CHIARA AMATO / Pac Lab* | «Qual è il tuo posto nel Gran Trojajo?». È una domanda che Altri Libertini, l’ultimo lavoro di Licia Lanera, rivolge a tutti i “vitelloni” di ieri, di oggi e, perché no, anche di domani. Una riflessione sul nostro ruolo in un mondo che cambia, ma che in fondo resta lo stesso. Ma la domanda è posta ed è rilanciata, in primis, alla sua generazione, ai coetanei, ai nati negli anni ’80, quando la casa editrice Feltrinelli pubblicava l’omonima raccolta di racconti di Pier Vittorio Tondelli, scrittore decisamente fuori le righe, che prematuramente morì di AIDS all’età di trentasei anni.
L’opera, rivoluzionaria e spudorata, all’epoca fu inizialmente sequestrata per oscenità, ma riscosse subito un enorme successo di pubblico. Il testo è incentrato su una certa Italia, tanto che il giovane e dannato scrittore lo definì un romanzo a sei episodi (PostoristoroMimi e istrioni, ViaggioSenso contrarioAltri libertini e, infine, Autobahn). La pluripremiata regista e attrice seleziona tre di questi brevi sguardi: Viaggio, Altri Libertini e Autobahn.
Ma il racconto che ci propone in scena si complica, perché intreccia quelle storie, ambientate in quell’Italia fatta di Cossiga Presidente, Toto Cotugno vincitore di Sanremo, e di 260 morti per eroina del 1980, alla nostra Italia, dove di quarantenni che non sanno ancora che posto avere nel gran trojajo della vita ce ne sono eccome. Proprio qui inseriscono, come in un mosaico, pezzi della sua biografia e di quelle dei tre attori in scena con lei (Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva, Roberto Magnani) attraverso brevi accenni alle loro infanzie, mettendoci nomi e cognomi, oltre che la faccia e il corpo.

ph. Manuela Giusto

I tre attori si presentano in mutande, canotta e calzini, per poi vestirsi durante lo spettacolo in abiti borghesi dal gusto un po’ vintage e radical chic, mentre la regista in un tailleur giallo (costumi Angela Tomasicchio) è seduta a uno scrittoio e si pone come uno spettatore.
La scena scarna, oltre allo scrittoio al centro, una cyclette sulla sinistra, una lettiga e un ventilatore sulla destra, una parete di luci (disegno di Martin Palma) sullo sfondo si anima, illuminando in tutte le direzioni a ritmo di musica, come in un concerto, sulle note di Siamo solo noi di Vasco Rossi.
Questo elemento musicale (sound design di Francesco Curci) crea un trait de union tra l’epoca di Tondelli e la generazione della Compagnia Licia Lanera. Generazione cresciuta e immersa in un certo rock e formata con determinate letture, sotto il segno di un capitalismo in espansione e con «la cosa pubblica che viene sostituita dal privato», come ci dice appunto la regista sul palco.
E quella canzone, non a caso, apre e chiude lo spettacolo, accattivandosi il pubblico: all’inizio animando gli artisti che ballano e cantano Vasco, immersi e dannati in un fumo denso di sigarette, e alla fine, posti in fila orizzontale, ci guardano senza speranze e spauriti, su una versione rallentata delle stesse note iniziali, come davanti a un plotone di esecuzione.

