LEONARDO CHIAVENTI / PAC LAB * | Quando un mito termina di essere tale? Quando un capolavoro della letteratura internazionale, come Faust di Johann Wolfgang Von Goethe, smette di avere un valore nel panorama artistico? Leonardo Manzan, una delle più promettenti voci teatrali italiane, e Rocco Placidi se lo chiedono con il loro Faust, debuttato il 10 dicembre al Teatro Vascello di Roma.
Nel momento in cui il pubblico entra in sala, il sipario è già alzato. Un lungo tavolo bianco percorre tutto il palco; dietro di esso è posto un altro sipario di pesanti tende rosse. Fogli sparsi, bottigliette d’acqua e microfoni occupano piano della scrivania. Alessandro Bay Rossi è già in scena: seduto dietro il tavolo, in silenzio, ma con un occhio vigile verso tutto ciò che si muove nella stanza, lascia subito intendere che questa rappresentazione avrà lo sguardo rivolto verso il pubblico, come, del resto, accade in tutti gli spettacoli di Manzan.
Proprio il regista ha descritto la sua opera come «un’antica fiaba di tradizione orale», nella quale l’origine arcaica si unisce a «un linguaggio da graphic novel», che permette così una maggiore libertà per le interpretazioni degli attori.
Come per ogni fiaba però, c’è bisogno di un inizio. Questa, in particolare, ne ha uno che fa da fulcro dell’intera opera.

Beatrice Verzotti, Jozef Gjura, Alessandro Bandini, Alessandro Bay Rossi, Chiara Ferrara. Ph. di Manuela Giusto

Il dramma di Goethe, composto tra 1772 e il 1832, segue le gesta del Dottor Faust che decide di stringere un patto con il diavolo. Come afferma Manzan, la trama potrebbe essere riassunta solo con questa frase. Tuttavia, la storia deve trovare un modo per proseguire, per andare oltre il suo principio. Nel testo dello scrittore tedesco sono presenti due prologhi: il prologo in cielo e il prologo sul teatro. In quest’ultimo, un direttore di scena, un attore e un poeta si interrogano su quale sia la migliore direzione che uno spettacolo debba prendere. Ugualmente gli attori sul palco, seduti come per una conferenza, si chiedono come descrivere l’opera dello scrittore tedesco, talvolta rivolgendosi anche al pubblico stesso. Le riprese di Manzan al testo originale sono evidenti. Nella versione del giovane regista però, il prologo della storia sarà anche il suo sviluppo e la sua fine. La rappresentazione, infatti, non è una fedele trasposizione dell’opera, ma una continua ricerca sul senso di mettere in scena il Faust nei nostri giorni. Quando forse l’idea migliore sarebbe andare avanti per trovare altre forme d’arte, con dei contenuti più affini alla modernità.

Ph. di Manuela Giusto

La contemporaneità è un tema ricorrente già nei precedenti lavori di Manzan. Come in Cirano deve morire, dove il testo di Edmond Rostand viene rielaborato, attraverso la musica che accompagna il corso dello spettacolo, per affrontare la vesti del personaggio di Cirano come simbolo della letteratura internazionale. Nel Faust è come se il regista, con quel grande tavolo, lungo il quale siedono gli attori, voglia mettere in scena un processo curante il quale discutere sul ruolo che questo dramma dovrebbe avere nella modernità. La melodia, anche in questo caso, diventa uno strumento per denunciare l’ipocrisia che persiste nel mondo dell’arte. Tra veri e propri stacchetti e una canzone dedicata al suicidio, gli interpreti parlano, si arrabbiano e ridono mentre girano intorno alla scrivania, alcune volte saltandoci sopra, altre rifugiandovisi dietro. Mefistofele e Faust sono il centro di questa discussione. Il diavolo però, svolge una parte differente dall’originale, poiché è un demone a cui nessuno crede più. Conseguenza, questa, del fatto che la componente divina del Faust originale è del tutto assente. Il regista ha scelto di portare in scena uno dei testi più noti della letteratura europea, adattandolo però a una sensibilità laica, più materialista e con valori diversi da quelli del tardo Ottocento. L’opera, si interroga  su se stessa, riguardo il suo significato e la posizione nella contemporaneità.

In questa operazione di autoanalisi del testo di Goethe, gli attori riescono a dare prova di umorismo e giusto pathos. Alessandro Bay Rossi – vincitore del premio Ubu miglior attore under 35 nel 2022– offre un’interpretazione sicura ed energica del dottor Faust, insieme a Paola Giannini che interpreta Mefistofele, anche se la loro sintonia risulta essere debole in alcuni punti della rappresentazione. Invece, sono ben riuscite le scene in cui condividono perfomance canore, mentre il resto degli attori accompagna in modo efficace i protagonisti, destreggiandosi tra musica e dialoghi, con un’ironia che segue ogni loro parola.

Alessandro Bandini. Ph. di Manuela Giusto

Faust non deve morire come Cirano, ma sicuramente non può rimanere lo stesso con lo scorrere del tempo. La critica, che viene mossa ai modelli tradizionali, di cui nulla si può dire se non con riverenza, risulta essere un grido forte e audace, che però non è in grado di sottolineare pienamente le fragilità denunciate. Come è accaduto anche per Glory Wall, l’opera che Manzan portò alla Biennale Teatro di Venezia nel 2020, il regista ha mostrato la relazione tra la censura e l’io moderno con un’imponente scenografia, facendo però disperdere la critiche del testo tra le parole dello spettacolo. L’impressione che si ha, nel momento in cui si esce dalla sala dopo aver visto il Faust, è di non aver ben chiaro chi il regista additi per l’ipocrisia che persiste nel mondo del teatro.

La parte finale, dove il filo della trama dovrebbe riavvolgersi, non spiega molte delle provocazione che sono state portate in scena, lasciando lo spettatore con delle domande che non avrebbe dovuto avere all’uscita del teatro. Leonardo Manzan e Rocco Placidi portano in scena uno spettacolo  che ha alcune imperfezioni nella scrittura e nella sua realizzazione. Tuttavia, la voce del giovane regista si conferma capace di proporre un’opera con un allestimento coraggioso e che possiede una grande ironia, ben sostenuta dagli interpreti.

FAUST

tratto da Faust I e II di Johann Wolfgang von Goethe
di Leonardo Manzan e Rocco Placidi
con Alessandro Bandini, Alessandro Bay Rossi, Chiara Ferrara,
Paola Giannini, Jozef Gjura, Beatrice Verzotti
regia Leonardo Manzan
scene Giuseppe Stellato
costumi Rossana Gea Cavallo
light design Marco D’Amelio
Music and Sound Franco Visioli
fonico Filippo Lilli
direzione tecnica e datore luci David Ghollasi, macchinista Giuseppe Russo, assistente scenografo Caterina Rossi
aiuto regia Virginia Sisti
collaborazione organizzativa Elisa Pavolini
foto Manuela Giusto
produzione La Fabbrica dell’AttoreTeatro Vascello,
Teatro Piemonte Europa, LAC Lugano Arte e Cultura
in collaborazione Teatro della Toscana Teatro Nazionale
si ringrazia per la collaborazione l’associazione Cadmo

Teatro Vascello, Roma | 13 dicembre 2024

* PAC LAB è il progetto ideato da PAC Paneacquaculture in collaborazione con docenti e università italiane per permettere la formazione di nuove generazioni attive nella critica dei linguaggi dell’arte dal vivo. Il gruppo di lavoro di Pac accoglie sul sito le recensioni di questi giovani scrittori seguendone la formazione e il percorso di crescita nella pratica della scrittura critica.