RENZO FRANCABANDERA | Già all’apertura del sipario, si capisce che qualcosa della magnificenza scenografica ha a che fare più con la lirica che con lo “spazio vuoto” teatrale alla Brook. Qualche giorno fa, parlando con uno scenografo, gli chiedevo infatti quale fosse nel suo sentire la principale differenza fra le scenografie teatrali e quelle liriche. E sorprendentemente la risposta è stata che è proprio la geografia dello stare quello che distingue. Gli interpreti lirici di solito si muovono meno, hanno una performatività più limitata. E dunque la scenografia deve inventare luoghi e spazi in cui possano stare, nascondersi, da cui venir fuori. Insomma, nella lirica è la scenografia a sopperire al minor movimento degli interpreti.
Eccone spiegata la tradizionale imponenza. E imponente, addirittura a due piani, è quella che si rivela davanti agli occhi appena si apre il sipario del Teatro delle Muse ad Ancona, che con il Don Giovanni di Arturo Cirillo inaugura la stagione. A fare gli onori di casa, poco prima dell’inizio, è Giuseppe Dipasquale, il nuovo direttore artistico di Marche Teatro, che ha preso la parola per salutare il pubblico e raccogliere il testimone di Velia Papa, cui si deve, comunque, la firma di questa stagione.
L’eredità preziosa si sostanzia, fra le altre cose, del profondo legame intessuto con artisti come Cirillo, che Marche Teatro ha prodotto per diversi anni e che, per quest’ultimo lavoro, porta in scena una versione del Don Giovanni che unisce Molière e Lorenzo Da Ponte, per dare vita a una versione dell’opera che vuole riportare al teatro il testo del libretto operistico. L’interpretazione, che mescola prosa e versi con le liriche di Da Ponte liberate dalla formalità del canto, ambisce a muoversi tra eleganza poetica e vivacità teatrale.
Si diceva dell’imponente scenografia, firmata da Dario Gessati, che divide il piano base da un sopraelevato che ricorda il giardino di una villa, collegata al piano terra da una imponente scala che si bipartisce, aprendo scomparti e passaggi segreti, terreno di azione ideale del personaggio che, con sotterfugi e furbizie, alimenta in modo instancabile il catalogo delle conquiste femminili, di ogni parte del mondo. Inutili i tentativi del suo servo e di sua moglie Elvira di ricondurlo a una condotta morale. Ma l’eloquio e l’intelligenza del libertino, che spiazza la morale sociale e ne vuole smascherare, per certi versi, le ipocrisie, ha la meglio sugli umani e pretende di sfidare anche il destino e la morte.
Il mito di Don Giovanni, il leggendario seduttore di Siviglia, ha infatti ispirato innumerevoli versioni e interpretazioni nel corso dei secoli, con due delle più celebri rappresentazioni proprio nel teatro di Molière e nell’opera di Da Ponte, il cui libretto è stato poi musicato da Wolfgang Amadeus Mozart. Entrambe le opere non solo mettono in scena la figura del seduttore, ma approfondiscono anche il senso di trasgressione, il conflitto con le norme sociali e la ricerca di libertà che lo caratterizzano.
La commedia di Molière, intitolata Dom Juan ou le Festin de Pierre, rappresentò un punto di svolta nell’interpretazione di Don Giovanni. Scritta nel 1665, l’opera metteva in scena un protagonista cinico, irriverente e impenitente, che sfidava non solo le convenzioni sociali, ma anche i precetti religiosi. Il Don Giovanni di Molière non è solo un libertino; è anche un ribelle filosofico, che si fa beffe dei valori morali e della fede in Dio, incarnando una forma di razionalismo estremo, scardinando l’idea tradizionale del peccatore redento, e offrendo, invece, un personaggio che, anche di fronte al castigo finale, rifiuta di pentirsi.
Qui emerge quasi come vero e proprio antagonista non l’universo sociale di cui Don Giovanni si fa beffe, ma il servo Sganarello, che rappresenta la voce del popolo e della morale comune, e che tenta più volte di riportare il suo padrone sulla “retta via”, ma senza successo. Una lettura che Cirillo in fondo abbraccia, sviluppando il personaggio in modo tridimensionale, e affidandone l’interpretazione a un valente Giacomo Vigentini, che lo porta con intelligenza fra ironia e dramma.
Il Don Giovanni di Da Ponte musicato da Mozart venne rappresentato per la prima volta nel 1787 e costituisce uno dei capolavori della musica e del teatro. Il libretto di Da Ponte, basato in parte sull’opera di Molière, arricchisce il mito con una complessità psicologica che va oltre la pura raffigurazione del libertino. Da Ponte, infatti, dipinge un Don Giovanni che sembra fuggire da sé stesso e dal vuoto della propria esistenza. L’opera si apre con il primo assassinio del Commendatore, differenziandosi, così, da molte altre versioni, nelle quali l’uccisione è solo accennata. Questo omicidio segna da subito Don Giovanni come un “eroe maledetto”, che trascina con sé una serie di personaggi e sentimenti contrastanti.
