CRISTINA SQUARTECCHIA l È tornato lo Schiaccianoci al Teatro alla Scala di Milano per inaugurare la nuova stagione di balletto. In scena dal 18 dicembre – data del suo storico debutto al Teatro Mariinkij nel 1892 da Marius Petipa e Lev Ivanov – fino al 12 gennaio nella versione di Rudolf Nureyev. Una partenza intonata al periodo festivo con un classico del Natale dal fascino eterno. Sì, perché lo Schiaccianoci non è solo un balletto fantastico in due atti e tre scene sulla magia dell’infanzia che si lega all’incanto del Natale; un lavoro “dall’impianto drammaturgicamente fragile” o un balletto solo per bambini, secondo alcuni addetti ai lavori. La versione di Rudolf Nureyev è molto di più: è il primo balletto tardo-romantico che va oltre la fiaba e apre le porte allo psicologismo. Una versione che Nureyev realizzò nel 1968 e quasi subito entrò nel repertorio della compagnia scaligera senza mai finire in soffitta. Tra Liliana Cosi, Carla Fracci e Merle Park, partner che Rudy volle con sé quasi in ogni rappresentazione, il balletto ha trovato nei decenni nuova linfa nei corpi che lo hanno respirato in scena.
Dal racconto un po’ noir del novellista Ernst Theodor Amadeus Hoffman Lo schiaccianoci e re dei topi del 1816, la storia – secondo la versione edulcorata di Alexandre Dumas padre, da cui prese spunto Marius Petipa – racconta di Clara, figlia del borgomastro di Norimberga, che riceve in dono, la sera della vigilia di Natale, un pupazzo Schiaccianoci. Siamo nel salotto della sua casa e con la sua famiglia si appresta intorno al grande albero natalizio addobbato di candelabri a fare gli ultimi ritocchi prima dell’arrivo degli invitati. Tra il galop dei bimbi e un minuetto, fa ingresso con un carico di regali per tutti i bambini Drosselmeyer, un personaggio chiave nella storia che la letteratura del Novecento ha tratteggiato diversamente nelle innumerevoli coreo-regie, ma che per Nureyev si identifica con il principe Schiaccianoci.
Clara, infatti, sedotta dal pupazzo Schiaccianoci e prossima all’età adolescenziale, proietta su questo tutte le sue paure ed emozioni e, mentre lo culla, si addormenta e sogna. Il suo pupazzo diventa un principe che la conduce nel mondo fantastico dei dolci, ma prima di questa meta ci sono ostacoli da superare: un esercito di topi irrompe a turbare il suo sogno. La scena si anima di soldatini ed ussari guidati dal principe Schiaccianoci che devono sconfiggere queste inquietanti creature in una battaglia dove Clara avrà la meglio lanciando una scarpa sul volto del Re dei topi. Si aggiungono poi enormi pipistrelli, che altri non sono che i famigliari di Clara, trasformati in paure ed inibizioni. Un sogno dai risvolti psicoanalitici dove la fanciulla libera tensioni e desideri che iniziano a pulsare sotto la sua pelle come accade a ogni adolescente.
Ma il sogno continua e finalmente Clara inizia a scoprire le prime gioie dell’amore con il suo Schiaccianoci ormai divenuto principe, iniziando il loro viaggio insieme. Il pas de deux che Nureyev realizza, interpolato tra i due atti e immerso in una foresta di abeti, è un disegno glorioso di abbracci e appoggi, un continuo abbandonarsi al principe, un ancorarsi a vicenda in dinamici grand ronde, mentre il crescendo solenne della musica di Čaikosvkij sublima la coppia.
In felice sintonia, Claudio Coviello e Agnese Di Clemente godono entrambi di vitalità e slancio, visibili nelle svettanti arabesques che si aprono verso l’avvenire. Agnese Di Clemente, dotata di quel fresco candore di fanciulla in erba, traduce apertura e pienezza alla vita con i suoi movimenti voluminosi e avvolgenti; volteggia sicura in questa parte che dà inizio al viaggio dove la coreografia di Nureyev, colma di passi e combinazioni, non dà respiro. Questo pas de deux è un flusso continuo di passaggi, è la lampante prova di quello che per Rudy era “un passo una nota”: il suo inconfondibile stile compositivo nella riscrittura dei classici del repertorio che ha ridato nuova luce a molti pezzi dei grandi balletti e di cui questo pas de deux è una delle più riuscite dimostrazioni, come il successivo Valzer dei fiocchi di neve.
