FILIPPA ILARDO | Capita raramente, ma ci sono volte in cui, lo spettacolo visto ha in sé la necessità di essere narrato, ripensato, ripercorso attraverso la memoria e in questa fase si può aprire a parallelismi inaspettati, a imprevisti vettori di senso. “Amore”, che ha debuttato a Messina al Teatro Vittorio Emanuele di Messina, lo scorso 5 Novembre, della Compagnia Scimone e Sframeli è uno di questi spettacoli, di quelli cioè che si prestano ad un lavoro di scavo e dissotterramento di tutte le stratificazioni che testo e messa in scena nascondono. In una struttura narrativa di rigorosa simmetria, due coppie, speculari l’una all’altra, una di due vecchietti eterosessuali (Giulia Weber e Spiro Scimone), l’altra di due vigili del fuoco omosessuali (Francesco Sframeli e Gianluca Cesale), in un gioco di allusività dai risvolti amaramente comici e solo velatamente sconci, si dicono per la prima volta quello che mai hanno avuto il coraggio di dirsi. Il coraggio di dirsi tutto è quello di ascoltarsi senza dirsi nulla e può avvenire solo in quella condizione liminare tra questo mondo e il nulla.
Lo spazio-tempo è sciolto da ogni riferimento realistico, due letti-tomba con tanto di croci come abat-jour e lenzuola-sudari (le scene sono di Lino Fiorito) diventano il simbolo della vita e la morte viste come due condizioni marginali, al limite dell’esperienza umana, l’una è il guanto rovesciato dell’altra, la vecchiaia come confine tra vita e morte diventa il negativo in cui si colgono i profili opposti dell’esistenza. Per queste figure-limite, sulla soglia di due mondi apparentemente non comunicanti, la contraddizione morte-vita corrisponde anche all’opposizione finzione-realtà, alla dinamica teatro-vita: allora il gioco teatrale prende la mano e nella regia di Sframeli la comicità assolve alla funzione del paradosso che diluisce nel riso le amare incomprensioni della vita.
Il linguaggio gioca un ruolo di primo piano, diventa quella cerniera provvisoria in cui le parole migrano, si celano, non procedono verso la verità, dicono per non dire e non dicono per dire. Le metafore (l’incendio che rappresenta la passione, il lenzuolo che rappresenta la morte) si fanno miniere di latenza, in una sorta di gioco allo scarto tra detto e non detto, tra l’esplicito e l’implicito. Mentre il martellamento delle battute nel ritmo ossessivo che le incastra, sempre più insistito e compulsivo, sembra iscritto nella voce degli attori, nelle loro sonorità vocaliche. Eppure, a poco a poco, nel cicaleccio dell’incomunicabilità, si fa spazio quel silenzio pregnante e carico di senso e sensualità che è il nulla. Alla fine dello spettacolo, incontrando l’autore, gli rivolgiamo una domanda d’obbligo, partendo dal fatto, in sé abbastanza significativo, che il debutto dell’ottavo spettacolo della Compagnia, ormai affrancata da un’ingombrante appartenenza geolinguistica, avvenga proprio a Messina.
Le nostre origini hanno sicuramente influenzato il nostro percorso artistico. Il linguaggio teatrale dei nostri primi due testi è stato creato con le parole messinesi. I personaggi delle nostre opere appartengono alla nostra cultura, al nostro vissuto, fanno parte del nostro mondo. Un mondo che cerchiamo di raccontare attraverso un teatro essenziale. Essenziale nell’uso della parola, nella recitazione, nella costruzione scenica. Un teatro attento alla cura del particolare. Un debutto assoluto è poi sempre una verifica. Con lo spettacolo “Amore”, questa verifica è andata nel migliore dei modi. Tra la compagnia e gli spettatori, che lo hanno potuto vedere a Messina, c’è stata la stessa condivisione: “Amore” è stato, per noi e loro uno spettacolo necessario.
Si è parlato a proposito del vostro lavoro di teatro testo-centrico. Possiamo definire la vostra scrittura un intrecciarsi di tre livelli di scrittura, quella drammatica, quella performativa e quella registica?
