LAURA NOVELLI | Il primo incontro è un fremito di energie confuse mandate alla sbaraglio tra gli argini di un dire-fare quotidiano e dimesso: la stazione, la pioggia, quel caffè corto, lungo, macchiato, che scalda il reciproco imbarazzo intercettando un terreno comune di scelte, gusti, sapori. Chi è lui per lei? Chi è lei per lui? Si sono conosciuti on line; si sono scambiati messaggi, mail, foto, per mesi, ed ora eccoli qui, uno di fronte all’altra, pronti a conoscersi di persona; ad annusarsi, parlarsi, sperare che la chimica faccia la sua parte e che il cuore palpiti incontrovertibilmente.
Le aspettative sono alte e la paura di rimanere delusi si insinua come un tarlo fastidioso. Eppure la situazione sembra piuttosto semplice: un uomo e una donna al loro primo appuntamento, interpretati dagli egregi Francesco Colella e Anna Bellato. Nulla di più naturale, di più antico, da millenni.
Ma forse le cose non stanno esattamente così, visto che all’inizio della pièce, nel dispositivo spoglio e lineare che lo scenografo Salvo Ingala ha immaginato per loro – una quintatura nera, tre grandi cubi di plexiglass per alludere a luoghi diversi – i due protagonisti ci appaiono impacciati, impauriti, compressi. Lui è reduce da un lungo viaggio in treno che dalla Calabria lo ha portato fino in Veneto e, nel suo loden verde bosco alquanto old fashion, sembra stordito, di certo pacatamente emozionato; lei prorompe euforica in quella stazione piovosa ed esplode in una sfilza di parole, domande e sorrisi luminosi. In effetti, i due ridono. E noi non possiamo che ridere di loro, con loro. Perché, in fondo, queste due anime uscite allo scoperto raccontano una storia di solitudine e ricerca dell’altro che sentiamo vicina e che risuona quanto mai emblematica oggi, nei nostri tempi così tanto confusi. E allora sì: riderne fa bene a tutti.
D’altronde, proprio tra emozioni intime, situazioni (apparentemente) ordinarie e declinazioni (auto)ironiche si muove il registro predominante di Meno di due, spettacolo scritto e diretto da Francesco Lagi che la compagnia Teatrodilina (https://www.teatrodilina.com/) ha presentato con successo al teatro India di Roma qualche sera fa dopo le repliche a Napoli e Milano. Spettacolo che prosegue il felice percorso artistico dell’ensemble aggiungendovi un tassello importante, anch’esso in linea con i precedenti allestimenti – citiamo, tra gli altri, Quasi Natale, Brina, Diario di Lina – e sintomatico di un lavoro di gruppo coerente da anni, che pone al centro l’attore, il dialogo, il ritmo di una drammaturgia – qui scandita in diversi quadri – cucita sugli interpreti e scevra di orpelli, formalismi, eccessiva letterarietà.
Un artigianato teatrale, potremmo dire, dove si respira l’aspirazione a una snellezza espressiva che sappia elevare il quotidiano a cartina di tornasole di temi universali e che faccia leva su un linguaggio scenico – complice la formazione cinematografica di Lagi, anche apprezzato sceneggiatore e regista per il piccolo e grande schermo – diretto, chiaro, ma non per questo poco poetico.
Anzi, via via che l’incontro tra lui, professore di greco a Catanzaro, e lei, proprietaria di un’azienda che produce mangime per animali in un paesino delle Alpi orientali, diventa conoscenza e relazione, Meno di due ci guida tra le spigolose difficoltà di un dirsi sincero e tra le piccole grandi manovre emotive che i protagonisti – entrambi non più giovanissimi e con una vita alle spalle – compiono per capire se stessi e capirsi (profondamente) a vicenda. E non è forse questa la vera poesia della vita?
Calati nelle belle luci di Martin E. Palma e nel disegno sonoro firmato da Giuseppe D’Amato, li vediamo percorrere in macchina una strada ripida di montagna. Li seguiamo alla scoperta di una grotta che nasconde graffiti rupestri di era primitiva, raffiguranti – non a caso – un uomo e una donna in piedi l’uno di fronte all’altra mentre si guardano.
