GIULIA BONGHI | Anche quest’anno il Festival Donizetti Opera di Bergamo si conferma un punto di riferimento culturale, presentando al pubblico dei componimenti illustri e una qualità artistica non indifferente.
Il destino guida chi lo accetta, trascina chi gli si oppone. Questa parafrasi di Seneca sembra descrivere perfettamente il filo conduttore delle tre opere in programma, che, in modi differenti, esplorano la relazione complessa e mutevole che gli esseri umani intrattengono con il fato.
Nel 1837 Gaetano Donizetti terminava la composizione di Roberto Devereux, mentre Napoli era affetta da un’epidemia di colera e due tragedie personali si abbattevano su di lui: la morte del terzo figlio e quella della moglie Virginia. Forse il suo dolore si è riversato sulla figura della Regina Elisabetta I d’Inghilterra, travolta dall’angoscia della perdita, ferita nell’amore non ricambiato per il Conte d’Essex.
Quest’ultimo episodio del ciclo di opere dedicate alla dinastia Tudor – Il castello di Kenilworth, Anna Bolena e Maria Stuarda – racconta con slancio appassionato di personaggi intrappolati nella rete inesorabile del fato e dei sentimenti. Salvadore Cammarano organizza il libretto sulla tragedia Élisabeth d’Angleterre di Ancelot, ove sullo sfondo di vicende politiche s’intrecciano amori non corrisposti, tradimenti, gelosia e vendetta.
La vera protagonista dell’opera è Elisabetta, che viene costruita musicalmente con grande accuratezza dal compositore. Jessica Pratt, specialista del belcanto, affronta qui una parte drammatica e, con solida tecnica, esegue sfumature e colorature con agilità e finezza, pur mantenendo la tragicità del personaggio. Eroico e assieme struggente, John Osborn interpreta Roberto Devereux con grande maestria belcantistica, vera figura romantica di questo titolo. Raffaella Lupinacci è il mezzosoprano nel ruolo di Sara, controparte appassionata della regina, mentre il baritono Simone Piazzolla è il Duca di Nottingham; il loro duetto è uno dei momenti più drammatici e feroci del teatro donizettiano.
La regia di Stephen Langridge amplifica la sensazione di ineluttabilità e la fragilità dei personaggi attraverso le scenografie austere e stilizzate di Katie Davenport, che firma anche i costumi: l’ambiente cupo isola i protagonisti, osservati dal coro vigile e i pochi arredi dal valore per lo più simbolico – un letto e il trono – spiccano nel rosso vivo color del sangue.
Lungo tutta la vicenda uno scheletro perseguita Elisabetta: la morte è il suo destino e ovunque lei vada, la segue come un’ombra. Non sarà la sua morte, ma quella di colui che ama, da ella stessa condannato. Un mondo elisabettiano di fantasia, caratterizzato da un taglio molto contemporaneo incorniciato dal disegno luci di Peter Mumford.
La composizione, d’ampio respiro sinfonico e dalle melodie intense, è teatralmente incisiva, tragica e cupa. L’interpretazione di Riccardo Frizza, direttore musicale del festival, si distingue per una conduzione dell’Orchestra Donizetti Opera serrata e incalzante, capace di unire un forte impatto drammatico a momenti di profondo lirismo, valorizzando al meglio le performance degli interpreti e del Coro dell’Accademia Teatro alla Scala, preparato da Salvo Sgrò.
Con Zoraida di Granata, il tono cambia: qui il fato non è accettato, ma sfidato. La vicenda è ambientata a Granada nel 1480, all’epoca entità politica islamica. Tuttavia, nel libretto non vi sono riferimenti specifici all’Islam. In questo oriente esotico e immaginifico, cui fa da sfondo una guerra civile in una città assediata anche dall’esterno, si dipana una storia d’amore. L’usurpatore Almuzir cerca di costringere Zoraida a sposarlo per rafforzare la sua posizione, ma questa è innamorata di Abenamet, capo della famiglia aristocratica araba Abencerragi, che ricambia il suo affetto. Almuzir mette in atto diverse macchinazioni per tentare di liberarsi del rivale. Quando infine viene scoperto, il popolo inferocito vorrebbe condannarlo a morte, ma Abenamet lo perdona, spezzando la ruota del destino politico mossa da guerre, persecuzioni, cospirazioni e tradimenti. Nasce così la speranza di un futuro migliore.