La nostra è una scrittura teatrale, che nasce dal corpo dell’autore per vivere, durante la rappresentazione, attraverso il corpo dell’attore. Nella rappresentazione è indispensabile la presenza dello spettatore. La relazione tra i corpi – dell’autore, dell’attore e dello spettatore – è per noi il teatro. Per creare questo tipo di relazione è importante che ci sia sempre tra i tre elementi un vero ascolto. Il teatro educa all’ascolto. In teatro non si può far finta di ascoltare. Il teatro è finzione, ma per conquistarlo bisogna raggiungere il massimo dell’autenticità.
In “Amore” la vecchiaia è una condizione rovesciata della vita, dove tutto si fa ricordo, dove la partita si gioca tra le occasioni mancate e l’estrema possibilità di soddisfare il proprio desiderio.
E’ vero che i quattro vecchietti di “Amore” soddisfano il proprio desiderio alla fine; ma tutti e quattro, attraverso la finzione teatrale, ci suggeriscono di fare l’opposto, ci consigliano di soddisfare tutti i nostri desideri prima di arrivare alla fine. Senza paura…Senza nessuna paura.
Anche in “Amore” c’è una forte riflessione sul linguaggio. Questi personaggi hanno sempre “paura di dire”. Alla fine la speranza è risposta in un escatologico anelito al silenzio. Riscaldarsi reciprocamente “fino al silenzio” è l’unico modo per sentire l’altro.
Viviamo in un mondo che allontana sempre di più i nostri corpi… Spesso non riusciamo più a sfiorarci. La distanza dei corpi genera solitudine, paura, e ci impedisce di apprezzare il corpo degli altri… I personaggi di “Amore” non hanno paura di comunicare l’autenticità dei sentimenti. I quattro vecchietti di “Amore”, si avvicinano e si riscaldano reciprocamente, sotto il lenzuolo, proprio perché sentono il bisogno di amare il corpo dell’altro fino al silenzio.
La presenza femminile sulla scena è una novità del vostro percorso. Un pò come nel cinema di Ciprì e Maresco o nel teatro di Scaldati c’è stata finora un’esclusione della presenza femminile. Maresco, che ha rimesso in scena proprio le opere di Scaldati, ha dichiarato che la mancanza femminile implica la mancanza di speranza, anche per te è così?
Nei nostri spettacoli non c’è stata la presenza dell’attrice per scelte registiche; la presenza femminile c’è stata, La madre è la protagonista dell’opera “La festa”. La mamma in “Nunzio”, la prostituta in “Bar”, la moglie nel “Il Cortile” anche se evocate, hanno un’importante funzione drammaturgica. Siamo d’accordo che la donna è portatrice della vita che si rinnova… La donna è la speranza, proprio per questo nel nostro spettacolo solo lei riesce a dire la parola “amore”.
Nella dinamica tra autorialità dell’attore e attorialità dell’autore, quali sono i passaggi che avvengono nel momento della creazione?
Già in fase di scrittura la parola ha un corpo, anzi è il corpo dei personaggi che trova la parola. I personaggi non hanno un corpo astratto e non hanno nemmeno un corpo naturale. I personaggi hanno un corpo teatrale che, come ho già detto in precedenza, vive solo con la rappresentazione, attraverso il corpo dell’attore. Il nostro lavoro di scena nasce con la creatività, la passione e l’intenso lavoro di tutti i componenti della compagnia.
Compagnia Scimone Sframeli
AMORE
di Spiro Scimone
regia di Francesco Sframeli
con Spiro Scimone, Francesco Sframeli, Gianluca Cesale, Giulia Weber
scena di Lino Fiorito
disegno luci Beatrice Ficalbi
regista assistente Roberto Bonaventura
direttore tecnico Santo Pinizzotto
amministrazione Giovanni Scimone
relazioni esterne e ufficio stampa Rosalba Ruggeri
realizzazione scena Nino Zuccaro
produzione compagnia Scimone Sframeli
in collaborazione con Théâtre Garonne Touluouse