camicia e pantaloni nei. Scarna e vuota era stata pensata la scena anche in origine: priva di scenografia e di costumi per porre l’attenzione sulla parola e sulla profondità delle pause e dei balbettii dell’interprete così che questo breve e intenso monologo si sviluppi in tutta la sua potenza. Allo stesso modo, non ci sono movimenti scenici particolari nello spazio, se non quello in cui, verso la fine, Soffiantini si inginocchia per poi risollevarsi, come se le parole di questo embrione diventassero una preghiera all’ascoltatore e poi un annuncio di pericoli terribili per l’essere umano; pericoli qui identificati come Satana, il male, il peccato.
Le parole che rimandano all’area semantica della fede cristiana non sono poche (Dio, Cristo, agnello, croce, Satana) e ritornano spesso in questo sussurrare. Comprensibile, dunque, che il testo sia stato strumentalizzato e sia diventato un’arma anche nelle mani dei più recenti movimenti pro-life.
Ma con l’interpretazione di Soffiantini si crea in sala un’atmosfera ferma, come se l’aria diventasse pesantissima, come se quel flusso di coscienza infantile scavasse nel personale e intimo di ognuno. Al di là di qualsiasi ideologia si pone una questione umana: sicuramente determinati passaggi (Contro legge / di natura / sarà giusta / a voi ventura / non unirvi) pongono il dubbio e restano ambigui ma il senso generale è che Testori, sottolineando che non c’è nessuna facilità nella scelta di interrompere una gravidanza, ma spesso necessità, non voglia affrontare la tematica specificamente politica della legalizzazione dell’aborto.
Quello che il drammaturgo milanese pone realmente al centro di questo testo è una solitudine, un dolore lacerante, un senso di frustrazione: un urlo muto e potente, qui portato all’estremo nella resa in scena di un tentativo di comunicazione tra un feto e i suoi genitori. È il racconto di una possibilità di vita che resta invece carne scema / senza gesto / senza mente, / Quattro gocce. / D’altro, / niente.
FACTUM EST
di Giovanni Testori
nato con la regia di Emanuele Banterle
con Andrea Soffantini
produzione Teatro Franco Parenti
Teatro Franco Parenti, Milano | 13 ottobre 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.