FRANCESCA CURTO | Il collettivo marchigiano “7-8 chili” si inserisce in piena armonia con il suo “Hand play” (gioco di mano), nel contesto del Festival Luoghi Comuni 2015 tenutosi nelle passate settimane a Bergamo, una rassegna che privilegia i linguaggi innovativi e di qualità. Hand play è un ironico e impattante racconto virtuale che arriva al pubblico senza bisogno di parole.
Realizzato nel 2013, “Hand Play” rappresenta la tappa finale di uno studio sul rapporto tra teatro e media, iniziato dal collettivo con le performance visive del 2012, “Replay” e “Display”.
Se nel caso di “Display” era l’uomo, Davide Calvaresi, a confrontarsi con la sua immagine filmata, adesso è una donna, Giulia Capriotti, ad interagire con l’immagine di Calvaresi – e della sua mano – proiettata in diretta sullo schermo.
Il gioco di mano comincia con uno stratagemma metateatrale che precede l’inizio della performance vera e propria.
Mentre il Teatro Tascabile si riempie, la Capriotti occupa già il fondo del palco e attende qualcuno con fare infastidito.
Calvaresi entra in scena, quasi confuso tra gli spettatori arrivati all’ultimo minuto, e prende posto a un tavolino tra la performer e il pubblico. Ma non è lui che Giulia sta aspettando.
Solo quando Calvaresi accende la telecamera posta sul tavolino e proietta sullo schermo in alto a destra l’immagine gigante della sua mano, si desume, grazie al gioco di prospettive, che sia proprio lei il secondo attore sulla scena.
Lo spazio appare subito tripartito dalle posizioni dei personaggi.
Calvaresi ricava un angolo di dialogo con il pubblico occupando la parte sinistra del proscenio con il suo tavolino nero e basso.
La Capriotti si muove in uno spazio limitato sul fondo sinistro del palco mentre sulla destra la mano le sta accanto e delimita lo spazio virtuale che solo il pubblico è destinato ad osservare.
Da questo punto di vista privilegiato lo spettatore assiste alla microstoria tra una donna vera e una mano gigante, manovrati a distanza da un sadico burattinaio che gioca con loro introducendo oggetti e situazioni e cerca, a suon di sguardi, complicità con il pubblico.
Il racconto si suddivide in due momenti. Il primo è una storia d’amore quasi da manuale e comincia con il corteggiamento della donna. La performer “incontra” la mano gigante, la mano gigante si innamora, le porta un fiore gigante, la ripara dal temporale con un ombrellino da cocktail e dopo una suonata al pianoforte ed un anello di brillanti la conquista e la fa sua (in tutti i sensi).
Finito l’idillio, la donna passa l’aspirapolvere, la mano guarda la partita, il matrimonio diventa la tomba dell’amore e la scelta della mano come curioso compagno della donna non appare più solo volta a suscitare il riso.
Nella seconda parte infatti l’atmosfera si fa cupa e il rapporto di coppia, diventato ormai crudele e asfissiante, precipita nel sadomasochismo. La mano gigante si trasforma nell’elemento che cattura e fa prigioniera la donna, sottomettendola ai suoi desideri.
Calvaresi non si limita più a creare scenografie inquietanti ed effetti speciali artigianali proiettando oggetti sullo schermo, ma comincia ad entrare nell’azione anche con il proprio volto, guardando la donna da una posizione di superiorità fino ad inghiottirla, masticarla e risputarla.
Solo finita la notte e superato il punto di massima tensione, Calvaresi entra per intero nella scena vuota e si filma mentre canta “Una carezza in un pugno”, sdrammatizzando la performance attraverso l’ironica sintesi del molleggiato Celentano, come già fatto peraltro in “Display” con una canzone di Albano e Romina.
Il contrastato rapporto tra uomo e donna è simulato da quello tra l’uomo e l’elettronica, che il collettivo “7-8 chili” – che prende il nome dal peso della testa – indaga con il suo teatro sperimentale.
Grazie alla precisione e all’intesa degli artisti lo spettacolo rimane impresso a livello visivo, ma la palese volontà di offrire dignità artistica alla ricerca contrasta con il tentativo di conferire alla performance un significato più profondo, che dia sostegno all’apparato visuale già eccellente. Nonostante i tanti temi trattati la decisione è quella di non indagare il dettaglio e di limitarsi a regalare sequenze gradevoli all’occhio fin troppo brevi per ricavarne un messaggio. Ma “7-8 chili” appare consapevole nelle sue scelte e antepone con fierezza, al significato, una moderna leggerezza.