Dopo il momento musicale, a turno iniziano a recitare i testi, in quella che potrebbe essere quasi una lettura intima, fatta in un salotto fra amici. I loro corpi interagiscono poco, ma lo fanno in maniera spudorata, violenta, perché le parole di Tondelli sono terribili: senza fronzoli e senza freni ci raccontano quelle vite sospese di disoccupati, drogati, omosessuali, che corrono di notte in macchina, fumando di tutto, bevendo vino scadente, facendo sesso in appartamenti in condivisione, e sì, bucandosi le vene. Quelli che bonariamente poi Fellini inquadrò come Vitelloni, nel suo omonimo capolavoro, perché restano sempre figli, anche quando dovrebbero diventare genitori, se non altro per mero dato anagrafico.

ph. Manuela Giusto

Lo spettacolo ci fa confrontare anche con la periferia, che sta alle città come i sommersi stanno ai salvati, con le sue regole crudeli. E allora in scena il turpiloquio, le bestemmie, i baci assatanati e gli insulti volano dalle bocche degli attori, in questi paesaggi desolati, animati solo dai baretti di provincia. Ognuno di loro si fa portatore di un racconto, dividendo così lo spettacolo in una sequenza di monologhi che si alternano, si incrociano, creando un monologo “a più voci” e una tessitura narrativa complessa, ma scorrevole.
Lanera lascia per sé tre funzioni/ruoli in scena: quello della narratrice esterna che collega le parti; quello della comparsa per dei personaggi secondari; e quello dello spettatore bonario ed empatico, che di fronte alle parole di Tondelli non può far altro che fumare, accogliere con tenerezza queste confessioni e porsi domande sul presente. Accompagna i suoi interpreti e li guida, instradando anche un po’ il pubblico in un’operazione meta-teatrale tra Tondelli e la sua operazione registica.
Ci spiega, infatti, il lavoro svolto sui testi e ci fa intravedere la costruzione collettiva dello spettacolo, mettendosi nella posizione di colei che tiene e tira le fila di tutto. Come ha dichiarato nell’intervista rilasciata su Teatro e Critica, dopo la prima a Romaeuropa, “alla fine Pier Vittorio Tondelli non esiste più se non nei corpi, nella carne, negli sputi degli attori, nelle loro biografie (…) Siamo qui a raccontare le miserie di una generazione che si perpetua sempre uguale da almeno quarant’anni”.

Numerosi gli aspetti interessanti nella trasposizione attoriale: la sensualità di Cupaiuolo (in Autobahn), legato in un rapporto sentimentale con la sua auto, che non abbandona di notte neanche da ubriaco; Giuva, che interpreta un omosessuale innamorato e ferito da un latin lover lombardo (in Altri Libertini), toccando momenti di infinita e disperata tenerezza; fino a Magnani (in Viaggio), che ci mostra quell’aspetto pervasivo e quotidiano dell’eroina, che quasi vogliamo rimuovere dalla memoria collettiva. Di particolare intensità proprio alcuni di questi passaggi sul legame con la dipendenza, emotiva e da eroina, che riportano a noi oggi un problema che oggi vediamo così lontano. Altro momento molto gradito in platea, e accompagnato da fragorosi applausi, è quello dove Giandomenico Cupaiolo elenca determinate categorie umane, alternando la rapidità e volgarità delle parole a movimenti degni di un ottimo ballerino di twist, del quale non si può non ammirare la bravura.
Lo spettacolo è costruito in maniera equilibrata, senza mai risultare pesante nella comprensione, né scollato fra le parti: proprio attraverso la presentazione di questi personaggi scapestrati, che inevitabilmente ingaggiano il pubblico, in sala le risate si alternano ai momenti di silenzio, dove (forse) ognuno ascolta quelle “voci di dentro” che i nostri protagonisti affrontano e zittiscono con «tanto vino e tanta voglia di gridare».

ALTRI LIBERTINI 

di Pier Vittorio Tondelli
adattamento e regia Licia Lanera
con Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva, Licia Lanera, Roberto Magnani
luci Martin Palma
sound design Francesco Curci
costumi Angela Tomasicchio
aiuto regia Nina Martorana
tecnici di compagnia Massimiliano Tane, Laura Bizzoca
produzione Compagnia Licia Lanera
in coproduzione con Teatro delle Albe/Ravenna Teatro
si ringrazia Compagnia La Luna nel Letto

Teatro Studio Melato, Milano | 3 novembre 2024

PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.