MATTEO BRIGHENTI | Un sottile spaesamento. Dolce, avvolgente. Non sai più chi sei, da dove vieni o dove vai, ma ti senti leggerǝ. Felice di esserti smarritǝ. Una volta finiti gli incontri, le illuminazioni in prima assoluta delle Beautiful Creatures – Terre di lupi, di lantanidi e ginestre de lacasadiargilla, il Teatro Fabbricone di Prato ti parla come sospeso nel risveglio da un sogno: non c’è un centro, c’è dove si trovano glɜ altrɜ, e dove ti trovi tu. Ogni angolo è una scoperta, per chi si fa trovare in ascolto. Anche oltre la scena, quando comincia qualcosa che non è la vita, ma non è nemmeno teatro. Lo sguardo è l’apertura all’incontro che scegli di attraversare.
L’opera itinerante e immersiva, diretta da Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni, è ispirata al poeta, narratore e affabulatore Giuliano Scabia, artista immenso a cui Andrea Mancini e Massimo Marino, peraltro, hanno dedicato un’importante mostra al Museo di Palazzo Pretorio: Giuliano Scabia: teatro di poesia negli spazi degli scontri. «Non potevamo mettere in scena un testo di Scabia, non potevamo incarnare il suo teatro vagante, ma potevamo evocarlo», scrivono Ferlazzo Natoli e Ferroni nelle note di regia.
Così, lo spunto narrativo (la drammaturgia del testo è di Roberto Scarpetti) è quello di un sedicente esperimento di Collective Sleeping, uno spazio-tempo in cui l’andamento del sogno scorre modificando la percezione in cui sono immersɜ sognatrici e sognatori. Le prime “notizie” risalgono al 2019. Ma è solo nel 2024 che viene identificato il “sito” di uno di questi esperimenti, poi interrotto per l’esaurirsi delle materie prime necessarie a sostenerlo. Persa, inoltre, ogni traccia deɜ partecipanti.
Dunque, chiuso alle nostre spalle il portone scorrevole del Fabbricone, Marta Ciappina (sua la drammaturgia del movimento), in video su due schermi piatti, ci spiega all’ingresso le regole d’ingaggio per vivere l’esperienza ed essere, a nostra volta, Beautiful Creatures: usare i sensi, abbandonarci alla non logicità delle relazioni, assecondando un viaggio che facciamo per conto nostro e che ognunǝ fa per conto suo, tra il non ancora e il non più. Il sito identificato del Collective Sleeping, quindi, è quello dove ci troviamo adesso. È questo teatro.
E teatro è tutto, non solo il palcoscenico, ma anche il foyer, i bagni, la tribuna e il sotto tribuna, i camerini, come mai è stato fatto prima d’ora. La bellissima creatura che ci abbraccia e rappresenta è questo grande edificio di una storica struttura industriale pratese, usato per la prima volta come spazio teatrale nel 1974 da Luca Ronconi per la sua Orestea. 50 anni esatti di storia riattraversati e rilanciati in un denso convegno di tre giorni al Teatro Magnolfi, Laboratori per un nuovo teatro, sempre a cura di Marino.
È il luogo, innanzitutto, che prende vita. È un paesaggio in cui perdersi e poi ritrovarsi, grazie a una mappa data a ciascunǝ di noi. È una “foresta di simboli” come nelle Corrispondenze di Charles Baudelaire, incarnati e agiti da Giacomo Albites Coen, Lorenzo Frediani, Tania Garribba, Anna Mallamaci, Emiliano Masala, Alice Palazzi, Francesco Villano. Animano di dolcezza e perdizione presenze che non sfuggono all’ossessione del tempo. Sono sette. Uno scrittore in crisi, tormentato da profezie e dalle immagini de I Ching; un ballerino amatoriale, marito senza passione e seduttore per noia; una cantante di strada, che si guadagna da vivere come partner nei balli di sala; una donna inquieta, che sogna a occhi aperti di liberarsi del marito; un ex cacciatore di frodo della bassa Renania, arruolato come cecchino in guerra, poi dato per disperso; un giovane di buona famiglia dall’oscuro passato, che è solito passeggiare tra un bosco e i rottami di una città mitteleuropea; Anna, Lucia, Myrta, Marta o Maria, che ama abitare gli spazi perimetrali e aggirarsi nei sogni deglɜ altrɜ.
Si tratta di anime del passato che rivendicano la loro permanenza nel presente, alla stregua delle opere plastiche, in lattice malleabile, di Martina Biolo, calchi di oggetti quotidiani disseminati lungo il percorso, che restituiscono valore ai vissuti comuni. Verosimilmente sono questi i “lantanidi” ricordati nel sottotitolo, ovvero i metalli, chiamati un tempo “terre rare”, essenziali per lo sviluppo delle energie rinnovabili, e qui usati per “rinnovare” il Collective Sleeping.
Allora, quelle sette figure sono tra quantɜ hanno partecipato al famigerato test del 2024. Lɜ vediamo o, meglio, lɜ seguiamo nei loro spostamenti fisici e nei percorsi mentali che tracciano intorno a noi, accompagnati dai suoni, i rumori e gli incanti di un “bosco magico” delle apparizioni (lo spazio scenico e i paesaggi sonori sono di Alessandro Ferroni, lo spazio sonoro è di Pasquale Citera).
Beautiful Creatures, infatti, è una scena percorsa da appuntamenti continui, tra tavoli, botole, scale, poltrone e palchi. Il montaggio è multifocale, procede per folgorazioni cangianti, sotto un cielo che in sala incombe muto al passare di nuvole rapide come pensieri (la drammaturgia delle luci è di Luigi Biondi, gli ambienti visivi e il disegno video sono di Maddalena Parise). Le performance sono tutte diverse per natura e misura che, come si legge ancora nelle note di regia, «raccolgono parole, tracce, immagini, liste, ritornelli e oggetti dall’universo scabiano», seguendo il passo «di una musicalità imbizzarrita», incoraggiando «il rapporto con il creaturale e l’inanimato», raccogliendo «il desiderio di rischio e di gioco, e la spregiudicatezza capace di radiografare i nostri tempi».
Così, mentre cerchi di capire che canzone la cantante di strada stia intonando, che ballo la coppia dɜ ballerinɜ stiano eseguendo o a chi il cacciatore stia dando la caccia, lei, lui, loro sono già passatɜ oltre, ad altro. Le parole, i significati, qui sono uno Scarabeo composto non muovendo le singole tessere, ma l’intero tavolo. Accade tutto insieme e tutte le strade sono ugualmente possibili: sta a te scegliere a chi andare dietro. E cosa leggerci.
Capitiamo, dunque, nel pieno di una cosmogonia, di una creazione in atto, con la Compagnia che si manifesta e si sottrae alla nostra vista in assoluta armonia. Come quando ballano l’Hully Gully su I Watussi di Edoardo Vianello: ciascunǝ trova il proprio tempo nel tempo comune deglɜ altrɜ. Tempo che, a intervalli cadenzati, li richiama all’ordine sul palco.
È l’annuncio di un nuovo giorno che inizia, per poi riattraversare le porte lasciate aperte dal sogno, quando l’orologio ha fatto il suo corso. Ancora una volta. Fino all’ultimo giro, che lascia le Beautiful Creatures nell’immobilità del sonno, e consegna noi alla sorpresa e al precipizio di fare nostri, da svegli, i loro intenti di libertà.
BEAUTIFUL CREATURES
Terre di lupi, di lantanidi e ginestre
un’Opera ispirata a Giuliano Scabia
un progetto de lacasadargilla
regia Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni
drammaturgia del testo Roberto Scarpetti
parole di e con Giacomo Albites Coen, Lorenzo Frediani, Tania Garribba, Anna Mallamaci, Emiliano Masala, Alice Palazzi, Francesco Villano
drammaturgia del movimento Marta Ciappina
drammaturgia delle luci Luigi Biondi
costumi Anna Missaglia
spazio scenico e paesaggi sonori Alessandro Ferroni
ambienti visivi e disegno video Maddalena Parise
spazio sonoro Pasquale Citera
tecnico video e collaborazione al disegno video Luca Brinchi
assistente alla regia e al progetto Matteo Finamore
e con le opere di Martina Biolo
produzione Teatro Metastasio di Prato
in collaborazione con lacasadargilla
con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Prato
e di Publiacqua
Prima Assoluta
Teatro Fabbricone, Prato | 25 ottobre 2024