L’allestimento è firmato da Bruno Ravella, che si concentra sull’evocazione di un’atmosfera minacciosa, claustrofobica e paranoica. «Mi sono anche ricordato dell’assedio di Sarajevo del 1992-1996» spiega il regista. «Sebbene anche gli assediati di Sarajevo fossero tecnicamente musulmani, la loro situazione, come quella di Granada nel 1480, non aveva a che fare con la religione, ma con grandi forze politiche. Perciò l’ambientazione di Sarajevo, con la sua suggestiva architettura islamica, sembrava rendere questa analogia ancora più appropriata».
La Biblioteca Nazionale e Universitaria della Bosnia ed Erzegovina diventa l’edificio di riferimento per la scenografia di Gary McCann, che firma anche i costumi. Sarà simbolo di resilienza e di ricostruzione. La coerenza estetica e narrativa, l’equilibrio tra elementi scenici, costumi e luci – firmate da Daniele Naldi – e l’attenzione ai dettagli, valorizzano ogni aspetto della messa in scena e garantiscono l’impatto emotivo della rappresentazione.
In ogni edizione del Festival viene scelta un’opera scritta da Donizetti esattamente due secoli prima. È stata dunque rappresentata la seconda versione dell’opera in questione, quella del 1824, rimaneggiata da Jacopo Ferretti dal testo di Bartolomeo Merelli di due anni prima.
Di sapore rossiniano, si tratta della prima grande opera seria di Donizetti; l’orchestrazione è classica, vi sono recitativi secchi e accompagnati – in questo caso solo dal fortepiano – ma cominciano a delinearsi gli elementi che saranno caratteristici della sua musica, come l’importanza di certi strumenti come il fagotto, la cura dei cori e l’attenzione drammaturgica.
Alberto Zanardi dirige Gli Originali, orchestra che utilizza strumenti d’epoca. In aggiunta a questa complessità, la scrittura vocale non è delle più indulgenti. Nel ruolo en travesti di Abenamet, una musicale e scenicamente molto efficace Cecilia Molinari affronta questa parte estremamente virtuosistica. Il perfido Almuzir, ruolo da baritenore, è interpretato da Konu Kim, tenore dal timbro caldo e incisivo. Zuzana Marková restituisce una Zoraida molto dolce, di sicura presenza scenica e capace di destreggiarsi nell’ardua scrittura musicale.
Questo felice allestimento, rappresentato al Teatro Sociale nella città alta, è coprodotto dal Wexford Festival Opera, per il quale è stato messo in scena l’anno scorso, nella versione del 1822.
Si torna in città bassa al Teatro Donizetti per assistere a Don Pasquale, celebre dramma buffo, in cui i personaggi, caratteristici della commedia, tessono il proprio destino attraverso inganni e travestimenti.
Dramma e lirismo romantico si innestano nella partitura, con esatto equilibrio, tra gli elementi comici.
Iván López-Reynoso dirige l’opera nella sua nuova edizione critica, che aderisce alle intenzioni originarie dell’autore, cercando di restituire le sonorità e le dinamiche previste, con gli strumenti contemporanei.
L’uso del canto d’agilità è in questo caso più contenuto. Norina, è il ruolo che ha più colorature ed è interpretata da Giulia Mazzola con leggerezza e brillantezza. Javier Camarena, voce ideale per la parte di Ernesto, è stato prudente, a causa di una palese raucedine. Al contrario, Roberto De Candia ha sfoggiato una voce di facile emissione, sillabati eccezionali, un bel timbro e un’interpretazione pregevole del protagonista. Anche Dario Sogos, allievo della Bottega Donizetti, nel ruolo del Dottor Malatesta, esibisce una presenza vocale solida, supportata da una buona tecnica.
L’idea di allestimento della regista Amélie Niermeyer è piuttosto suggestiva, ma si rivela via via grossolana. Il tema, condivisibile, è l’amore libero: ognuno può amare chi vuole, senza limiti o discriminazioni.
Scene e costumi – firmati da Maria-Alice Bahra – collocano l’azione in un’ambientazione moderna: una villa dallo stile razionalista e lussuoso, dimora di Don Pasquale, uomo maturo ma ancora al passo con le tendenze. Ernesto è un giovane senza occupazione che vive sfruttando la generosità dello zio, mentre Norina si trova in una condizione di precarietà estrema, costretta a vivere in un’automobile. Persino la figura del Dottore, che in questo caso non sembra un professionista affidabile, sembra appartenere allo stesso contesto marginale di Norina.
