VALENTINA SORTE| Dopo l’edizione pugliese nel 2012 e quella toscana nel 2014, è stata la città di Brescia a ospitare, dall’8 all’11 ottobre, la terza edizione di NID PLATFORM, la Nuova Piattaforma della Danza Italiana. Tra le diciassette produzioni coreografiche presenti al festival, Miniballetto n°1 di CollettivO CineticO è stata sicuramente una delle proposte più interessanti.
In soli 30 minuti, il gruppo ferrarese ha condensato e proseguito la sua personale ricerca sui meccanismi dell’evento performativo, focalizzando la sua attenzione sull’organizzazione del movimento e sviluppando la performance su due linee molto leggibili. Quella intracorporea da una parte e quella intercorporea dall’altra. La prima – più interna – è quella che potremmo definire “De Motu Performer”, o meglio, la biomeccanica del performer/atleta (una bravissima Francesca Pennini), la seconda – più esterna – vede assente il performer stricto sensu, ma ricorre a una sua “protesi” aeromobile, a pilotaggio remoto (ovvero un drone, non meno poetico e irridente della Pennini). A fare da trait d’union tra questi due moduli, una scenografia semplice ma carica d’indizi: un mucchio di piume bianche da cui spunta un piccolo ventilatore.
Miniballetto n°1 (prima parte dei 10 Miniballetti) prende infatti le mosse da uno degli elementi che definiscono il movimento di un corpo nello spazio: lo spostamento di una massa d’aria. Nello specifico, nella prima parte dello spettacolo le azioni della performer vengono scomposte e introdotte, prima della loro esecuzione, da un conto preciso di inspirazioni ed espirazioni. La respirazione diventa quindi la misura del movimento. Come in ogni lavoro di CollettivO CineticO, anche qui c’è un estremo rigore nella conduzione degli esercizi e nella produzione dei segni (ad esempio, il numero “1” applicato sulla sua tuta). Le indicazioni date a voce dalla Pennini e proiettate sullo schermo alle sue spalle, accompagnano la lettura dell’opera e ne fissano la drammaturgia.
Inizia così una sorta di allenamento. Il corpo “n° 1” viene sottoposto ora a forze uguali e opposte che conservano il suo stato di quiete, ora a accelerazioni vettoriali che lo alterano. Una lezione semiseria sui principi della dinamica. Il risultato? Il pubblico in sala assiste alla preparazione atletica del movimento, e segue con il fiato sospeso le contorsioni ginniche della Pennini. La bellezza di questi esercizi sta da una parte nella tenuta muscolare del corpo della performer, al limite del virtuosismo e della tecnica, e dall’altra dal loro contrasto con le brevi sequenze danzate che li intervallano. Un’inattesa esplosione di danza sulle note barocche di J. S. Bach. La dicotomia fra staticità e inafferrabilità del movimento è solo apparente.
Il fulcro di questo lavoro è però la coreografia aerea che segue subito dopo. Nella duplice veste di dramaturg e “pilota”, Angelo Pedroni comanda a distanza un piccolo dispositivo volante che sostituendosi al danzatore in scena, descrive una coreografia fluttuante – geometrica e sospesa. Volteggiando nell’aria, su un celebre valzer di Strauss, il drone sposta piccole masse d’aria e crea piano piano una danza di piume che invade di poesia il Teatro Sociale. E proprio l’elemento aereo in questa nuova declinazione a farsi nuovamente paradigma di riflessione sul movimento e sul controllo.
Non a caso, il termine drone (in inglese) riassume nelle sue diverse accezioni – tra cui oggetto volante comandato da remoto e falso bordone – la complessità dei diversi “miniballetti”. L’ultimo di questi è infatti costruito su una nota continua (bordone), sempre più marcata. Francesca Pennini riappare in scena in un costume nero, quasi un cigno, per chiudere la performance in una serie di movenze sinuose ed eleganti. Le luci si abbassano e in scena risuona il suo affannoso respiro. Il cerchio si chiude. Tuttavia per lo spettatore il finale “non chiude” perché rimane quella sensazione di aver assistito ad una vera epifania coreutica, ornitologica e cibernetica del movimento, come non si vedeva da parecchio tempo. Rigorosa ed emozionante.