RENZO FRANCABANDERA | Sono molti anni che Martin Zimmermann frequenta l’Italia.
Lo ha fatto da solo e con il suo sodale coreografico musicale De Perrot.
Cinque anni fa portarono al Napoli Teatro Festival, che a più riprese li ha ospitati,Öper Öpis, e poi nel 2011 a RomaEuropa, con il Gruppo Acrobatico di Tangeri, Chouf Ouchouf, e poi ancora al NTFI nel 2012 Hans Was Heiri.
Ma prima, molto prima di tutti, i due erano stati ospitati dai festival in Toscana. Parliamo addirittura del 2003, gli albori di una compagnia che ha fatto del minimo, dell’acrobazia coreografata, della narrazione per immagini dinamiche la cifra che li ha portati dalla Svizzera in giro per il mondo negli ultimi 15 anni.
Parlare di teatro è finanche azzardo come loro stessi candidamente dichiarano in un manifesto di intenti che realizzano nel 2011: “Nous appelons notre travail du théâtre, car nous n’avons pas trouvé de meilleur nom”.
Ma, in realtà, Il teatro è magico proprio perché è una casa grande piccola a piacere come si dice in matematica nelle dimostrazioni complesse. E questo essere micro macro assieme permette in fondo moltissime cose, come quelle di questo duo.
Dopo molti anni insieme, però, nell’edizione 2015 Contemporanea festival Prato ospita il primo lavoro da solista di Martin Zimmermann.
Certamente il codice di questa creazione resta molto prossimo a quanto finora visto fare dalla coppia, con l’irresistibile vitalità e l’atmosfera surreale in costante lotta con Newton e le leggi della fisica e dell’anatomia.
Martin Zimmermann, scheletrico come sempre, porta in scena una rilettura, o almeno così ci appare il giorno dopo, avendoci dormito su, de La piccola fiammiferaia.
Il racconto parte dall’apparire in scena di un uomo solo che, chiuso dentro una piccola casetta sgangherata fatta di pochi pezzi di legno uniti da cerniere (come d’altronde già visto in moltissime loro coreografie), si trova di colpo proiettato dentro una casa più grande, lussuosa, fatta di arredo contemporaneo, che viene da lui quasi posseduta, in una girandola di movimenti frenetici in cui si fondono arte circense – nouveau cirque – teatro, musica, danza contemporanea.
Queste tematiche, sviluppate intorno al tema dell’abitare, non sono nuove e riportano al recente Hans Was Heiri, «alla fine è lo stesso», uno degli ultimi lavori di Zimmerman con De Perrot.
Se quindi si tratta per molti versi dell’opera prima da solista di Zimmermann, per altri non si può di fatto determinare il confine di una cesura di linguaggio o di un cambiamento rispetto a quanto finora creato, e questo fa capire come egli sia stato nella pratica delle cose l’anima coreografica e il motore ideatore del caos creativo della coppia.
Anche qui ritornano il dentro, il fuori, lo spazio ruotante, le cornici di legno mosse dentro la scena in un monta e smonta frenetico e clownesco, che vorrebbe unire le fragilità di chi è in scena con quelle di chi è nel pubblico. L’artista, come la piccola fiammiferaia, resta intrappolato nel suo incantesimo, nelle sue fantasie che lo fanno quasi a pezzi, come la coreografia pare suggerire.
Nulla che finisca tragicamente, ci sono perfino piccoli giochi di clownerie al termine degli applausi, quasi che lo spettacolo non finisca mai, o che comunque debba concludersi con un sorriso.
Dal punto di vista tecnico e del linguaggio, se nel complesso Hallo riassembla e rielabora i topoi della poetica di questi anni, ne mostra forse per certi versi anche i limiti, quasi che alla fine lo spettacolo si risolva in una piccola esibizione di abilità, Le più varie, in cui il coreografo riesce, una sorta di vento bulimico in cui la magia di Zimmermann è però quella di non dare il tempo di capire cosa sia davvero superfluo, perché subito dopo ti costringe ad un sorriso o a rimanere a bocca aperta per un’acrobazia. E di questo sono stati contentissimi i molti bimbi presenti in sala.
E questo per Contemporanea è comunque un grande risultato.