Se nel primo atto la regia è vivace e ben orchestrata, nel secondo atto subisce un eccesso di elaborazione. La scena si riempie di elementi dissonanti, che sembrano seguire un caos creativo privo di un filo conduttore. Tra figure enigmatiche, un elefante rosa, costumi improbabili come pigiami da orsetto, e festeggiamenti di gusto discutibile, l’impatto visivo si appesantisce senza riuscire a restituire una narrazione chiara.
I personaggi sono sempre più caricaturali e talvolta grotteschi. La mancanza di coerenza narrativa lascia lo spettatore disorientato, nonostante la ricchezza degli spunti scenici.
Il Festival Donizetti Opera 2024 si è rivelato un laboratorio di idee e suggestioni, dove ogni opera ha saputo raccontare non solo storie, ma anche mondi. Un affascinante viaggio attraverso le molteplici sfaccettature del fato, tra personaggi che hanno accettato il proprio destino o non sono riusciti a sfuggirgli, chi l’ha sfidato o modellato.
È, per chi scrive, una riflessione implicita sul destino stesso del teatro musicale. L’opera e il canto si confrontano con la sfida di rimanere vitali in un mondo in costante mutamento. L’arte trova la sua forza nel rinnovarsi, sfidando l’inevitabile, adattandosi, reinventando i suoi linguaggi, in un dialogo perpetuo tra passato e presente. In questo equilibrio e ricerca costante, abbiamo la libertà di esplorare e, talvolta, di riscriverlo, come il nostro destino.
ROBERTO DEVEREUX
Tragedia lirica in tre atti di Salvadore Cammarano
Musica di Gaetano Donizetti
Edizione critica a cura di Julia Lockhart © Casa Ricordi, Milano
Elisabetta Jessica Pratt
Il duca di Nottingham Simone Piazzola
Sara Raffaella Lupinacci
Roberto Devereux John Osborn
Lord Cecil David Astorga
Sir Gualtiero Raleigh Ignas Melnikas*
Un familiare di Nottingham e un Cavaliere Fulvio Valenti
Orchestra Donizetti Opera
Direttore Riccardo Frizza
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del Coro Salvo Sgrò
Regia Stephen Langridge
Scene e costumi Katie Davenport
Luci Peter Mumford
Regia animazione pupazzo Poppy Franziska
Assistente alla regia Katerina Petsatodi
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti
in coproduzione con il Teatro Sociale di Rovigo
ZORAIDA DI GRANATA
Melodramma eroico di Bartolomeo Merelli e Jacopo Ferretti (versione rinnovata)
Musica di Gaetano Donizetti
Edizione critica a cura di Edoardo Cavalli © Fondazione Teatro Donizetti
Almuzir Konu Kim
Zoraida Zuzana Marková
Abenamet Cecilia Molinari
Almanzor Tuty Hernàndez*
Ines Lilla Takàcs*
Alì Valerio Morelli*
Orchestra Gli Originali
Direttore Alberto Zanardi
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del Coro Salvo Sgrò
Regia Bruno Ravella
Scene e costumi Gary McCann
Luci Daniele Naldi
Costumista collaboratrice Gabriella Ingram
Assistente alla regia Filippo Rotondo
Assistente alle scene gloria Bolchini
Assistente alle luci Paolo Bonapace
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Donizetti
in coproduzione con il Wexford Festival Opera
DON PASQUALE
Dramma buffo in tre atti di Giovanni Ruffini
Musica di Gaetano Donizetti
Edizione critica a cura di Roger Parker e Gabriele Dotto © Casa Ricordi, Milano
Don Pasquale Roberto de Candia
Norina Giulia Mazzola*
Ernesto Javier Camarena
Dottor Malatesta Dario Sogos*
Un notaro Fulvio Valenti
Orchestra Donizetti Opera
Direttore Iván López Reynoso
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Maestro del Coro Salvo Sgrò
Regia Amélie Niermeyer
Scene e costumi Maria-Alice Bahra
Coreografie Dustin Klein
Luci Tobias Löffler
Assistente alla regia Giulia Giammona
Nuova produzione della Fondazione Teatro Donizetti
Allestimento dell’Opéra de Dijon
*Allievi della Bottega Donizetti