Da Ponte e Mozart introducono una profondità musicale e drammatica che permette allo spettatore di cogliere le molte sfumature del protagonista, affascinante, ma anche manipolatorio e crudele. Che ne è in questo allestimento della musica? Non scompare, ma compare qua e là a fare da contrappunto sonoro ad alcune celebri arie, come quella del Madamina, il catalogo è questo accompagnando il percorso del personaggio, e facendo risuonare in una versione registrata e semplificata, colta, ma anche popolare, la partitura mozartiana. A suonare un ensamble di pochi elementi, ma ben assortiti e ispirati.
Cirillo si muove con la sua versione fra il libertino filosofico di Molière, che si ribella consapevolmente ai dogmi religiosi e sociali, e il Don Giovanni di Da Ponte, più enigmatico e trascinato da una forza oscura che lo spinge oltre i limiti umani e a cui vogliono accennare, soprattutto nella seconda parte, le luci di Paolo Manti: spaziano da ambientazioni oscure e spettrali, fino alle accese fiamme infernali del finale, che abbagliano la vicenda e gli spettatori con l’incombere dell’inesorabile destino di ogni umano.
Si diceva della centralità della figura del servo come contraltare: sia Sganarello sia Leporello svolgono la funzione di rappresentare la morale comune e di essere la coscienza mancata del protagonista. Sganarello, nel teatro di Molière, cerca di convincere il padrone a pentirsi, ma alla fine è costretto ad assistere impotente alla sua rovina. Leporello, nell’opera di Da Ponte, oscilla tra la paura e l’ammirazione verso il suo padrone, esprimendo la contraddizione di chi è attratto e, allo stesso tempo, respinto dalla trasgressione.
Nell’allestimento di Cirillo la fusione dei testi di Molière e Da Ponte, con l’aggiunta della musica di Mozart, alterna il tragico e il comico. Cirillo stesso interpreta Don Giovanni, esplorando non solo il mito letterario, ma compiendo un viaggio tra linguaggi diversi, mantenendo il tono beffardo di Molière e la poesia di Da Ponte, accompagnati dalla musica di Mozart, che sottolinea sia la leggerezza che il destino ineluttabile del personaggio e restituendo queste parole al teatro.
L’operazione, a ben vedere, fa da contraltare a quella recente, e ugualmente ispirata dalla musica, che era stata realizzata con il precedente Cyrano. Lì l’amore devoto e spirituale, qui quello libertino e carnale. Eppure entrambi i personaggi sono protagonisti di una titanica lotta con il destino: ma se in Cyrano l’amore vince sulla morte, qui l’ineluttabile destino dell’individuo assoggetta l’umano che tenta di ribellarsi. In un caso la prosa cerca di raccontare il poetico, il divino sentimento, nell’altro la poesia vuole raccontare la dannazione del quotidiano e del destino umano.
Cirillo affronta in modo intrigante l’archetipo che continua a suscitare interesse per la sua ambiguità morale e per la rappresentazione di un desiderio di libertà che non conosce limiti. Il personaggio, con la sua incapacità di pentimento e la sua sfida costante al divino e alla società, rimane un simbolo della tensione tra la ricerca di piacere e il bisogno di ordine morale. Don Giovanni è un eroe, un antieroe o semplicemente una vittima delle proprie passioni? Questa ambiguità rende il mito del seduttore un tema eterno, in grado di adattarsi ai valori e alle domande di ogni epoca.
DON GIOVANNI
da Molière, Da Ponte, Mozart
adattamento e regia di Arturo Cirillo
personaggi e interpreti
Don Giovanni Arturo Cirillo
Sganarello Giacomo Vigentini
Donna Elvira Giulia Trippetta
Donna Anna Irene Ciani
Don Ottavio Francesco Petruzzelli
Don Luigi Rosario Giglio
Masetto Francesco Petruzzelli
Zerlina Irene Ciani
Un povero Francesco Petruzzelli
Commendatore Rosario Giglio
Signor Quaresima Rosario Giglio
Ragotino (lacchè di Don Giovanni) Francesco Petruzzelli
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Paolo Manti
musiche Mario Autore
assistente alla regia Mario Scandale
regista assistente Roberto Capasso
assistente scenografo Stefano Pes
costumista collaboratrice Anna Missaglia
musiche registrate Orchestra Topica: Davide d’Aló clarinetto, Roberto Dogustan chitarra sette corde, Gibbone pandeiro, Francesca Diletta Iavarone flauto traverso, Davide Maria Viola violoncello, Joe Zerbib trombone
foto di scena Tommaso Le Pera
direttore di scena Paolo Manti
capo macchinista Andrea Zenoni
datore luci Giammatteo Di Carlo
fonico Giovanni Grasso
sarta Michela Ruggieri
amministratrice di compagnia Serena Martarelli
produzione esecutiva di MARCHE TEATRO:
direttore di produzione Marta Morico
direttore tecnico dell’allestimento Roberto Bivona
produzione, distribuzione Alessandro Gaggiotti
organizzazione Emanuele Belfiore
coordinamento Sartoria Teatro delle Muse Stefania Cempini
direttore amministrativo Monia Miecchi
responsabile amministrativo produzioni Katya Badaloni
contabilità Laura Fabbietti
responsabile ufficio personale Claudia Meloncelli
capo ufficio stampa / coordinamento area comunicazione Beatrice Giongo
promozione Benedetta Morico
comunicazione e grafica Fabio Leone, Lara Virgulti
produzione
MARCHE TEATRO, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
Teatro delle Muse, Ancona | 31 ottobre 2024