MATTEO BRIGHENTI | «Così mi ha detto lui e così vi riporto io stasera». “Lui” è Gennaro Jovine, il protagonista di Napoli milionaria! di Eduardo De Filippo, “Io” è Michele Santeramo, testimone di un incontro immaginato dal vero. Siamo di fronte a una visitazione della “servetta Fantasia” come successe, più di un secolo fa, a Luigi Pirandello con quella famiglia che sarebbero poi diventati i suoi Sei personaggi in cerca d’autore.
Santeramo, infatti, non si limita a parlare: riporta. Vale a dire, regge, tiene, sostiene e sopporta le parole che Jovine gli ha consegnato. Le rintraccia sul leggìo davanti a lui e le riattraversa per noi, che stiamo dall’altra parte di quei fogli sospesi tra qui e allora.
Il personaggio è lo spettro-specchio delle sue domande sull’egoismo che è alla base della guerra. È in questo chiedere, soprattutto, che si sviluppa l’immedesimazione. Lui, allora, diventa io, Gennaro Jovine si impossessa di Michele Santeramo, e lo usa come tramite per arrivare a noi, proprio a te, proprio a me.
Jovine è un tranviere senza lavoro. La guerra l’ha fatta in prima persona: è un reduce della Seconda guerra mondiale. A comandare in famiglia, però, è la moglie, donna Amalia, «l’egoismo fatto persona – commenta Santeramo – poi personaggio». Dal canto loro, il figlio lo chiama rimbambito, la figlia grande gli dà dello scemo, perfino la figlia di cinque anni gli canticchia una canzoncina il cui ritornello è “Papà è fesso, papà è fesso”. Rimbambito, scemo, fesso, sì. Ma quanto il principe Lev Nikolaevič Myškin è un idiota, ovvero, secondo Fëdor Dostoevskij: «Un uomo assolutamente buono».
Eduardo lo riscatta nel terzo atto di Napoli milionaria! e adesso, nella Sala Ex-Leopoldine di Firenze, prende fiato da quella che è “stasera”. Ovvero, l’apertura del Respiro del Pubblico Festival 2024. Non potrebbe trovarsi più a casa: la manifestazione a cura di Cantiere Obraz, giunta quest’anno alla quarta edizione, si fonda sulla centralità dellǝ spettatorǝ, in quanto osservatorǝ attivǝ, partecipante. Dalla testa al cuore delle cose.
Attraverso Gennaro Jovine, come le altre apparizioni del progetto Fantasmi – Bastianazzo, dai Malavoglia di Giovanni Verga, sul confessare che bisogna ammettere di aver perduto, e Riccardo III, da William Shakespeare, che lancia la sfida sulla sua incompletezza – Michele Santeramo ricerca questo: stringere una relazione diretta con lǝ spettatorǝ. Commuovere, nel senso di muovere ciascunǝ con la voce di una figura che viene dal palcoscenico o dalla pagina per far nascere un’emozione viva, un forte sentimento che risvegli una presa di coscienza, un’assunzione di responsabilità. Personale e collettiva.
Per Jovine recitare, rappresentare, è la vita. Non può che essere così. È sentirsi ancora e sempre vivo dentro un gioco più vero del vero: restare nell’amore come bambinɜ. «L’amore, quando è amore, deve essere senza sforzo». Là fuori, fuori dal teatro, invece, noi possiamo soltanto vivere, e non sentirci vivi. Ci accontentiamo di questo mondo, non lo immaginiamo nuovo, non lo rifacciamo daccapo. La guerra, massimamente, ci toglie le parole, ci lascia in silenzio. Ed ecco che si fanno avanti i fantasmi come Gennaro Jovine, o Rodolfo Siviero grazie al Teatro dell’Elce.
Santeramo ha un modo di portare il testo che comincia dalle mani e arriva alla voce, segnando la punteggiatura, reiterando le frasi, ampliando il copione. Si fa, di volta in volta, un po’ più arreso, dunque sincero: sa cosa può e cosa non può fare Gennaro Jovine. Gli abbracci di uno spettro non abbracciano. Le parole, loro sì, hanno comunque un corpo. Quello di chi le dice e quello di chi le ascolta.
«C’è solo un modo per non fare la guerra: smettere di farla». Un modo disarmante nella sua semplicità. Un modo “fesso”, certo: per chi non sente altra ragione che il suo rassicurante egoismo.
GENNARO JOVINE
di e con Michele Santeramo
in collaborazione con Alessandro Brucioni
produzione Mowan Teatro
FANTASMI
è un progetto di Michele Santeramo e Pier Giorgio Cheli
in collaborazione con Alessandro Brucioni
Sala Ex-Leopoldine, Firenze | 9 novembre 2024