RENZO FRANCABANDERA | Era già apparso vestito da Arlecchino lui stesso in uno spettacolo di due anni fa, in cui aveva condiviso la scena con Roberto Latini oltre che con la sua interprete storica, Serena Balivo, che lo accompagna anche in questa nuova avventura.
Quindi, ragionando sulle piccole ossessioni creative che sempre si affacciano nella vita degli artisti, l’icona Arlecchino si era già palesata nell’immaginario scenico di Mariano Dammacco. Anche allora il drammaturgo e regista di origini pugliesi, che negli anni ha regalato diverse scritture per voce sola alla sua interprete feticcio, Serena Balivo, si confrontava con una scrittura a più voci.
Pare quasi che l’epifania drammaturgica di Arlecchino corrisponda per Dammacco all’intenzione – magari non voluta esplicitamente ma che si fa con questo atto più concreta – di rimando psicologico, di sovrapposizione fra l’artista e una delle maschere più emblematiche della commedia dell’arte, figura dalle mille sfaccettature, capace per un verso di adattarsi ai contesti culturali e storici con straordinaria fluidità, per altro, dal punto di vista psicologico, di offrire un’interessante riflessione sul rapporto tra identità, istinto e società.
Nella tradizione della Commedia dell’Arte, Arlecchino è il servitore furbo e opportunista, ma al tempo stesso ingenuo e talvolta impulsivo. La sua personalità sembra sfuggire a ogni definizione univoca, riflettendo un’identità frammentata e capace di mutare. La fame, intesa sia come bisogno fisico sia come simbolico desiderio di soddisfazione, è il motore principale delle sue azioni, emblematico dell’essere umano nella sua dimensione primordiale. Qui tuttavia, la maschera è alle prese con la sopravvivenza.
Alle soglie della grande estinzione di massa, come in Interstellar, Dammacco spinge la maschera nello spazio, nel futuro, nel 2124, per tornare a noi con un intento rivelatorio e profetico. Il suo caos, d’altronde, non è mai fine a sé stesso: Arlecchino, pur nel disordine che lo circonda, riesce a creare soluzioni ingegnose, incarnando così la tensione tra istinto e razionalità, tra ribellione individuale e ordine sociale. Un po’ come l’individuo contemporaneo, Arlecchino è costretto a destreggiarsi tra molteplici ruoli e identità, spesso in conflitto tra loro. A sua volta, proprio come il personaggio teatrale, anche l’individuo di oggi si trova a indossare diverse maschere, una frammentazione dell’identità che rispecchia la natura trasformista e camaleontica di Arlecchino, rendendolo una figura incredibilmente vicina alla nostra esperienza quotidiana.
Arlecchino nel futuro si inserisce, dunque, in una corrente teatrale che utilizza la distopia per riflettere sulle contraddizioni del presente. La figura di Arlecchino, tradizionalmente simbolo di astuzia e adattabilità, diventa veicolo per una critica alle manie contemporanee, come l’ossessione per la digitalità e la fiducia cieca nell’intelligenza artificiale. Impiegato in un negozio di congegni elettronici di ultimissima generazione, il protagonista si finge androide per accompagnare il rintontito e infantile nipote di un anziano e rassegnato Pantalone verso la salvezza in una colonia extra mondo, come in Blade runner.
La scelta di collocare Arlecchino in un futuro dominato da androidi e migrazioni lunari, sicuramente rappresenta un’analisi critica delle derive tecnologiche e ambientali della nostra epoca. Dammacco utilizza la farsa, genere teatrale storicamente associato alla critica sociale, per esplorare i temi della crisi climatica, ma anche le sfide dell’intelligenza (e anche della deficienza) umano/artificiale e la sempiterna aspirazione all’immortalità (Padre, voglio più vita! recitava Rutger Hauer nel film di Ridley Scott che portava in scena un romanzo di Philip Dick).
La drammaturgia di Dammacco, sviluppata in collaborazione con lo studioso di teatro Gerardo Guccini, si avvale di un linguaggio che mescola l’italiano a un dialetto veneto italianizzato, richiamando la musicalità delle commedie goldoniane. La scelta linguistica non solo omaggia la tradizione della Commedia dell’Arte, ma crea anche un contrasto con l’ambientazione futuristica, sottolineando l’universalità e la resilienza delle maschere tradizionali in contesti temporali diversi.
