OLINDO RAMPIN | Non sappiamo se sia frutto del caso o sia, invece, una voluta dialettica tra due stili e concezioni della danza esemplarmente differenti. È un fatto che lo spettatore del Festival Aperto, organizzato da I Teatri di Reggio Emilia, ha incontrato nello stesso giorno, a distanza di poche ore o di pochi minuti, due grammatiche corporee incommensurabili tra loro. Di più, queste grammatiche agivano dentro due contesti ambientali anch’essi così differenti tra loro da costituire quasi un modello di latitudini espressive antitetiche.
A una latitudine ci si imbatteva nella prima di Una stanza tutta per sé, titolo woolfiano per una breve scrittura coreografica, firmata da Camilla Monga e interpretata da due danzatori, ogni volta diversi, della MM Contemporary Dance Company: due messi “angelici” delle opere di David Tremlett, in mostra con il titolo di Another Step ai Chiostri di San Pietro.
La prima realtà su cui hanno agito Monga e i danzatori non riguarda, però, l’arte di Tremlett, ma gli stessi Chiostri di San Pietro. Il chiostro maggiore, di eccellente fattura, è però latore di un messaggio un po’ enfatico, fuori scala, con quelle statue torve e austere incapsulate nelle nicchie. Invece, ecco che ora nella sera ottobrina che sembra agostana Alice Ruspaggiari e Federico Musumeci, lei corpetto nero trasparente che lascia vedere una figura minuta, lui una mezza tunica nera che lascia scoperte braccia e fianchi, attraversano leggeri ed eleganti i lunghi porticati perimetrali del chiostro illuminati da luci calde e sobrie, e gli conferiscono un’aria romanzesca, misteriosa, ma non magniloquente, sicché nella penombra l’edificio parla stasera un linguaggio aristocratico, ma più amichevole.
I moti dei due performer sono intonati a un’idea non conflittuale del rapporto tra corpo e realtà esterna. Emerge, nell’esiguo spazio delimitato rigidamente dal percorso di visita, un discorso corporeo elaborato ad ampie curve, un disegno di circolare compostezza, con momenti di congiunzione morbida tra i due corpi, mentre in cuffia una composizione rumoristica tesse un complementare tappeto sonoro di voci femminili, inizialmente allusivo, con brevi parole, a un viaggio interiore tra tortuosità di sentieri.
Come sorprende ora, nella guida sinuosa e silente dei due messi danzanti, la bellezza equilibrata, esatta, delle grandi campiture di colore di David Tremlett! I suoi ampi rettangoli parzialmente sovrapposti, con una fondamentale bicromia, sembrano rivelarci un nuovo significato dei colori: del rosso, del giallo, del verde, come se li vedessimo ora per la prima volta.
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All’opposta latitudine il Teatro Valli, quando entriamo per assistere a Chronicles, estratti di Room with a view e The age of content firmati dal collettivo (La)Horde per il Ballet National de Marseille, è già esso, con la sua forma architettonica e l’umanità che lo affolla, un’ipotesi di diversa costruzione linguistica: catino ottocentesco ribollente di voci e volti di spettatori, dove circola la tensione nell’attesa dell’evento, nel vago sentore di una qualche essenza che potrebbe venire dal palco. E, infatti, quando si apre il sipario la scena è tutta immersa in una fitta nebbia, dentro la quale gli interpreti sono riuniti come un branco di animali impauriti, quasi ombre di dannati in attesa del giudizio di Minosse.
Da essi, però, si stacca un ragazzo biondissimo, jeans e t-shirt oversize, che comincia una sua irrefrenabile lotta con l’aria, mulinando le braccia con estrema rapidità e violenza, caricando con rabbia, scalciando un immaginario duellante al confine del proscenio.
È il segnale liberatorio che la turba dei dispersi nella nebbia attendeva, perché adesso inizia una galleria di variazioni a gruppi di due, tre, quattro, all’insegna di una fisicità giovanile e rabbiosa, dove, tra nuovo circo, rave e danza di strada, un’esilissima danzatrice di origine orientale viene tirata, slogata, innalzata, piroettata all’indietro come fosse un avatar di sé stessa da un trio di performer, tra i quali ricade con il suo corpicino intatto e il viso sorridente per nuovi cicli di energici sballottamenti.
