CRISTINA SQUARTECCHIA l Come può essere la notte di un genio creativo? Quali i tormenti notturni di un uomo che nel corso della sua esistenza ha composto musica di respiro planetario? Di questo ha raccontato il coreografo spagnolo Marcos Morau in Notte Morricone, la sua nuova creazione prodotta per la Fondazione Nazionale della danza Aterballetto, in anteprima questa estate allo Sferisterio di Macerata nell’ambito del Macerata Opera Festival per Civitanova danza e poi al Teatro Argentina in scena dal 24 ottobre al 10 novembre – giorno del compleanno del grande maestro – per il Roma Europa Festival.
Il lavoro di Marcos Morau si presenta come un omaggio, una dedica d’amore al compositore che ha segnato la sua infanzia, come afferma in molte interviste che si possono trovare tra le pagine web della Fondazione Nazionale della danza Aterballetto. Ma oltre al tributo c’è di più: Morau prova a scavare nell’universo sonoro e mentale di un uomo che viveva tra e con le note, in continua risonanza con le immagini, le tonalità e le melodie. Nel farlo progetta una scena-laboratorio, un sorta di sala di registrazione dalle tinte grigie e scure con luci al neon, un pianoforte al centro e tutto intorno fili, microfoni dentro una specie di box smontabile e versatile.
Notte Morricone prende vita dalla platea, con le luci in sala che iniziano a lampeggiare a intermittenza, mentre alcuni danzatori entrano con lampade a luce fredda. Indossano camicie bianche e pantaloni grigi sorretti da bretelle, ricalcando lo stile sobrio del grande Ennio, mentre la scena si riempie di altri danzatori, vestiti tutti come il maestro. Nel definitivo buio, a un lato del palco il maestro Morricone sperimenta suoni, seduto davanti a un mixer mentre entrano le melodie di Mission.
Poco alla volta spuntano altri danzatori, come tante note, in una qualità di movimento poco fluida, in distonia con il lirismo melodico di Morricone, quasi a richiamare il frastuono interiore. Il danzatore che interpreta Ennio viene inondato prima da due, poi da tre, cinque e più danzatori vestiti alla “Ennio”, duplicati, clonati, come tante estensioni figurali di un creativo capace di dialogare contemporaneamente in polifonie sonore. Spostano oggetti, montano e smontano il box centrale, creando una dinamica sulla scena che arriva a scomporre il grande pianoforte.
Il maestro sembra quasi un burattino, come in balìa degli eventi, si lascia traghettare da un punto all’altro, posandosi fugacemente e premendo i tasti del pianoforte, scivolando altrove, in un limbo melodico in via di definizione. Nel mentre, come se la scena fosse una scatola magica da ribaltare a piacimento, i danzatori giocano con il pianoforte girandolo e smontandone i tasti, ne fanno uscire tutte le corde, come fossero fili di una memoria da sciogliere tra ricordi, storie, momenti intimi e celebri della vita del maestro.
Sono questi i passaggi che fanno da servizio alla danza, dai quali prendono forma in maniera corale e strutturata coreografie, disegni definiti che incalzano in un gioco di intrecci circolari a raggiera, che si sfilano dal cuore pulsante del pianoforte.
Come tutti i nostri ricordi che affiorano spesso in modi non uniformi nella nostra mente, così anche i brani delle celebri colonne sonore tornano per frammenti, intermittenze, interruzioni, sovrapposizioni con altri suoni, creando in alcuni momenti un caos sonoro di tonalità e armonie. Una via drammaturgica che il coreografo spagnolo percorre per saturare il palco e far fluire la lunga vita di un genio che ha attraversato e dominato la scena musicale nella seconda metà del Novecento.
Storia individuale e storia collettiva si sovrappongono anche nei ricordi dello spettatore all’arrivo di Abbronzatissima, come un’eco in lontananza che in crescendo si avvicina fino a dominare per qualche minuto per poi sparire di nuovo. Dalla fase giovanile dei memorabili arrangiamenti della canzone italiana, Marcos Morau individua passaggi e soluzioni efficaci nel tenere lo spettatore partecipe e dentro questa narrazione collettiva. Il sussurro iniziale di Se telefonando da parte dei danzatori, prolungato nel suo ritornello nell’attesa di incontrare le voci del pubblico ne è un esempio.
Non c’è mai stasi in scena, né vuoti o indecisioni. La scrittura drammaturgica di questo lavoro è concepita come un ingranaggio in un tempo ben scandito dal ritmo del metronomo, più volte citato e presente in scena, come oggetto simbolo di musicisti e danzatori, ma che ricorda anche quel ticchettio nelle prime sequenze della pellicola di Tonino Valerii Il mio nome è nessuno.
Da una sala proiezioni a una da concerto, lo spazio scenico è debordante di oggetti, leggii, strumenti musicali, agiti e spostati in passaggi danzati che esplodono poi nella coralità de Il buono il brutto e il cattivo, dove i corpi si uniscono in un movimento semplice e fluido sul memorabile urlo del coyote che lega a sua volta gli incastri dei gruppi.
Nessuna incertezza, nessuna nota stonata da parte di tutto l’ensemble dell’Aterballetto che non mostra sbavature nell’interpretare il linguaggio di Morau, così ben interiorizzato e assorbito, abile nel far risuonare anche attraverso certe posture e dinamiche disarticolate l’immaginario sonoro e visivo di ogni essere umano.
Ed è quell’umano che Morau alla fine ci restituisce, la dimensione poetica e sensibile del compositore che culmina in quel grande muro sul quale vengono proiettati i volti dei personaggi celebri dei film, indissolubilmente legati a quelle melodie. Irrompe così quel lirismo sdolcinato e toccante di Nuovo cinema paradiso, che infatti domina con un effetto al contrario: come i tanti baci del film tagliati e poi re-incollati che scorrono nella scena finale del film, qui, nello stesso piano sequenza vengono proiettati sul muro i volti degli attori.
La voce registrata di Ennio ci entra nelle ossa quando sentiamo: “sono stato Noodles, Totò, Olmo, Stravinsky. Ho cercato di comporre la musica dei perdenti e dei vincitori. Ho cercato il suono anche per le cose più terribili. Per la gioia e la disperazione. E infine volevo vedere il suono di un uomo quando nessuno lo guarda”.
Lo vediamo lì, sul boccascena, questo piccolo grande uomo, in forma di pupazzo, mentre il cuore inevitabilmente si allarga per fare posto a un immaginario nuovo che questo spettacolo ci lascia scoprire, uno stato di commozione e confusione insieme che va oltre il ritratto di un genio, un uomo che non ha conosciuto confini di genere, che ha unito il sacro con il profano, l’impegno e il disimpegno della infinta e monumentale musica del mondo.
NOTTE MORRICONE
regia e coreografia Marcos Morau
musica Ennio Morricone
direzione e adattamento musicale a cura di Maurizio Billi
Sound design Alex Röser vatic, Ben Meerwein
Testi Carmina S. Belda
Set e luci Marc Salicrù
Costumi Silvia Delagneau
Assistenti alla coreografia Shay Partush, Marina Rodriguez
Commissione, coproduzione, prima rappresentazione outdoor Macerata Opera Festival
Coproduzione, prima rappresentazione indoor Fondazione Teatro di Roma
Coproduzioni Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Centro Servizi Culturali Santa Chiara Trento, Centro Teatrale Bresciano
Coproduzione Ravenna Festival | Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Teatro Argentina, Roma | Roma Europa Festival | 26 ottobre 2024