Questa dicotomia tecno-tradizionale si legge anche nella scenografia, ideata dallo stesso Dammacco con Gioachino Gramolini e che vuole trasportare il pubblico in un mondo immaginifico che fonde tradizione e fantascienza. Gli elementi scenici includono una navicella/macchina del tempo (forse visivamente un po’ ingombrante) che campeggia su una pedana teatrale/zattera di legno illuminata da colori vivaci: strutture che evocano un “carro dei comici del futuro”, creando un connubio tra la modernità e la storicità della Commedia e che si arricchiscono di alcune trovate geniali, come le bellissime ragnatele sotto il palco che hanno anche funzione di oscurare quanto avviene sotto il palco, permettendo così i frequenti scambi di persona fra le due ottime interpreti, Serena Balivo e Eleonora Ruzza. Le due, in un continuo scambio di sembianze che però lo spettatore quasi non arriva a percepire, interpretano alternativamente Arlecchino e altri personaggi, indossando maschere (anche queste tradizionali ma futuristiche allo stesso tempo, come i costumi, disegnati da Dammacco stesso) realizzate dal Maestro Renzo Sindoca e dall’artigiano Leonardo Gasparri. Questa scelta registica enfatizza la fluidità dell’identità e la versatilità delle maschere, elementi cardine della Commedia dell’Arte. Bella, poi, fra Kraftwerk e suoni da video game, la colonna sonora, composta da Marcello Gori, che accentua i temi emotivi e contribuisce a scandire il ritmo narrativo della farsa.
Notevole come sempre, ma verrebbe da dire anche più di sempre la prova di Serena Balivo, con una ricerca sul movimento nella Commedia dell’Arte invero di grande valore. ll sodalizio artistico fra Dammacco e Balivo è ormai quasi ventennale: dopo il loro incontro nel 2007, hanno fondato nel 2009 la Piccola Compagnia Dammacco, un progetto indirizzato alla creazione di spettacoli incentrati, da un lato, sul lavoro d’attore, dall’altro, su drammaturgie originali. Da questa collaborazione Balivo ha tratto un significativo percorso artistico, ricevendo diversi riconoscimenti, tra cui il Premio UBU nel 2017 come miglior attrice o performer under 35 e il Premio Internazionale Ivo Chiesa del Teatro Nazionale di Genova nella categoria “Futuro della scena” nel 2021. Qui l’attrice è affiancata da Eleonora Ruzza che non sfigura affatto e anzi, genera una interessante dualità fisica.
La creazione tutta è realizzata con cura, grande cura e attenzione ai particolari. Arlecchino/Dammacco gioca con la figura archetipica, quella del trickster, simbolo di caos creativo e sovversivo, enfatizzandone non solo la sua capacità di adattarsi alle circostanze, ma anche quella di scoprire verità nascoste attraverso l’inganno o il gioco e di affrontare la vita con resilienza. Attraverso di lui, la Commedia dell’Arte, un rinnovato artificio della scena sempre capace di infuturarsi, continua a parlare all’oggi, interrogandoci su cosa si nasconde dietro le nostre maschere.
La fruizione è gradevole, ci fa bambini, ma con le consapevolezze e le disillusioni dell’adulto. In una società dominata dalla visibilità e dal giudizio, Arlecchino rappresenta il bisogno umano di costruire facciate per sopravvivere. Eppure, al di sotto della maschera, egli conserva un’ironia profonda, un modo di ridere delle difficoltà che diventa un meccanismo di resistenza. Questo aspetto lo rende ancora più contemporaneo, incarnando una modalità di affrontare le incertezze della vita con leggerezza e creatività. Ma l’Arlecchino di Dammacco è anche simbolo di lotta e sovversione. Come servitore, non accetta passivamente il suo ruolo ma si ribella alle gerarchie con astuzia, ingegno e una buona dose di caos. In un mondo in cui le disparità economiche e sociali sono ancora una realtà centrale e il futuro del linguaggio teatrale in difficoltà, il personaggio assume un ruolo universale, rievocando il desiderio di giustizia e l’intelligenza ribelle di chi si oppone a regole oppressive.
ARLECCHINO NEL FUTURO
scene costruite nel Laboratorio di Scenotecnica di ERT
responsabile del Laboratorio e capo costruttore Gioacchino Gramolini
costruttori Tiziano Barone, Sergio Puzzo, Veronica Sbrancia, Leandro Spadola
scenografe decoratrici Benedetta Monetti con Alice Di Stefano, Bianca Passanti, Martina Perrone
direttore tecnico Massimo Gianaroli
elettricista Sergio Taddei
sarta realizzatrice e di scena Eleonora Terzi
produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale