LEONARDO CHIAVENTI / PAC LAB* | La pioggia batte contro le pareti del Teatro India di Roma, mentre il pubblico comincia a prendere posto. La sala è piccola, poche file di sedie sono rivolte verso due pannelli bianchi che chiudono lo spazio scenico e un cuscino, con sopra una corona, è poggiato davanti alla prima fila. Le luci si abbassano progressivamente fino a spegnersi e i due panelli si aprono lasciando intravedere un corpo in ombra. Così Riccardo III diretto da Luca Ariano ha inizio.
Sarebbe stata una serata perfetta per rimanere dentro un museo fino alla sua chiusura, camminare nelle sue stanze vuote con il solo rumore dei propri passi a interrompere il silenzio, come fece Margherita Buy nel film Le Fate ignoranti di Ferzan Özpetek. Il teatro, però, può trasmettere ugualmente le stesse emozioni che si provano osservando un’opera d’arte, lo sguardo è il senso che più viene messo alla prova in entrambi casi. Lo ha mostrato, infatti, Luca Ariano con la sua scenografia – curata insieme ad Alessandra Solimene – che circonda ogni personaggio in un ambiente bianco e spoglio, formato da vari panelli mobili che delimitano la scena, permettendo così una grande versatilità degli spazi.
Riccardo III è un dramma storico di William Shakespeare composto tra il 1591 e il 1592 che narra la fine della Guerra delle Due Rose, con la sconfitta dell’ultimo re della Casata di York nella battaglia di Bosworth Field. Nell’immaginario comune, è diventato l’archetipo del personaggio corrotto dal potere, che non si pone limiti verso la sua ricerca ossessiva del trono. Pietro Faiella, attore teatrale di lungo corso, ha lavorato particolarmente sulla gestualità per interpretare questa parte, presentando il monarca deforme come un performer che domina completamente la scena.
Tuttavia, è come se questa attenzione verso la corporeità avesse distolto dalle parole che Faiella recita nel corso dello spettacolo. Infatti, tra le scene più forti rimane sicuramente impresso il momento in cui l’attore, dopo essere riuscito a farsi nominare re d’Inghilterra, si avvicina danzando alla corona e, finalmente, la prende e la pone sulla sua testa: è sua. Al contrario, alcuni dialoghi che ha con gli altri attori non convincono, non avendo la stessa forte intensità delle azioni che compie.
Come un quadro di Lucio Fontana, dove i tagli nella tela sono un ponte verso il nulla che abbraccia la vita umana, il quadro che Ariano crea insieme a Solimene è un luogo aperto, in cui il re ha la possibilità di uscire e rientrare dal palco durante il corso dello spettacolo.
Un binomio, quindi, che si può individuare come un elemento importante per la lettura critica è il dentro e il fuori dello spazio scenico. Il fuori trova la sua massima espressione nella corona, simbolo assoluto di potere, e nella scelta di non mostrare mai i volti di Re Edoardo o dei suoi eredi, i Principi della Torre. Vengono presentati, difatti, solamente come voci che provengono dall’ alto, il cui suono bisogna immaginarlo. Il fuori, dunque, si presenta come lo spazio del potere, dove si trova la corona e dove provengono le voci dei re. Il dentro, al contrario, è la scena, la lotta, il cammino per ottenere ciò che più si brama di più.
I costumi, creati dalla stilista di Bastia Umbria Elisa Leclè, ricordano l’estetica della fantascienza di Denis Villeneuve con la sua pellicola Dune. La semplicità delle linee e i colori neutri sottolineano l’appartenenza dei personaggi al contesto in cui vivono, il bianco della scenografia richiama gli abiti degli attori per rafforzare il legame che intercorre tra la scenografia come cornice e gli attori come figure del quadro.
Liliana Massari, l’attrice che interpreta l’anziana Duchessa di York, ha restituito un’interpretazione della madre del re in grado di mostrare la complessità emotiva della sua parte, nonostante la riduzione del suo ruolo all’interno della rappresentazione. Infatti, insieme all’Amleto, il dramma sulla fine della Guerra delle Due Rose è una delle opere più lunghe di Shakespeare. Ciò, però, non si avverte nella trasposizione di Luca Ariano, le modifiche sul testo hanno reso la sua realizzazione più vicina alla sensibilità contemporanea del pubblico. Si può notare anche nella scelta di utilizzare come musica delle canzoni moderne, come nel finale del dramma con My Way di Frank Sinatra.
Il regista, perciò, ha portato in scena una rivisitazione dell’opera del noto drammaturgo inglese che riesce a incantare lo spettatore, nonostante alcune imperfezioni, e che arriva a trasmettere la tragedia che vive il suo protagonista, in eterna lotta tra il desiderio del potere e la realtà che lo vede sconfitto, tra la gloria e la morte.
Lo spettacolo giunge alla fine. Riccardo ha perso la Battaglia di Bosworth Field. Enrico Tudor, invece, ha vinto e così, da quel giorno, darà inizio alla sua dinastia, che regalerà alla storia dell’Inghilterra grandi sovrani come Elisabetta I.
Prima di morire trafitto dalle spade nemiche, l’ultimo re della rosa bianca viene circondato dai fantasmi delle persone che ha tradito e assassinato per ottenere il trono: suo fratello, sua moglie, suo cugino e molti altri. Riccardo per terra, distrutto dalla consapevolezza di aver perso tutto, cerca di proteggere la sua corona. I panelli si chiudono. Lo spettacolo termina. E il quadro nella stanza ritorna a celarsi.
RICCARDO III
di William Shakespeare
progetto di Luca Ariano e Pietro Faiella
regia Luca Ariano
con Pietro Faiella, Roberto Baldassari, Gilda Deianira Ciao, Romina Delmonte, Luca Di Capua, Lucia Fiocco, Mirko Lorusso, Liliana Massari, Alessandro Moser
Teatro India, Roma | 23 ottobre 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.