ELENA SCOLARI | Un percorso a rovescio dalla morte alla vita passando per viaggi, luoghi di cura e guarigione. Come si può guardare e occupare la propria città da una prospettiva diversa, arrivando fino a grattare il cielo? Partecipando a Remote Milano, esperienza tra performance e teatro, ideata dal gruppo berlinese Rimini Protokoll, portato in Italia dall’Associazione Culturale Zona K. Prima di Milano le camminate si sono tenute a New York, Berlino, Tallinn, Parigi, San Pietroburgo, ecc.
Un gruppo di 50 persone si ritrova all’Ossario centrale del Cimitero Monumentale di Milano, tutti vengono forniti di cuffie, tramite le quali una voce sintetica – che si presenta come Fabiana – darà istruzioni su cosa fare e porrà domande con lo scopo di stimolare riflessioni durante la camminata. Si scopre così che una voce sintetica di donna (proprio come quelle dei navigatori) è la somma di più voci femminili sovrapposte, e le parole sono formate da sillabe prese ognuna da altre parole pronunciate: “i-den-ti-tà”, per esempio, è formata da i che viene da io, den che viene da denti, ti che viene da timido, tà che viene da carità. Sembra una nota tecnica irrilevante ma invece è una delle cose che ci è rimasta in mente, perché questa spiegazione è coerente con l’affermazione del puzzle vocale Fabiana di non avere corpo, non avere sensazioni, non avere bisogni. E non avere nemmeno una personalità, quindi. Siamo ben lontani dai pur imperfetti replicanti di Blade runner…
La prima sensazione è quella di completa esclusione dal sonoro della città, a noi sembra già particolare ma forse è cosa abituale per tutti quelli che ascoltano musica dai loro cellulari. Seguiamo pertanto “qualcosa” e non “qualcuno”. E lo seguiamo per un’ora e mezza, la voce ci definisce “un’orda” ma a noi sembra assai enfatico, il nostro è un gruppo disciplinato, obbediente, incuriosito sì ma certo non un’orda. Giriamo prima tra le tombe del Monumentale, osservando i loculi, scegliendo un morto di cui immaginare per qualche minuto l’esistenza, poi scendiamo nel sottopasso e raggiungiamo la stazione Garibaldi. E qui c’è l’idea più riuscita dell’intero percorso: la voce ci fa schierare in fila con le spalle coperte da una lunga vetrina, e da lì osserviamo, come da una platea, gli attori/viaggiatori che guardano verso l’alto, verso un tabellone con orari, ritardi e binari, alcuni corrono, alcuni portano valigie, più d’uno ci guarda stupito o addirittura ci fotografa, altri “recitano l’attesa”. E noi li applaudiamo. In questo semplice slittamento è il senso complessivo di Remote Milano, si crea un ribaltamento di ruoli, un bell’effetto teatrale, come guardare in un cannocchiale al contrario.
Andiamo poi a piazza Gae Aulenti in quel quartiere rinnovato che guarda al futuro, sosteremo sotto Porta Nuova, arriveremo in una piccola chiesa – dove il gruppo si dividerà – infine nei corridoi di un’ospedale e poi sulla terrazza in cima allo stesso, dove tutti i camminanti si ritroveranno per la fine.
Il filtro protettivo dell’orda ci farà fare cose un po’ sciocche (una corsa improvvisa, una mega partita di calcio balilla, pliés di danza alla sbarra di un corrimano, un ballo sotto un arco…) senza la preoccupazione di apparire stupidi perché il branco diventa un’entità unica, meccanismo automatico e piuttosto banale, per la verità. Remote Milano è divertente, gioca sul desiderio di essere protagonisti, sulla prevedibile accettazione delle regole da parte di tutti ma la pseudo-drammaturgia che si snocciola nel testo è ingenua, nonostante i luoghi scelti avrebbero potuto suggerire maggior profondità e un più acuto coinvolgimento dei partecipanti. Il tentativo di renderla più complessa con la sostituzione della voce femminile che passa il testimone a una guida uomo per la parte finale è un’inutile aggiunta – confusa – di cui sfugge la motivazione. C’è la pretesa di sganciare pensieri eccentrici ma la dinamica dello spettatore che diventa attore, l’osservatore osservato sono ormai luoghi comuni teatrali, pratiche performative frequenti che non è facile rivestire di novità.
Con la voce artificiale dei Rimini Protokoll volevamo vedere navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, ma ci siamo fermati ai bastioni di Porta Nuova.
Mi piace tantissimo il pezzo, hai dato un senso alle cose un po’ confuse che pensavo io dopo aver partecipato!