MARIA FRANCESCA SACCO / Pac Lab* | «Sono ridicola». Questa è la frase che riecheggia sul palco e riassume in sé timore e inadeguatezza. Ridicolo è un aggettivo sgradevole e fastidioso, poiché implica interazione tra un soggetto che ride e un oggetto deriso, descrive un piedistallo che il ridicolo guarda dal basso, passivo, inadeguato, perdente: al margine. È un aggettivo che viene pronunciato più volte e la cui metrica restituisce un suono pieno, una minaccia per tutti che, in qualsiasi momento della propria vita, potrebbero, inaspettatamente, sentirsi ridicoli.
Annamaria Troisi concentra nella protagonista di Ridicola un mondo emotivo variegato, reso attraverso un monologo denso, la cui vivacità è consegnata al dialetto napoletano, verace per eccellenza,  lingua madre dell’attrice e unico idioma adeguato a descrivere qualcosa di così personale come l’universo interiore. L’attrice inizia a pensare questo testo durante il Covid e lo lascia sedimentare fino al 2023 anno in cui, con questo monologo, vince il premio Over.

La protagonista, sola sulla scena guarnita esclusivamente di un tavolo, è una prostituta trasandata e all’apparenza strafottente, vestita con una larga felpa di pile, leggings sdruciti e un paio di ciabatte di plastica rosa: «Teng’ famm, teng’ sempre famm». Le sue prime parole sono di ingordigia, di insaziabilità, di insoddisfazione, si delinea una personalità che sembra voler prendere a morsi il mondo intero, per il suo atteggiamento sfrontato. La sua è una scorza di illusoria aggressività che verrà dismessa a poco a poco nel corso della performance.
Fame come bisogno di riempirsi di qualcosa, di cibo, di persone, di cose, per sfuggire a quell’abisso verso il quale non si vuole puntare lo sguardo. La prostituta, che domina la scena in solitaria, appare al pubblico come una bulimica di vita: questa iniziale sfrontatezza sembra a un primo sguardo richiamare il protagonista del racconto di Fëdor Dostoevskij, Il sogno di un uomo ridicolo, a cui si ispira Troisi. Egli, infatti, si dichiara subito indifferente alla vita, quindi decide di suicidarsi. Con il procedere dello spettacolo, però, si osserva che questa apparente somiglianza si trasforma nella più marcata differenza: la prostituta sulla scena non è affatto indifferente alla vita come potrebbe apparire da principio, è al contrario fragile e desiderosa di abdicare alla sua posizione di ridicola.
I due personaggi (di Dostojevskji e Troisi) hanno tuttavia in comune un elemento che fa da detonatore dello status quo, innescando una serie di riflessioni e possibili cambiamenti: la bambina. Nel racconto russo, l’evento che scuote il protagonista facendolo indugiare davanti al suo tentativo di farla finita sta proprio nell’incontro con una bambina. E questa, chiamata Bimba, è anche colei che la protagonista di Troisi porta in grembo: si scopre infatti incinta, benché non si veda nessuna pancia a indicarlo. Chi è quella Bimba alla quale si appella più volte, esserino da salvare e insieme salvifico?
Un colpo di pistola – rimando alla rivoltella di Dostoevskij – segna l’ingresso in un mondo onirico in cui si ritrova la protagonista che giace sul tavolo, quasi un altare che accoglie una vittima immolata. Questa si desta in un mondo che forse è il Paradiso ma che appare però più una discesa agli inferi: dentro se stessa, luogo spaventoso.


Essere ridicola, del resto, è abitare il margine con terrore, sentendosi inadeguati a cogliere le opportunità nelle situazioni: «Tra me e il mondo c’è come una nebbia», dice la protagonista ribadendo la sua estraneità. Non già indifferenza, perché quel che desidererebbe è essere accettata e amata: una presa di coscienza che avviene nel momento in cui lei imbraccia il microfono, sfrontata e sorridente, pronta a cantare All you need is love che a poco a poco si trasforma in uno stridente singhiozzare, dove ogni nota diventa una richiesta d’aiuto che trafigge il pubblico.
Se la ridicolezza reca in sé il concetto di marginalità, si potrebbe però anche sostenere, come scrive Bell Hooks nel suo Elogio del margine, che «la marginalità è uno spazio di resistenza e radicale possibilità, abitare il margine e affermare visibilità è un atto politico di resistenza». Infatti quello che fa la protagonista, e con lei tutto il pubblico coinvolto in queste emozioni universali, è resistere per quella Bimba che porta in grembo, che rappresenta se stessa o quella parte di sé di cui adesso si deve prendere cura.
Nel raccontare la propria vicenda la protagonista rievoca scene familiari d’infanzia descrivendo un padre che elargiva amore a intermittenza. Dunque quel Love Love Love della canzone di prima, diventa l’unica risorsa per riuscire a salvarsi: non un amore proveniente da fuor ma qualcosa che lei ha dentro di sé e per sé.
Troisi riesce a gestire solo con le parole questa scena vuota e scarna, la cui vacuità fa eco al mondo interiore che la protagonista cerca forsennatamente di riempire. Anche i movimenti sono pochi e molto naturali: si sposta sulla scena qua e là con le mani in tasca, il monologo è un flusso di coscienza.
Quello che prende forma sulla scena sono proprio le parole in lingua napoletana la cui musicalità si intreccia all’italiano, riservato a momenti più lirici, e il cui alternarsi scandisce i tempi di uno spettacolo che pare sempre più un tour nell’inferno dantesco, con la speranza di rivedere, presto o tardi, le stelle. Un viaggio che permette di cogliere le possibilità che stanno oltre il margine del ridicolo, attraverso la forma di resistenza più imprescindibile di tutte: l’amor proprio.

RIDICOLA

di e con Annamaria Troisi
progetto sonoro DANIVA
assistente alla regia Sara Consoli
produzione AMA Factory

Pimoff, Milano | 24 novembre 2024

PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.