Li ascoltiamo discorrere in due dialetti diversi, lontani, che – al netto di certi facili cliché forse evitabili e connessi con le biografie personali degli interpreti – acuiscono la distanza, per poi colmarla ancora di più.
Poi arriva una divertente partita di bowling, la leggerezza di un gioco che allenta la tensione, prima di ritrovarsi soli a casa di lei. Un bicchiere di vino, un altro, le pantofole calde e le note della canzone Bellissima di Annalisa sparate a volume alto: “Dove vai /te ne vai/quella volta non dovevi andare via/ero bellissima/bellissima/Dove vai/ma che cosa vuoi/quella volta ti aspettavo in Saint Laurent/ero bellissima […]”. Finalmente qualcosa si scioglie ed entrambi si lasciano andare a un ballo scatenato. Eccoli vivi. Eccoli giunti a una presa di coscienza del proprio lato irrazionale, a un bisogno di emozioni senza margini, senza equilibrio, senza freni. Difficile sottrarsi, dalla platea, a questo flusso di musica e libertà: tutti balliamo un po’ dentro di noi e tutti vorremo salire su quel palcoscenico per qualche minuto.
La festa, però, viene bruscamente interrotta dall’improvvisa apparizione di un secondo uomo (Leonardo Maddalena), un camionista di origine pugliese, da tempo trasferitosi al nord, sposato e padre di numerosi figli ancora piccoli, che ha intessuto con la donna un ambiguo rapporto di amicizia e ha l’abitudine di trascorrere con lei alcune serate della settimana, quelle in cui il senso di solitudine non dà tregua e il bisogno di essere in due si fa urgente.
Dopo un climax crescente di sottili avvicinamenti reciproci, al quale Colella e Bellato regalano una prova davvero eccellente sia nella definizione di ciascun personaggio sia nel serrato scambio di battute, gesti, silenzi in cui si muovono insieme, il testo vira, dunque, verso un ribilanciamento delle relazioni in campo. Il terzo personaggio sembrerebbe, infatti, sancire il fallimento dell’intera operazione. Paradossalmente, però, potrebbe anche avvenire l’esatto contrario, perché l’infelicità, lo sguardo disilluso del nuovo arrivato (“siamo tutti cani sul ciglio della strada – dice – che aspettano qualcuno che li prenda”) rimettono la palla al centro, e ora il tiro potrebbe andare a buon fine pure se non portasse al goal: l’importante è stare insieme, cercarsi, ballare.
L’importante, in buona sostanza e con buona pace di quanto sostiene Aristofane nel Simposio di Platone (alludiamo al celebre mito che il commediografo racconta per spiegare come la ricerca dell’amore per gli umani sia ricerca di quella metà che ci è stata tolta ab ovo e di cui sentiamo la mancanza), non è pretendere di diventare una sola cosa ma di restare individui connessi “fisicamente” ad altri individui: uno più uno non è detto che faccia due ma non è detto che questo “meno di due” sia poi così male. Insomma, oltre la liquidità fluida dei nostri cellulari e dei nostri pc, c’è sempre qualcosa di bello e di vero da scoprire, e l’episodio della grotta primitiva – con il suo carico simbolico riconducibile a un nostalgico, spirituale, stato di natura – la dice lunga in tal senso.
Alla fine si resta appesi a una risposta drammatica volutamente elusa. A una sospensione di giudizio che apre molte domande urgenti e che corona, con delicata armonia, le belle intuizioni di una regia semplice ma assai eloquente. E nulla – lo sappiamo – è più complesso della semplicità.
Il lavoro sarà a Bassano del Grappa il 17 e 18 dicembre e il 2 febbraio ad Assisi.
MENO DI DUE
scritto e diretto da Francesco Lagi
con Anna Bellato, Francesco Colella, Leonardo Maddalena
disegno sonoro Giuseppe D’Amato
scene Salvo Ingala
costumi Ilaria Ladislao
luci Martin E. Palma
illustrazione Antonio Pronostico
foto di Manuela Giusto
uno spettacolo di Teatrodilina
residenza produttiva Carrozzerie | n.o.t.
Produzione Compagnia Lombardi-Tiezzi
Teatro India, Roma | 29 novembre 2024