FEDERICA D’AURIA / PAC LAB* | Un suolo antracite e granuloso, che sembra terra, che sembra sabbia, si fa spazio su cui vibrano le parole, i gesti e le azioni dei personaggi di Macbeth di William Shakespeare con la regia di Jacopo Gassmann, in Prima Nazionale al Teatro Mercadante di Napoli dal 4 al 15 dicembre.
Le pareti rocciose rincorse da venature, la luce bianca che apre un varco dal fondo fino al centro della scena, il velo che separa il tempo e lo spazio e da cui spesso emergono Le Sorelle Fatali, altre volte le allucinazioni, altre volte i ricordi, suggeriscono un luogo che da esterno si fa interno: la mente di Macbeth (un sorprendente Roberto Latini). Roberto Latini si fa completamente voce, in un saliscendi che aggancia lo stato emotivo di Macbeth e ne disegna i contorni labili e fragili, alla perfezione.
La possibilità è quella di percepire gli spasmi di un tempo che non è completamente presente, né completamente passato, né futuro. Il loop temporale ed emotivo di Macbeth rovescia in scena ora il delirio del senso di colpa, ora il fanciullo che non riconosce le sue mani insanguinate, ora il malato che non ha più il controllo della sua mente. A tenderne le redini c’è Lady Macbeth (Lucrezia Guidone, in stato di assoluta grazia). Lucrezia Guidone è del tutto corpo, di una rigidità senza spigoli che lascia esterrefatti perché regale e “tutta d’un pezzo” doveva essere Lady Macbeth; e così è stata l’interprete. Incarna una figura femminile audace e di fibra spessa, pur se spietata. La sua ferocia, che si palesa più nei sussurri alla mente di Macbeth che nelle azioni, la prende per mano e la accompagna in un disegno sanguinoso che decreterà la fine della sua lucidità.
La lettura di Macbeth condotta da Gassmann sembra concentrarsi – e ci riesce in una maniera molto equilibrata – sulla psicologia dei personaggi e su quanto giace dietro la sete di potere. Gli orrori nascono da qualcosa che non è nato, come il figlio di Macbeth e Lady: un percorso tra rimorso e terrore che viene continuamente spezzato e poi spinto non da una personale ambizione, pur se terribile, ma dall’accanimento di chi influenza le scelte di un individuo al punto da renderlo estraneo a se stesso; l’attaccamento verso l’ascesa sociale, la sete di potere che asciuga la gola. Tutto è cupo, se non fosse per la luce stroboscopica che di tanto in tanto ravvisa come un barlume di lucidità andante, e per i suoni (Daniele Piscicelli) che annunciano e rompono come lampi la scena.
Le azioni sono intervallate dagli oracoli delle streghe che preannunciano e conducono quanto accade prima nella mente e poi sulla scena. ll cast, tutto, riesce a trasmettere l’intrigo che si cela dietro tutte le relazioni tra i personaggi, l’ambizione che sfocia in pericolosità, la rinuncia non digerita che si trasforma in vendetta. L’accento già posto dal Bardo è enfatizzato dalla regia di Gassmann e poggia su Lady Macbeth e sulle streghe: personaggi che sembrano meandri della stessa mente di Macbeth, trasfigurazioni femminili dei suoi desideri e delle sue paure più recondite.
Le donne di Macbeth, attraverso lo sguardo di Gassmann, sono figure che trasudano potere e desiderio di affermazione, anche e soprattutto attraverso la spietatezza. Con movimenti agili, a tratti sinuosi, a tratti spigolosi come se fossero giovani, anziane e feline allo stesso tempo: Le streghe. Con i loro oracoli figurano a Macbeth presagi e sciagure, di cui sembrano godere. Lady Macbeth spinge il marito ad affermare la propria scalata sociale passando per l’uccisione di figli e padri, con mancanza assoluta di valutazione delle conseguenze psicologiche cui, infatti, lui soccomberà. E non sarà il solo a farlo. «Nulla si è ottenuto e tutto si è sprecato se il desiderio è ottenuto senza gioia», aggiunge lei nel momento in cui, tanto più vicina alla pazzia quanto più è vicina al marito, si lascia andare alla stessa sorte di lui, nei sotterranei della propria mente. Ha spinto Macbeth in un fosso in cui lei stessa precipita.
Sangue, potere e pazzia sono i tre flussi che traboccano in scena e di cui la stessa è riempita, ma con un effetto boomerang: la parola Shakespeare, in questo traboccare, spesso si sfalda. Nel luogo ameno e metafisico pensato da Gassmann, i cui personaggi sembrano provenire da tempi futuri, dallo stile recitativo ai costumi, il linguaggio non sembra amalgamarsi, piuttosto, stride. Gli interpreti sono agili, nei movimenti, nei pensieri e nelle azioni ma la parola è fatta di un’altra materia, che non agevola l’ottima costruzione del personaggio. È come se il lirismo scivolasse sulla costruzione ruvida di un impianto distopico.
La scena finale è un punto riuscito in maniera ottimale, che copre le zolle: la battaglia si conclude in un tempo brevissimo e originale, i microfoni sostituiscono le spade, Macbeth è chino su una miniatura del suo regno e crolla, si fa buio e in un attimo viene calata al centro della scena la sua testa (un calco in 3D di Emanuele Paribello), simbolo di quello smarrimento psicologico e di quella fragilità che si incanalano verso la pace della sua fine.
Sembrano spettri i personaggi di Macbeth, anime dolenti che ribaltano le fragilità in azioni meschine e questo li rende umani: sono avidi, hanno paura, sono capaci di uccidere (e infatti lo fanno) per sete di potere e distruggono la loro carnalità per farsi materia freudiana che cammina. “La mia mente è piena di scorpioni” dispera Macbeth e, tra il sottobosco e le pietre, è possibile infine intravederne le punte.
MACBETH
di William Shakespeare
traduzione Paolo Bertinetti (Giulio Einaudi editore)
regia Jacopo Gassmann
con Roberto Latini, Lucrezia Guidone, Gennaro Apicella, Riccardo Ciccarelli, Sergio Del Prete, Antonio Elia, Fabiana Fazio, Marcello Manzella, Nicola Pannelli, Olga Rossi, Michele Schiano di Cola, Paola Senatore
la voce registrata di Fleance è di Giovanni Frasca
scene Gregorio Zurla
costumi Roberta Mattera
disegno luci Gianni Staropoli
disegno sonoro Daniele Piscicelli
video Alessandro Papa
movimenti Sara Lupoli
trucco Anna Lucagnano
regista assistente Stefano Cordella
direttrice di scena Teresa Cibelli
datore luci Fulvio Mascolo
capomacchinista Nunzio Romano
macchinista Vittorio Menzione
fonico Diego Contegno
sarta Daniela Guida
realizzazione calco 3D Emanuele Paribello
foto di scena Ivan Nocera
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Campania Teatro Festival – Fondazione Campania dei Festival
Teatro Mercadante, Napoli | 11 dicembre 2024
* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture, anche in collaborazione con docenti e università italiane, per permettere il completamento e la tutorship formativa di nuovi sguardi critici per la scena contemporanea e i linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac ne accoglie sul sito gli articoli, seguendone nel tempo la pratica della scrittura critica.