Il coro muto e la riproduzione perfetta del fiocco di neve negli intrecci spaziali, nella circolarità del disegno coreografico, nella musicalità delle legazioni nei temps levés in arabesque e en tournant riescono a restituire quella leggerezza e quella velocità della neve che scende e volteggia nell’aria. Un incanto che rapisce lo sguardo come riesce il corpo di ballo scaligero in questa coreografia dal virtuosismo continuo, in un luminoso e perfetto unisono che non fa rumore, come la neve che silenziosamente cade.
La magia di questa notte si completa nel regno dei dolci dove la versione di Nureyev approda in una corte, solenne e austera, lontana dalle ambientazioni fantastiche e abbaglianti. Sobrietà e rigore accolgono i due protagonisti mentre si dà spazio alla parte esotica del balletto con il divertissement delle famose danze: quella spagnola del cioccolato, quella araba del caffè, quella del tè con la danza cinese, quella russa o Trèpak e infine la pastorale in cui si distingue la plasticità flessuosa ed elegante di Edward Cooper nel ruolo del danser noble, di memoria secentesca.
Una memoria che Nureyev mantiene nella scena successiva del Valzer dei fiori, ambientata in un salone con enormi candelabri che calano dall’alto e che ricorda le corti del Re Sole. I danzatori sono in abito d’epoca come pure le danzatrici con alcuni richiami. La coreografia, un valzer che è un omaggio al fiore, sviluppa il movimento di apertura e chiusura della sua corolla: lo si evince dallo schiudersi in ripetuti andirivieni dal centro e fuori del cerchio che le coppie dei ballerini disegnano in promenade e glissate prolungate con un dinamismo visivo di incastri e passaggi tecnici che elogia la bellezza floreale come quella della tecnica della danse d’école.
Un crescendo musicale di tecnicismi e melodie che si sublima nel pas deux finale, in un’apoteosi che sfiora il tragico, come testimoniano i carteggi tra Petipa e Čaikosvkij, in cui il coreografo richiese al compositore una partitura «d’effetto colossale» che per quest’ultimo si traduceva in tragico. Una melodia d’effetto sì, ma dal retrogusto un po’ funebre, che altri non è che il tripudio dell’amore e in un certo senso la morte della bambina che è in Clara. Altri carteggi raccontano, infatti, che, durante la stesura del brano, una giovane nipote del compositore veniva prematuramente strappata alla vita a causa di una malattia e che ciò lo suggestionò particolarmente. Clara si identifica nel sogno in Fata Confetto dove danza gioiosa in una delle memorabili variazioni dove Čaikovskij, fresco da un viaggio a Parigi in cui scoprì lo strumento della Celesta, che impiegò per l’occasione senza esitare, anticipando i suoi colleghi russi.
Qui Nureyev distilla una combinazione di passi che rivela tutta la sua sapienza tecnica e stilistica. Sul tintinnio della Celesta si trovano ricche le legature dei pas, atteggiamenti e posture delle lontane danze di corte, mescolate con una sensibilità capace di accogliere modernismi tecnici delle innovazioni del Novecento. Agnese Di Celeste mostra i denti, nonostante i virtuosismi, ha rotto la noce dura con il principe Schiaccianoci, dove un Claudio Coviello in splendida forma è invece una certezza, dall’interpretazione di Drosselmeyer fino all’ultimo respiro in scena.
Clara si sveglia nel salotto della sua casa e ritrova immutati il suo albero di Natale e il suo pupazzo Schiaccianoci. Il sogno, seppur apparentemente svanito, non ha esaurito la sua spinta vitale, nuovi desideri premono verso un nuovo avvenire.
SCHIACCIANOCI
regia e coreografia Rudolf Nureyev
musica Pëtr Il’ič Čajkovskij
scene e costumi Nicholas Geōrgiadīs
Luci Andrea Giretti
Direttore Valery Ovsyanikov
Artista ospite (18 e 20 dic.) Hugo Marchand
4 gennaio 2025 | Teatro Alla Scala, Milano