A tratti, la turba si riunisce come un popolo di giovani animali, con atteggiamenti di sfida: ecco un pugno chiuso, un dito medio ostentato verso il pubblico. È il linguaggio primordiale della protesta e della ribellione, una anarco-danza che si esprime attraverso un linguaggio corporeo e gestuale che parla di esacerbazione, insoddisfazione, di antagonismo pre-verbale, pre-razionale. La differente origine dei performer, afrodiscendenti, orientali, mediterranei, nordeuropei, è un’immagine seducente della molteplicità del mondo, in cui essi si ritrovano e si perdono, nella vitalità debordante e acrobatica che fa convivere aggressione e dolcezza, amore e ira.
A un certo punto il loro peregrinare randagio e felice tra risse e abbracci si riunisce in un cerchio che da piccolo si fa sempre più grande, con intrecci di gambe che si rifanno alla hora, la danza del matrimonio ebraico. È l’illusione di ritrovare un’armonia del mondo, essendo il cerchio simbolo di perfezione, di eternità, di illimitatezza. È nel divino la salvezza dal caos?
Se il primo estratto fosse una cantica in terzine ci ricorderebbe l’Inferno dantesco, ma un Inferno post-contemporaneo, che ha saputo metabolizzare e disconoscere la propria stessa infelicità. Il secondo estratto, allora, è la terza cantica, è il passaggio diretto e senza transizioni purgatoriali, senza penitenze, oggi del resto improbabili, a un Paradiso millennial, kitsch, pop e queer. Alla nebbia del caos contemporaneo del primo tempo, si contrappone qui un fondale chiaro, un impasto di luci chiare, un racconto in piena luce, in cui i danzatori sono i protagonisti di una metamorfosi antropologica e coreografica. I loro stessi volti e corpi non sembrano più quelli di prima, nel passaggio da una estetica post grunge intenzionalmente antierotica alle gonnelline jeans a pieghe da Saranno famosi, dentro cui vibrano le gambe di una altissima performer, ai corsetti top trasparenti con coppe che femminilizzano i corpi dei due danzatori più potentemente fisicati.
Tutto, ora, parla di allegria, di gioia, del gusto di danzare insieme, di unirsi nella danza, in una forma più armoniosa e più gioiosa della vita. E l’universo stilistico adesso è debitore di stagioni più solidamente codificate della danza, i movimenti si fanno meno spezzati, meno angolosi, pian piano sui visi di tutti si sedimenta un sorriso che non li abbandonerà più, mentre il ricordo del viaggio precedente, nell’inferno della megalopoli distopica, si dissolve nella nebbia che lo avvolgeva, e questo ritorno all’ordine, questa ricomposizione del caos termina con minuti di applausi scroscianti e “bravi” e con più e più richiami di un pubblico completamente conquistato.
UNA STANZA TUTTA PER SÉ
Visita coreografica alla mostra di David Tremlett
concept e coreografia Camilla Monga
danzatori MM Contemporary Dance Company: Filippo Begnozzi, Lorenzo Fiorito, Mario Genovese, Matilde Gherardi, Fabiana Lonardo, Federico Musumeci, Giorgia Raffetto, Alice Ruspaggiari, Nicola Stasi, Giuseppe Villarosa
disegno sonoro Federica Furlani
musiche Clogs, Marta del Grandi, Federica Furlan, Holly Herndone
produzione MM Contemporary Dance Company
in collaborazione con Fondazione Palazzo Magnani
mostra a cura di Marina Dacci
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Chronicles: Excerpts from Room With A View and Age of Content
ROOM WITH A VIEW
Concezione artistica RONE & (LA)HORDE – Marine Brutti, Jonathan Debrouwer, Arthur Harel
Musiche di RONE
Regia e coreografia (LA)HORDE – Marine Brutti, Jonathan Debrouwer, Arthur Harel
Con i danzatori del Ballet national de Marseille
Scenografia Julien Peissel
Disegno luci Eric Wurtz
Costumi Salomé Poloudenny
Commissionato dal Théâtre du Châtelet in accordo con Décibels Production e Infiné
Coproduzione Théâtre du Châtelet, Ballet national de Marseille e Grand Théâtre de Provence.
AGE OF CONTENT
Concept e direzione (LA)HORDE – Marine Brutti, Jonathan Debrouwer, Arthur Harel
coreografia (LA)HORDE in collaborazione con danzatori e danzatrici e gli assistenti del Ballet national de Marseille
Scenografia Julien Peissel
Musica Avia, Gabber Eleganza, Philip Glass
Disegno luci Eric Wurtz
Costumi Salomé Poloudenny
Produzione Ballet national de Marseille
Festival Aperto, Reggio Emilia | 27 ottobre 2024